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domenica 27 gennaio 2013

“Questa è la mia vita” di Jean-Luc Godard: il tragico destino di un’eroina moderna.


Scritto e diretto da Jean-Luc Godard nel 1962, “Questa è la mia vita” si aggiudicò quello stesso anno il premio speciale della giuria alla Mostra del Cinema di Venezia.
Nei panni di Nana, la sfortunata protagonista di questa pellicola, troviamo la bellissima Anna Karina, all’epoca moglie nonché musa ispiratrice del regista francese.
Nella Parigi dei primi anni sessanta, Nana (Anna Karina) lavora in un negozio di dischi, sebbene aspiri  a diventare un’attrice.
Poiché i soldi che guadagna come commessa non le sono mai sufficienti per arrivare a pagarsi l’affitto, la ragazza inizia a prostituirsi lungo i marciapiedi della città; è qui che incontra Raoul (Sady Rebbot): colui che si offre di farle da protettore e che, contemporaneamente, la introduce seriamente alla professione.
Quando Nana, che nel frattempo si è innamorata di uno dei suoi clienti, comunica a Raoul la sua decisione di voler abbandonare quell’ambiente, lui, che non acconsente alla sua richiesta, decide di “venderla” ad altri protettori.
Durante le trattative, a causa di una divergenza sul prezzo, un colpo di pistola raggiunge accidentalmente Nana, ponendo così tragicamente fine alla sua breve esistenza…


Sebbene Nana ci venga presentata da Godard in modo alquanto frammentario, tramite l’utilizzo di 12 “quadri” ( così da lui definiti nell’introduzione del film ), riusciamo comunque a farci un’idea sufficientemente precisa del suo passato, delle sue personali ambizioni e, soprattutto, del suo tragico destino.
Consapevole della propria bellezza, la giovane donna vive costantemente in bilico tra il sogno delle allettanti luci dello spettacolo e la realtà di un’esistenza buia in cui, per poter continuare a pagare l’affitto  dell’appartamento in cui vive, è costretta a prostituirsi.
Il personaggio interpretato dalla Karina, affascina lo spettatore con la bellezza del suo viso, il magnetismo del suo sguardo, l’eleganza dei suoi gesti e, al tempo stesso, lo intenerisce con la semplicità dei suoi discorsi.
In effetti, nonostante lo squallore dell’ambiente che la circonda, Nana riesce a conservare quella purezza d’animo che la spinge a continuare a credere nell’amore; ma, quando pensa di averlo finalmente trovato, il  progetto di dare una svolta significativa alla propria esistenza sarà rapidamente  destinato a naufragare.
“Questa è la mia vita” prese spunto da un’inchiesta giornalistica sulla prostituzione e, sebbene risalga agli inizi degli anni sessanta, conserva ancora oggi una certa “attualità” proprio per la tipologia delle tematiche trattate; in effetti, nell’epoca in cui viviamo è tutt’altro che difficile riuscire ad individuare tante altre “Nana”, i cui sogni, però, fortunatamente non sono sempre destinati a infrangersi in modo così tragico come quelli dell’eroina di Godard.
Per finire, una curiosità. In una delle scene finali del film, vediamo l’auto in cui sta viaggiando Nana passare di fronte a un cinema di Parigi in cui è in programmazione “Jules e Jim”, la celeberrima pellicola di Francois Truffaut: un altro dei grandi e indimenticati maestri della Nouvelle Vague francese.




Titolo: Questa è la mia vita ( Vivre sa vie )
Regia: Jean-Luc Godard
Interpreti: Anna Karina, Sady Rebbot, Gilles Queant, André S. Labarthe
Nazionalità: Francia
Anno: 1962


domenica 25 novembre 2012

“Tre colori: Film blu” di Krzysztof Kieslowsky: un complesso esame psicologico della libertà individuale.


Leone d’oro per miglior film alla Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia del 1993 ( in ex aequo con “America oggi” di Robert Altman ), “Film blu” di Krzysztof Kieslowsky è la prima delle tre pellicole dedicate dal regista polacco ai colori della bandiera francese e, conseguentemente, ai principi divulgati dalla rivoluzione del 1789.
Protagonista assoluta di questa sofferta storia di rinascita è una magnifica Juliette Binoche che, grazie alla sua intensa interpretazione, quello stesso anno a Venezia si aggiudicò la “Coppa Volpi” per la migliore attrice.
Julie (Juliette Binoche) sta viaggiando con il marito Patrice (Hugues Quester), un noto compositore, e la figlia di sette anni, quando la loro auto finisce fuori strada, schiantandosi contro un albero.
Al risveglio in ospedale apprende dai medici che entrambi i suoi congiunti sono deceduti.
L’immenso dolore per la perdita dei suoi cari la spinge immediatamente al suicidio; tenta infatti di ingerire alcuni medicinali che ha trovato in infermeria  senza però riuscire nel proprio intento.
Successivamente, nell’errata convinzione di poter soffocare il proprio dolore liberandosi di tutti i ricordi che la legano al passato, Julie decide di mettere in vendita la villa dove fino a poco tempo prima abitava con la sua famiglia, e si trasferisce a Parigi in un piccolo appartamento.
Provvede inoltre a distruggere la partitura musicale a cui Patrice stava lavorando prima della sua morte: un concerto per la celebrazione dell’Unione Europea.
Per il solo fatto di esistere Julie è comunque costretta a confrontarsi quotidianamente con il proprio passato e, soprattutto, con il proprio dolore.
Riesce a ritrovare il senso della vita solamente dopo aver appreso, per caso, che il marito aveva un’amante; e poiché quest’ultima è in attesa di un figlio da lui, Julie decide di lasciarle la villa di famiglia.
Infine, dopo aver scoperto che Olivier (Benoît Régent) l’ultimo collaboratore di Patrice, da sempre innamorato di lei, sta lavorando alla partitura incompiuta del marito, di cui aveva conservato una copia, Julie  lo aiuta a completarla e, soprattutto, ne accetta finalmente l’amore.



E’ un complesso esame psicologico della libertà individuale quello che il regista polacco ci presenta in questa pellicola dedicata al “blu”, uno dei tre colori della bandiera francese.
Attraverso un tortuoso, nonché sofferto, percorso interiore, Julie si trova costretta, suo malgrado, ad elaborare il lutto per la perdita del marito e della loro unica figlia.
Nel tentativo di emulare la madre, la quale, avendo perso la memoria, vive esclusivamente nel presente senza alcuna possibilità di soffrire ripensando al passato, Julie crede di poter evitare le dolorose conseguenze della tragedia che l’ha inaspettatamente travolta, allontanando da sé tutto ciò che in un modo o nell’altro possa riportarle alla mente la propria famiglia.
Il suo è un desiderio di affrancarsi dall’amore che un tempo la legava al marito e del quale, per non soffrire, non vuole sentirsi più prigioniera; è solamente nel momento in cui viene a sapere che lui  aveva una relazione extra-coniugale che la donna acquisisce una nuova consapevolezza di sé e del proprio futuro.
Il suo atto di generosità nei confronti dell’amante di Patrice segna infatti una svolta determinante nella vita di Julie, che la porterà a sentirsi finalmente libera e a riprendere in mano le redini della propria esistenza.
Durante la visione della pellicola sono molteplici i riferimenti al colore blu.
Blu è la carta di una caramella che la figlia di Julie fa sventolare fuori dal finestrino dell’auto sulla quale sta viaggiando insieme ai suoi genitori; blu è l’acqua della piscina dove la donna si reca spesso a nuotare; blu infine è la luce che avvolge e illumina il personaggio interpretato dalla Binoche in determinati momenti del film, sottolineati dal suggestivo tema musicale composto da Zbniew Preisner, le cui parole sono tratte dalla prima lettera di San Paolo ai Corinzi, e asseriscono l’importanza dell’amore su tutto il resto.




Titolo: Tre colori: Film blu ( Trois couleurs: Bleu )
Regia: Krzysztof Kieslowsky
Interpreti: Juliette Binoche, Benoît Régent, Emmanuelle Riva
Nazionalità: Francia / Polonia
Anno: 1993

lunedì 5 novembre 2012

“Fino all’ultimo respiro” di Jean-Luc Godard: Parigi, gli anni 60 e… la Nouvelle Vague.


Fino all’ultimo respiro” è il primo lungometraggio di Jean-Luc Godard; tratto da un soggetto di François Truffaut, e realizzato sotto la supervisione tecnica di Claude Chabrol, è considerato il film-manifesto della Nouvelle Vague francese.
Al fianco di un superbo Jean-Paul Belmondo, troviamo una giovanissima Jean Seberg: la graziosa attrice americana che questa pellicola consacrò icona di stile degli anni sessanta.
Michel Poiccard (Jean-Paul Belmondo) è un giovane balordo che vive di espedienti, barcamenandosi tra furti e truffe.
Dopo aver rubato l’ennesima auto a Marsiglia, prima di fuggire in Italia si reca a Parigi per recuperare da un amico del denaro che gli spetta.
Inseguito da due agenti per eccesso di velocità, ne uccide uno con una pistola che ha trovato nel cruscotto dell’auto.
Arrivato a Parigi, dopo aver ritrovato Patricia Franchini (Jean Seberg), una studentessa americana della quale si era precedentemente innamorato, cerca di convincerla ad andare con lui in Italia.
La ragazza però, sebbene non sembri disdegnare le attenzioni di Michel, non ha nessuna intenzione di seguirlo, non approvando il suo stile di vita dissoluto.
Poco dopo Michel apprende dai giornali di essere ricercato dalla polizia, che nel frattempo ha interrogato Patricia, essendo stata vista insieme a lui.
L’americana, nel tentativo di farlo fuggire prima che venga arrestato, decide di denunciarlo rivelando il luogo in cui Michel si è nascosto.
Raggiunto dalla polizia, l’uomo tenta di fuggire ma inutilmente; muore infatti sotto lo sguardo contrito di Patricia, dopo essere stato colpito da un agente.



Girato tra Parigi e Marsiglia in poco meno di un mese e con un budget alquanto limitato, con “Fino all’ultimo respiro”  Jean-Luc Godard reinventò il modo di fare cinema, mettendo in pratica quella volontà di opporsi alle rigide regole che avevano caratterizzato fino ad allora l’industria cinematografica francese, secondo quanto rivendicato dallo stesso Godard e dagli altri registi fondatori del movimento della Nouvelle Vague.
In nome di una libertà di espressione che abbracciava anche la realizzazione tecnica di un film, durante le riprese scomparve infatti l’uso di cavalletti e binari; basti ricordare che per girare la celebre scena in cui Michel e Patricia passeggiano l’una accanto all’altro sugli Champs-Elysées, il regista si avvalse di una macchina da presa installata su di una bicicletta.
Caratterizzato da una sceneggiatura alquanto esile, “Fino all’ultimo respiro” è un omaggio ai vecchi polizieschi americani, di cui Godard era un grande appassionato.
Il personaggio di Michel, interpretato magnificamente da un giovane Jean-Paul Belmondo, sebbene viva costantemente sopra le righe, nasconde in realtà un lato estremamente tenero come ci è dimostrato dal suo affetto per Patricia; affetto che gli impedisce perfino di mettersi in salvo, e quindi di allontanarsi da lei, nel momento in cui la ragazza gli rivela di averlo denunciato alla polizia.
Fa da sfondo a questa sfortunata storia d’amore, una Parigi che affascina nonostante l’immagine estremamente semplice che ci viene restituita da una fotografia in bianco e nero ridotta all’essenziale, e che è indubbiamente rappresentativa di un’importante fase di transizione nella storia politica e culturale della Francia.


  
Titolo: Fino all’ultimo respiro ( A bout de souffle )
Regia: Jean-Luc Godard
Interpreti : Jean-Paul Belmondo, Jean Seberg, Daniel Boulanger, Jean-Pierre Melville
Nazionalità: Francia
Anno : 1960


mercoledì 31 ottobre 2012

“Emotivi anonimi” di Jean-Pierre Améris: il fortunato incontro di due timide anime gemelle.


Diretta nel 2010 dal regista francese Jean-Pierre Améris, “Emotivi anonimi” è una piacevolissima commedia che, sebbene poggi su di una sceneggiatura estremamente semplice, grazie alle irresistibili interpretazioni di Isabelle Carré e Benoît Poelvoorde riesce comunque a proiettarci in un’atmosfera quasi favolistica, senza una precisa connotazione temporale.
Angélique (Isabelle Carré) è una giovane donna che, a causa della sua eccessiva emotività, frequenta il gruppo di aiuto degli “Emotivi anonimi”.
Maestra cioccolataia di professione, dopo aver decretato con la propria arte la fortuna di una cioccolateria, pur rimanendo nell’anonimato, è adesso alla ricerca di un nuovo impiego a seguito del decesso del suo datore di lavoro.
A questo proposito si rivolge alla “Fabrique de Chocolat”, una piccola impresa sull’orlo del fallimento, diretta dal signor Jean-René Van Den Hugde (Benoît Poelvoorde), un uomo all’apparenza burbero, ma in realtà letteralmente terrorizzato dal rapporto con le donne.
Dopo un breve colloquio Angélique viene immediatamente assunta ma, a causa di un equivoco, invece di essere adibita alla preparazione del cioccolato, le viene assegnato il ruolo di responsabile delle vendite.
Sebbene la donna si ritenga assolutamente inadeguata per quella mansione, si impegna a vincere la sua patologica timidezza per cercare di risollevare le sorti dell’azienda.
Nel frattempo Jean-René, su suggerimento dello psichiatra presso il quale è in cura, invita Angélique a cena nel tentativo di riuscire a superare la sua paura nei confronti dell’altro sesso.
Tra i due scocca immediatamente la scintilla, ma entrambi non riescono a esprimere liberamente i propri sentimenti; la loro profonda mancanza di fiducia in se stessi verrà a ogni modo ben presto sopraffatta dalla forza del loro amore… 


In “Emotivi anonimi” ci viene presentata la storia di due anime gemelle, abituate a combattere quotidianamente contro la loro patologica insicurezza; ma non è solamente la paura di rapportarsi con il mondo esterno ad accomunare Angélique e Jean-René.
In effetti, entrambi hanno fatto della passione per il cioccolato la loro professione; ed è proprio nell’ambito di un contesto lavorativo che le loro strade, così emotivamente impervie, si incontrano. 
Sarà un amore pressoché a prima vista ma, come del resto è facilmente prevedibile, sarà altresì alquanto problematico per loro due riuscire a dichiararsi apertamente.
“Emotivi anonimi” non è certamente il primo film in cui viene data prova di come il cioccolato riesca a unire gli animi umani, creando contemporaneamente intorno a sé qualcosa di estremamente magico.
Isabelle Carré, nei panni della trasognata e romantica Angélique, e Benoît Poelvoorde, in quelli del superimpacciato Jean-René, con la loro delicata recitazione riescono a dare vita a due personaggi credibili nonostante il contesto quasi favolistico in cui sono calati.
Anche se la storia è ambientata ai nostri giorni, fin dalle prime note di “J’ai confience en moi”, il brano interpretato dalla stessa Carré che accompagna i titoli di testa, abbiamo immediatamente l’impressione di essere proiettati in un’epoca appartenente al passato, sebbene non ben definita temporalmente; questo grazie anche a un sapiente utilizzo delle luci che riescono a conferire alla pellicola un’atmosfera vagamente retrò.



Titolo: Emotivi anonimi ( Les émotifs anonymes ) 
Regia: Jean-Pierre Améris
Interpreti : Isabelle Carré, Benoît Poelvoorde, Lorella Cravotta, Lise Lamétrie
Nazionalità: Francia / Belgio
Anno : 2010


mercoledì 24 ottobre 2012

“I diabolici” di Henri-Georges Clouzot: un thriller carico di suspense ambientato nella misteriosa periferia parigina degli anni cinquanta.


Tratto dal romanzo “Celle qui n’était plus”, scritto a quattro mani da Pierre Boileau e Thomas Narcejac, “I diabolici” è considerato uno dei primi, e soprattutto validi, thriller  prodotti in Francia. Diretta nel 1955 da Henri-Georges Clouzot (definito dalla critica cinematografica  “l’Hitchcock francese” ), questa pellicola consacrò definitivamente la bravura e il talento della carismatica Simone Signoret.
A Saint-Cloud, nella periferia parigina, si trova il collegio maschile Delassalle, diretto dal tirannico Michel Delassalle (Paul Meurisse).
Fanno parte del corpo insegnante anche sua moglie Christina (Véra Clouzot), donna remissiva, estremamente religiosa e, soprattutto, gravemente cardiopatica, e la burbera Nicole (Simone  Signoret), con la quale Michel ha una relazione extraconiugale.
Moglie e amante, esasperate dai continui maltrattamenti subiti dal dispotico direttore, decidono di allearsi allo scopo di ucciderlo.
L’occasione per farlo si presenta durante un lungo week-end in cui le lezioni vengono momentaneamente sospese, e Nicole, accompagnata da Christina, ne approfitta per tornare a Niort, la sua città natale.
Raggiunte da Michel la sera stessa, le due donne riescono a mettere in atto il loro diabolico piano. Dopo averlo fatto ubriacare, lo annegano in una vasca da bagno; successivamente ne riportano il cadavere a Saint-Cloud per gettarlo nella piscina della scuola, in attesa che venga poi scoperto.
Subito dopo il loro rientro al collegio inizierà però a verificarsi una serie di fatti inspiegabili, a seguito dei quali Christina e Nicole cominceranno a temere che Michel non sia effettivamente morto…


Al momento della sua uscita nelle sale francesi, “I diabolici” riscosse un tale successo, sia di critica che di pubblico, che fu immediatamente paragonato alle opere di Alfred Hitchcock.
Caratterizzata dalla pressoché totale assenza di una colonna sonora, questa pellicola si contraddistingue per il ritmo incredibilmente serrato con il quale si dipana la storia, nonché  per la continua e crescente tensione che si sviluppa grazie anche alle  encomiabili interpretazioni delle due attrici.
Lo spettatore viene talmente coinvolto nella vicenda, che ha addirittura la sensazione di trovarsi al fianco di Christine e Nicole durante i numerosi colpi di scena che il film ci riserva.
Il bianco e nero della pellicola, oltre ad accentuare gli aspetti estremamente cupi della vicenda, le conferisce un fascino particolare, restituendoci l’immagine di una periferia francese degli anni cinquanta dall’atmosfera solo in apparenza tranquilla.  
Preoccupandosi di garantire il massimo effetto sorpresa a tutti coloro che si recavano a vedere “I diabolici”, Henri-Georges Clouzot impose ai gestori dei cinema di tenere chiuse le porte delle sale durante la proiezione; per lo stesso motivo, al termine del film appariva sullo schermo un messaggio con il quale il regista esortava gli spettatori a non rivelare a parenti e amici nulla di ciò che avevano appena visto.
Nel 1996 “I diabolici” divenne poi oggetto di un fedele remake diretto dal regista canadese Jeremiah S. Chechik dal titolo “Diabolique”, in cui i ruoli di Nicole e Christina furono assegnati rispettivamente a Sharon Stone e Isabelle Adjani, mentre il personaggio di Michel Delassalle venne interpretato dal poliedrico Chazz Palminteri.





Titolo: I diabolici ( Les diaboliques )
Regia: Henri-Georges Clouzot
Interpreti : Simone Signoret, Paul Meurisse, Vera Clouzot, Charles Vanel
Nazionalità: Francia
Anno : 1955


mercoledì 17 ottobre 2012

“Play Time” di Jacques Tati: Monsieur Hulot nel caos della civiltà moderna.


Dopo tre anni di lunga e sofferta lavorazione, nel 1967 uscì finalmente nelle sale francesi “Play  Time”: il quarto lungometraggio di Jacques Tati. Questa pellicola, sebbene considerata un capolavoro per l’attenzione quasi maniacale prestata ai singoli dettagli, si rivelò un vero e proprio fiasco al botteghino, determinando così la rovina economica del geniale cineasta francese a causa degli elevatissimi costi di produzione dallo stesso sostenuti per la sua realizzazione.
In una Parigi ultramoderna, popolata da altissimi palazzi in vetro e acciaio, si intrecciano le vite  di una serie di alquanto bizzarri personaggi.
Monsieur Hulot (Jacques Tati) si reca in uno di questi edifici per un importante appuntamento e invece, perdendosi in un complicato labirinto di uffici e corridoi, si ritrova a visitare insieme a un gruppo di turiste americane una fiera campionaria, all’interno della quale vengono presentati dei singolari oggetti dal design moderno.
Successivamente Hulot incontra un suo ex-compagno d’armi che lo invita nel suo appartamento-vetrina, da lui acquistato di recente.
Al calar della notte, poi, si ritroverà insieme agli altri personaggi da lui incrociati nel corso di quella insolita giornata all’inaugurazione di un night-club, durante la quale il locale verrà invece completamente distrutto a seguito del verificarsi di una serie di comici incidenti.



Dopo “Le vacanze di Monsieur Hulot” e “Mio zio”, Jacques Tati portò per la terza volta sullo schermo le peripezie dello strampalato signore dal portamento dinoccolato.
Caratterizzato dall’assenza di una vera e propria trama, e girato in 70mm, “Play Time” sviluppa la sua comicità soprattutto a livello visivo e sonoro, poiché i dialoghi tra i personaggi di cui riusciamo a fare una superficiale conoscenza durante la visione della pellicola sono ridotti praticamente al minimo.
Ancora prima che per la sua genialità e originalità, questo lungometraggio viene ricordato per l’enorme set fatto costruire appositamente da Tati nella periferia di Parigi, nei pressi dell’aeroporto di Orly, che per questo motivo venne soprannominato “Tativille”.
Il regista francese ha immaginato una metropoli futurista dove altissimi e asettici palazzi, che potremmo ritrovare in qualunque altra città del mondo, hanno preso il posto dei ben più armoniosi edifici storici. In effetti, ci rendiamo conto che l’azione si sta svolgendo a Parigi solo nel momento in cui riusciamo a intravedere, riflessi nelle vetrate delle nuovissime costruzioni, la Tour Eiffel, l’Arco di Trionfo e la Basilica di Montmartre.
“Play Time” si presenta come una satira sulla smania del moderno che contraddistingue il genere umano e, allo stesso tempo, tenta di mettere in guardia dai pericoli derivanti dall’uso delle nuove tecnologie che, come vediamo durante la serata inaugurale del Royal Garden, anziché agevolare la nostra quotidianità, rischiano di complicarla inutilmente, ostacolando così i normali rapporti umani.
Così facendo Tati riprende un tema da lui già trattato circa dieci anni prima in “Mio zio”, uno dei suoi indimenticabili capolavori, in cui il calore dei rapporti umani vissuti in un quartiere popolare nella Francia della fine degli anni cinquanta viene raffrontato, ovviamente con la dovuta dose di ironia, con l’eleganza dell’atmosfera che si respira all’interno di una villa ultramoderna, dotata di tutte le ultimissime invenzioni tecnologiche.   




Titolo: Play Time ( Play Time )
Regia: Jacques Tati
Interpreti : Jacques Tati, Barbara Dennek, Rita Maiden
Nazionalità: Francia
Anno : 1967


giovedì 11 ottobre 2012

“Il piccolo Nicolas e i suoi genitori” di Laurent Tirard: il mondo visto con gli occhi dei bambini.


Ispirandosi alla serie di racconti illustrati ideata da René Goscinny e Jean Jacques Sempé alla fine degli anni cinquanta, nel 2009 il regista Laurent Tirard ha realizzato per il grande schermo una pellicola estremamente piacevole e divertente. Campione di incassi in Francia, “Il piccolo Nicolas e i suoi genitori” ha riscosso un enorme successo di pubblico soprattutto per la sua capacità di raccontare tramite lo sguardo infantile e incantato di un gruppo di bambini un’epoca purtroppo ormai lontana.
Nicolas (Maxime Godart) è un bambino di 8 anni che, nella Francia della fine degli anni cinquanta, trascorre in modo spensierato le sue giornate tra la scuola, la famiglia e gli amici.
Un giorno, equivocando il contenuto di una conversazione tra i suoi genitori (Kad Merad e Valérie Lemercier), inizia a credere che presto avrà un fratellino. Prevedendo quindi che le attenzioni di mamma e papà non saranno più rivolte esclusivamente a lui, e temendo di essere da loro abbandonato nel bosco come Pollicino, Nicolas coinvolge i suoi compagni di scuola affinché, dopo la sua nascita, il bambino venga immediatamente rapito.
Dopo una serie di divertenti equivoci e peripezie, Nicolas si convincerà del fatto che avere un fratello più piccolo non è poi così male e, soprattutto, può presentare dei vantaggi; purtroppo per lui, però, la realtà si rivelerà ben diversa  da ciò che invece aveva immaginato…



Con questa pellicola il regista ci accompagna in un’epoca che ci appare come sospesa nel tempo e, per questo motivo, surreale.
Quello de “Il piccolo Nicolas e i suoi genitori” è un mondo visto con gli occhi dei bambini, all’interno del quale la cosa peggiore che può capitarci è di ricevere una punizione da parte della maestra o, proprio come accade a Nicolas, di venire a sapere che presto non saremo più gli unici destinatari delle abituali attenzioni degli adulti.
Grazie alla particolare cura impiegata nel ricreare, con scenografie e costumi, le atmosfere tipiche di quel tempo, abbiamo la sensazione di (ri)vivere in quella Francia della fine degli anni cinquanta che abbiamo conosciuto tramite l’ampia filmografia di quel periodo.
Gli spettatori adulti, che erano anche loro bambini all’epoca in cui sono ambientate le avventure di Nicolas, saranno molto probabilmente assaliti da una forte nostalgia per quei tempi ormai lontani ma, allo stesso tempo, non potranno fare a meno di sorridere di fronte all’ingenuità che solitamente caratterizza quell’età spensierata e che accomuna il nostro protagonista e i suoi compagni di classe.
Il pubblico più giovane, invece, non faticherà a riconoscersi nei singoli personaggi creati, più di cinquant’anni fa, dalla fervida immaginazione di Sempé e Goscinny ( quest’ultimo, autore tra l’altro insieme a Uderzo del celeberrimo Asterix ).
Decisamente lodevole la recitazione del piccolo Maxime Godart, alla sua prima esperienza di fronte alla macchina da presa; mentre Valérie Lemercier et Kad Merad (quest’ultimo noto al pubblico   italiano soprattutto per la sua irresistibile interpretazione in “Giù al nord” ) si confermano ancora una volta dei veri campioni di comicità.



Titolo: Il piccolo Nicolas e i suoi genitori ( Le petit Nicolas )
Regia: Laurent Tirard
Interpreti : Kad Merad, Valérie Lemercier, Maxime Godart, Sandrine Kiberlain, Michel Duchossoy
Nazionalità: Francia
Anno : 2009


domenica 7 ottobre 2012

“La ragazza sul ponte” di Patrice Leconte: una favola moderna la cui morale ci invita alla speranza.


Girato in bianco e nero da Patrice Leconte, il regista del fortunato “Il marito della parrucchiera”, “La ragazza sul ponte” narra come l’inaspettato incontro tra una giovane donna  e un uomo maturo   (interpretati rispettivamente da una deliziosa Vanessa Paradis e uno smaliziato Daniel Auteuil) riesce a stravolgere completamente le sorti delle loro disperate esistenze. E’ una favola moderna dalle tinte noir, la cui morale ci esorta a credere, oltreché a sperare, che nella vita, anche nelle situazioni apparentemente più critiche, possa sempre esserci un lieto fine.
Adèle (Vanessa Paradis) è una giovane donna con un passato travagliato alle spalle. Alla continua ricerca del vero amore fin dai primi anni della sua adolescenza, si è sempre sentita usata dagli uomini che ha incontrato lungo il suo percorso e che si sono approfittati della sua ingenuità.
Una notte, in preda al massimo sconforto, decide di porre fine alla sua breve esistenza, gettandosi da un ponte sulla Senna.
Salvata in extremis da Gabor (Daniel Auteuil), un maturo lanciatore di coltelli disoccupato, le viene proposto da quest’ultimo di diventare sua assistente negli spettacoli che organizza in giro per l’Europa.
Sebbene inizialmente titubante, Adèle finisce per accettare la proposta di lavoro di quell’uomo, non avendo nulla da perdere.
A seguito di quell’insolito incontro, inizierà per loro due un periodo di inaspettata fortuna, durante il quale si ritroveranno a viaggiare con il loro spettacolo dalla Francia all’Italia, dalla Grecia alla Turchia.
Acquisita una maggiore fiducia in se stessa e nei confronti della vita, Adèle deciderà così di allontanarsi da Gabor, dopo essersi per l’ennesima volta infatuata di un uomo da poco conosciuto su di una nave da crociera.
Il suo rapporto con il lanciatore di coltelli, mantenutosi fino ad allora su di un piano strettamente professionale, si paleserà essere qualcosa di più profondo, soltanto quando lei, resasi definitivamente conto di non poter più stare lontano da quell’uomo, deciderà di tornare da lui.
I due si rincontreranno a Istanbul. Questa volta, però, sarà Adèle a trovarlo su di un ponte, in procinto di gettarsi nel fiume.
L’improvvisa apparizione e la dolcezza della ragazza dissuaderanno Gabor dal commettere quell’estremo gesto.



Partendo dall’incontro di due persone che, pur caratterialmente diverse, sembrano vivere costantemente sull’orlo del precipizio, Leconte dipana una storia sull’amore e la fortuna, sulla voglia di scegliersi e, soprattutto, di rimanere insieme.
Adèle è una ragazza che, nonostante la sua giovane età, può a ragion veduta ritenersi delusa dalla vita. La sera in cui decide di farla finita per sempre, ecco che l’incontro con Gabor le accende nell’animo un nuovo barlume di speranza
Sebbene inizialmente terrorizzata dall’idea di diventare il vulnerabile bersaglio dei suoi pericolosissimi coltelli, Adèle decide di seguire quell’uomo, la cui maturità gli permette di guardare alla vita con disincanto.
Fino a quando i due rimangono insieme, la fortuna continua a sorridere a entrambi, con i loro spettacoli che riscuotono ovunque un enorme successo.
Il loro è un rapporto che, sebbene improntato essenzialmente alla professionalità, sembra nascondere qualcosa di più profondo e coinvolgente, sebbene nessuno dei due abbia il coraggio di riconoscerlo e, quindi, di ammetterlo.
In effetti, è nel momento in cui vediamo Gabor lanciare con estrema precisione i suoi affilati coltelli contro Adèle, che tra i due sembra instaurarsi una maggiore intimità, proprio come in un rapporto erotico, all’interno del quale si presenta alquanto labile il confine tra paura e piacere; come  appare evidente anche dalla visione di questa clip, in cui, grazie anche alla stupenda melodia di "Who Will Take My Dreams Away?" ( interpretata da Marianne Faithful ), ci ritroviamo magicamente coinvolti nella sensuale atmosfera di quel momento così carico di passione; una passione destinata inevitabilmente ad esplodere.
La scelta del bianco e nero, oltre a rendere questa pellicola originale dal punto di vista visivo, riesce a sospenderla nel tempo, come se il regista avesse voluto sottolineare l’eterna validità del messaggio di speranza che con “La ragazza sul ponte” ci vuole trasmettere.



Titolo: La ragazza sul ponte ( La fille sur le pont )
Regia: Patrice Leconte
Interpreti : Daniel Auteuil, Vanessa Paradis, Luc Palun, Frederic Pfluger
Nazionalità: Francia
Anno : 1999

sabato 22 settembre 2012

“Giù al nord” di Dany Boon: quando i pregiudizi si combattono ridendo.


Già campione d’incassi al box-office francese, nell’ottobre del 2008 “Giù al nord”, diretto e interpretato da Dany Boon, arrivò nelle nostre sale, riscuotendo un notevole successo di pubblico anche qui in Italia. In questa pellicola il regista affronta in chiave comica il tema delle differenze sociali e culturali tra il nord e il sud della Francia e i pregiudizi che ne derivano. Due anni più tardi, nel 2010, il “nostro” Claudio Bisio decise poi di realizzarne un remake in salsa italiana: il fortunatissimo “Benvenuti al sud”.
Philippe (Kad Merad) è il direttore dell’ufficio postale di Salon-de-Provence.
Costantemente  pressato dalla moglie Julie (Zoé Felix), che vuole andare a vivere in Costa Azzurra, e nel tentativo di ottenere più facilmente il trasferimento in quella regione, decide di fingersi disabile. Scoperto però da un ispettore che sta seguendo la sua pratica, invece di essere licenziato, viene assegnato per punizione all’ufficio postale di Bergues, nel freddo Nord-Pas de Calais.
A causa dei numerosi pregiudizi che avvolgono quella regione della Francia,  Philippe vive  questo trasferimento come una vera e propria tragedia; a ogni modo, costretto ad accettare la nuova destinazione, si prepara a partire senza la sua famiglia al seguito.
Nei giorni che seguiranno il suo arrivo a Bergues, scoprirà però che il clima non è poi così terribile come glielo avevano descritto, e gli abitanti del luogo, sebbene parlino lo Ch’ti ( un dialetto a lui praticamente incomprensibile ) si dimostreranno nei suoi confronti estremamente ospitali.
Inoltre con i colleghi, e in particolar modo con Antoine (Dany Boon),  settimana dopo settimana si svilupperà un profondo rapporto di amicizia. Quando infatti dopo tre anni, e numerose e divertenti peripezie, Philippe otterrà finalmente il tanto atteso trasferimento nel sud della Francia, per lui sarà estremamente doloroso separarsi dai suoi cari amici Ch’ti.


Originario proprio del Nord-Pas de Calais, Dany Boon ha voluto dedicare questa sua seconda opera come regista a un tema al quale è particolarmente sensibile; ovvero il diffuso pregiudizio dei  francesi nei confronti dell’area di Lille, ritenuta incredibilmente fredda e piovosa e, soprattutto, abitata da persone grette e poco socievoli.
E’ proprio nel tentativo di dissipare questi spiacevoli preconcetti che Boon ha realizzato una  commedia esilarante ma al tempo stesso estremamente umana, in cui vediamo il personaggio interpretato da Kad Merad cambiare lentamente opinione sugli abitanti di Bergues e sulle loro abitudini, rivelandosi così del tutto infondato ciò che fino ad allora  gli era stato raccontato su quella regione del nord della Francia.
Dopo tre anni, nel momento in cui verrà finalmente trasferito  al sud, a Porquerolles, constaterà poi la veridicità del proverbio citatogli da Antoine al momento del suo arrivo a Bergues, ovvero: “Quando uno straniero viene a vivere al nord, raglia due volte: quando arriva e quando riparte”.
Philippe rappresenta il prototipo di colui che, non conoscendo da vicino il Nord-Pas de Calais, ne ha un’idea estremamente negativa, a causa delle sue difficili condizioni climatiche, della povertà e  disperazione degli abitanti.
La maggior parte delle gag a cui assistiamo durante la visione del film ruota intorno alle frequenti incomprensioni tra Philippe e i suoi colleghi derivanti dall’uso dello Ch’ti, in cui, fra le varie peculiarità,  la pronuncia delle “s” diventa “ch”, e il “toi” e “moi” si trasformano rispettivamente in “ti” e “mi”.
Nonostante l’impresa si presentasse tutt’altro che semplice, bisogna a ogni modo riconoscere che con “Giù al nord” Dany Boon è riuscito a far riflettere e, contemporaneamente, a  divertire i suoi connazionali, facendoli ridere fino alle lacrime, come dichiarato dal quotidiano francese “Le Monde”.



Titolo: Giù al nord ( Bienvenue chez les Ch’tis )
Regia: Dany Boon
Interpreti : Kad Merad, Dany Boon, Zoé Felix, Philippe Duquesne, Line Renaud
Nazionalità: Francia
Anno : 2007

martedì 18 settembre 2012

“Per fortuna che ci sei” di James Huth: l’amore, quando meno te lo aspetti.


Uscito in Francia nel giugno di quest’anno, e da noi trasmesso di recente, direttamente in televisione, “Per fortuna che ci sei” è una commedia romantica che, sebbene di produzione francese, per struttura e ritmo riporta alla mente le vecchie pellicole hollywoodiane degli anni trenta e quaranta. Accanto a una splendida Sophie Marceau ritroviamo il simpaticissimo Gad Elmaleh, che qui in Italia conosciamo soprattutto per i suoi ruoli comici ne “Una top model nel mio letto” e “Ti va di pagare?
Sacha (Gad Elmaleh) è un musicista single che trascorre le sue serate suonando il piano nei jazz club, divertendosi con gli amici e passando da una donna all’altra. Vive da solo in un loft situato nel quartiere di Montmartre senza alcuna responsabilità sulle spalle e, soprattutto, senza avvertire minimamente il bisogno di una relazione sentimentale stabile; questo fino a quando, in un piovoso martedì di maggio, non incontra Charlotte (Sophie Marceau). Tra i due scatta immediatamente il colpo di fulmine.
Lei è una donna in carriera, che organizza mostre di arte contemporanea per conto di Alain Posche (François Berléand), potente e arrogante uomo d’affari parigino, nonché l’ultimo dei due suoi ex-mariti. Dovendo inoltre occuparsi di tre figli, conduce una vita diametralmente opposta a quella di Sacha.
Sebbene i due apparentemente non abbiamo nulla in comune, dopo una serie di peripezie, capiranno però di non poter più fare a meno l’uno dell’altra.


Non è certamente la prima volta che l’idea della storia d’amore tra due persone caratterialmente agli antipodi viene utilizzata dal cinema, soprattutto da quello americano; ed è proprio alle indimenticabili pellicole di Frank Capra e George Cukor che si è ispirato James Huth per realizzare questa divertente commedia rosa in cui sono evidenti i richiami al genere slapstick.
Per fare questo il regista si è avvalso non solo dell’innata comicità di Gad Elmaleh, ma anche del poliedrico talento di Sophie Marceau che, nonostante l’immagine decisamente sofisticata di Charlotte, in questo film vediamo più volte inciampare e cadere rovinosamente a terra in modo alquanto maldestro.
Tra il personaggio di Sacha e quello di Charlotte, è indubbiamente il primo ad affrontare un vero e proprio cambiamento; dichiaratamente allergico alle relazioni stabili e, soprattutto, ai bambini, a poco a poco lo vediamo prendere le distanze da alcune posizioni che hanno contraddistinto per anni il suo stile di vita prima dell’incontro con Charlotte.
Quest’ultima invece, dopo la fine del suo secondo matrimonio, sembra non avere né il tempo né il desiderio di pensare a un nuovo amore, in quanto già sufficientemente impegnata a destreggiarsi tra la sua carriera e la cura dei propri figli. 
In un ruolo secondario, ma non per questo meno importante, ritroviamo il bravissimo François Berléand, nei panni di uno dei due ex-mariti di Charlotte, il quale, al fine di contrastare la relazione tra i due, non mancherà di esercitare la sua influenza nel tentativo di screditare professionalmente il musicista.
La scelta delle locations contribuisce indubbiamente a conferire un ulteriore tocco glamour a questa pellicola, la cui fotografia ci regala una Parigi insolitamente colorata e luminosa, perfino nella scena dell’incontro sotto la pioggia tra Sacha e Charlotte, in cui possiamo riascoltare in sottofondo l’indimenticabile “A sunday kind of love” di Etta James. 


Titolo: Per fortuna che ci sei ( Un bonheur n’arrive jamais seul )
Regia: James Huth
Interpreti : Sophie Marceau, Gad Elmaleh, Maurice Barthélémy, François Berléand
Nazionalità: Francia
Anno : 2011

giovedì 13 settembre 2012

“Bella di giorno” di Luis Buñuel: la fragilità di una donna morbosamente in bilico tra sogno e realtà.


Tratto da un romanzo di Joseph Kessel del 1929, e diretto nel 1967 dal regista spagnolo Luis Buñuel, “Bella di giorno” suscitò un enorme scandalo per la scabrosità dei temi trattati all’epoca in cui uscì nelle sale. A ogni modo, in considerazione dell’elevato valore artistico riconosciutogli, questo film si aggiudicò il Leone d’oro alla  Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Protagonista della pellicola è una straordinaria Catherine Deneuve, nel ruolo di una moglie borghese dalla personalità alquanto complessa, affiancata da alcuni mostri sacri del cinema francese che rispondono ai nomi di Jean Sorel, Michel Piccoli e Pierre Clementi.
Séverine (Catherine Deneuve) è l’elegante e sofisticata moglie di un medico parigino (Jean Sorel).
A causa di turbe psichiche che, da quello che riusciamo a intuire, risalgono probabilmente agli anni della sua infanzia, ha una vita affettiva alquanto distorta, caratterizzata da un’evidente frigidità nel rapporto con il marito e, contemporaneamente, da evidenti inclinazioni masochiste.
Nel tentativo di dare sfogo alle proprie fantasie erotiche e di liberarsi dalle fobie che ne condizionano pesantemente l’esistenza, Séverine inizia a prostituirsi tutti i pomeriggi, dalle 14 alle 17, presso l’appartamento di Madame Anaїs (Geneviève Page), con il nome di “Bella di giorno”.
L’incontro con Marcel (Pierre Clementi), uno dei frequentatori di quella casa di appuntamenti, e la travolgente passione che li unirà, avrà però delle inaspettate e, soprattutto, drammatiche conseguenze nella vita di Séverine.


Ambientata in un’incantevole Parigi della metà degli anni sessanta, la pellicola di Buñuel nasconde  sotto la sua elegante patina dorata tutte le torbide contraddizioni di una donna borghese, incapace di  vivere serenamente il proprio matrimonio.
Alla base di questa sua instabilità affettiva sembrano esserci le molestie sessuali subite da bambina da parte di un adulto, secondo quanto possiamo intuire dalla visione di un breve flashback all’interno del film.
La narrazione del regista si contraddistingue per un continuo intrecciarsi della realtà con il sogno, all’interno del quale Séverine si rifugia dando libero sfogo alle sue fantasie più intime; questo almeno fino a quando non inizierà a prostituirsi.
Inizialmente timorosa e riluttante ad assecondare i desideri e le perversioni dei clienti della casa di appuntamento presso la quale si reca quotidianamente, ben presto però si renderà conto di non poter più fare a meno di quella sua vita “parallela”, in cui “Bella di giorno” prende il posto di Séverine.
La fatale attrazione per Marcel, personaggio dalla fedina penale tutt’altro che pulita, segnerà però l’inizio di un drammatico precipitare degli eventi, in conseguenza del quale Séverine smetterà di essere una delle ragazze di Madame Anaїs, pur continuando però a rifugiarsi nelle atmosfere oniriche dei suoi sogni.




Titolo: Bella di giorno ( Belle de jour )
Regia: Luis Buñuel
Interpreti : Catherine Deneuve, Jean Sorel, Michel Piccoli, Macha Meril, Pierre Clementi
Nazionalità: Francia
Anno : 1967

giovedì 23 agosto 2012

“Il truffacuori” di Pascal Chaumeil: gli inattesi risvolti dell’amore.


La cartolina dalla Francia di oggi arriva dal Principato di Monaco: una delle locations scelte dal regista Pascal Chaumeil per “Il truffacuori”, la divertente pellicola del 2010 in cui ritroviamo in un ruolo comico il poliedrico Romain Duris, affiancato dalla sofisticata Vanessa Paradis.
Alex Lippi (Romain Duris) di professione fa il “sabotatore di coppie” .
Coadiuvato dalla sorella Mélanie (Julie Ferrier) e dal cognato Marc (François Damiens), su richiesta dei clienti e forte del proprio fascino, fa in modo che donne legate sentimentalmente all’uomo sbagliato rompano improvvisamente  il loro fidanzamento.
Alex è talmente bravo nel suo lavoro che riesce sempre a raggiungere l’obiettivo.
Quando però viene contattato dal ricco signor Van der Beck, intenzionato a impedire l’imminente  matrimonio della figlia Juliette (Vanessa Paradis) con un giovane inglese, l’impresa si rivela però tutt’altro che semplice per lui.
A rendere ancora più complicata la matassa ci pensa poi un usuraio, al quale Alex deve un’ingente somma di denaro; una ragione in più per cui deve assolutamente portare a termine con successo la missione per la quale è stato ingaggiato.
Riuscirà anche questa volta nel suo intento, oppure si ritroverà ad affrontare qualcosa di completamente inaspettato per lui?


Il truffacuori” è una commedia piacevole e piena di ritmo, grazie soprattutto alla presenza di  Romain Duris, molto apprezzato in Francia anche in  ruoli drammatici, ma che in Italia conosciamo soprattutto per “L’appartamento spagnolo” e il sequel “Bambole Russe”.
Nella parte del fascinoso Alex, con barba incolta e capelli lunghi, lo vediamo infatti cantare, ballare,  e perfino lanciarsi da una bicicletta su di un battello in movimento.
Il personaggio da lui interpretato è un uomo sicuro di sé, abituato a viaggiare intorno al mondo a causa della sua professione e che, proprio come fosse un agente segreto in missione, si avvale di un’attrezzatura altamente tecnologica.
E’ capace perfino di farsi venire le lacrime agli occhi nel tentativo di far capitolare ai suoi piedi la “vittima” di turno, e impedirle così di sposare la persona sbagliata; ma con Juliette la situazione si prospetta del tutto differente.
Alex le si presenta come suo bodyguard personale, ma lei non ha la minima intenzione di trovarselo tra i piedi.
Lui comunque non si arrende, e quando finalmente sarà sul punto di conquistare anche Juliette, inaspettatamente si ritroverà a fare i conti con la propria coscienza, perché non si può sempre giocare con i sentimenti.
Particolarmente divertente è la scena in cui Alex e Juliette si trovano in macchina e, ascoltando alla radio la celeberrima “Wake me up before you go go” degli Wham,  nessuno dei due riesce a resistere alla tentazione di canticchiarla; come pure quella in cui i due ripropongono l’indimenticabile coreografia tratta dal film “Dirty dancing”.
L’azzeccato susseguirsi di locations differenti contribuisce inoltre a rendere ulteriormente movimentata una già brillante sceneggiatura. L’azione, che ha inizio tra le suggestive dune del deserto africano, si sposta subito dopo nella decisamente più metropolitana Parigi, per poi trasferirsi definitivamente nell’elegante Principato di Monaco.
Qui di seguito trovate il trailer del film, mentre cliccando QUI potete iscrivervi alla pagina di “Cartoline dalla Francia”, se desiderate seguire gli aggiornamenti di questo blog direttamente sul vostro profilo Facebook.

     
Titolo: Il truffacuori ( L’arnacoeur )
Regia: Pascal Chaumeil
Interpreti : Romain Duris, Vanessa Paradis, Julie Ferrier, François Damiens
Nazionalità : Francia, Principato di Monaco
Anno : 2010