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sabato 2 gennaio 2021

“LE VERITA’ “ di Hirokazu Kore-eda: il doloroso percorso introspettivo, a ritroso nel tempo, di una madre e una figlia.


 Foto: Allociné

Fabienne Dangeville ( Catherine Deneuve ) è un’attrice con una lunga e invidiabile carriera cinematografica alle spalle, ma oramai da anni sul viale del tramonto.
Ha da poco pubblicato un’autobiografia e, proprio per celebrarne l’uscita, riceve da New York la visita della figlia Lumir ( Juliette Binoche ), di professione sceneggiatrice, accompagnata dal marito Hank ( Ethan Hawke ) e dalla piccola Charlotte. 
Proprio leggendo quel libro, Lumir si accorge però che quanto riportato dalla madre, soprattutto con riferimento al loro rapporto, purtroppo non corrisponde alla realtà; e così, alquanto indignata per l’evidente mistificazione dei fatti, finisce inevitabilmente per rinfacciare all’anziana genitrice il palese disinteresse da lei mostratole negli anni della sua infanzia, risvegliando così tutta una serie di dissapori e incomprensioni che il passare del tempo ha solamente assopito, ma non definitivamente cancellato…


Foto: Allociné

Dopo il pluripremiato “Un affare di famiglia”Hirokazu Koreeda torna a occuparsi delle dinamiche che si sviluppano all’interno di contesti familiari, questa volta spostando però l’azione dall’oriente all’Europa, e più nello specifico in Francia. 
Qui, in un’elegante dimora situata nei dintorni di Parigi, prende rapidamente forma un tormentato “gioco al massacro”, protagonista del quale è una figlia che non hai mai perdonato alla propria madre di averla sempre trascurata, in quanto troppo concentrata su se stessa e la propria carriera. 
E’ la recente pubblicazione di un libro di memorie dell’attrice a scatenare una serie di accese discussioni all’interno delle mura domestiche, nel corso delle quali Lumir di certo non le risparmia accuse anche piuttosto pesanti. 
Mentre assistiamo alle riprese del suo ultimo film, nel quale Fabienne non interpreta più il ruolo della protagonista a cui un tempo era abituata, finzione e realtà si intrecciano e sovrappongono, aprendo così alle due donne le porte di un doloroso percorso introspettivo a ritroso nel tempo, al termine del quale entrambe giungeranno ( forse ) a trovare un sofferto punto di intesa, e a chiudere definitivamente i conti con il passato. 
Per la sua prima produzione europea, il regista giapponese è riuscito a dirigere uno straordinario cast di interpreti, all’interno del quale brillano le stelle di Catherine Deneuve e Juliette Binoche: due attrici appartenenti a due diverse generazioni del cinema francese che, con le loro molteplici peculiarità, si rivelano praticamente perfette per i loro rispettivi ruoli.


Foto: Allociné

Titolo: Le verità ( La vérité )
Regia: Hirokazu Kore-eda
Interpreti: Catherine Deneuve, Juliette Binoche, Ludivine Sagnier, Ethan Hawke
Nazionalità: Francia
Anno: 2019
In vendita su Amazon.it
Trailer




sabato 19 maggio 2018

PARIGI A PIEDI NUDI di Abel & Gordon: le tragicomiche peripezie di una singolare coppia di personaggi.


48 anni fa Martha ( Emmanuelle Riva ) ha lasciato il suo freddo e sperduto villaggio in Canada per trasferirsi a Parigi; e adesso, giunta alla veneranda età di 88 anni, sola e con la memoria che spesso le gioca brutti scherzi, rischia di dover andare a vivere contro la sua volontà in una casa di riposo.
Terrorizzata dall’idea che ciò accada, chiede quindi aiuto alla nipote Fiona ( Fiona Gordon ), un’imbranata bibliotecaria di mezz’età che vive ancora in Canada.
Quest’ultima, non appena riceve la lettera  dell’anziana zia, parte per Parigi, ma una volta giunta nella capitale francese, scopre purtroppo che Martha è misteriosamente scomparsa, e quindi si mette immediatamente sulle sue tracce.
Per lei questo è solamente l’inizio di un’infinita serie di tragicomiche peripezie nelle quali è però costantemente accompagnata da Dom ( Dominique Abel ), un curioso clochard parigino conosciuto poco dopo il suo arrivo in Francia.
Grazie a lui, la goffa Fiona riuscirà a trovare molto di più di ciò che sta realmente cercando…


Parigi a piedi nudi” è un’originale e gradevolissima commedia, nella quale, grazie al genio della supercollaudata accoppiata Abel & Gordon – autori, registi nonché interpreti di questa fortunata pellicola – l’indimenticabile comicità di Jacques Tati e degli attori del cinema muto torna a rivivere, e soprattutto a divertire, sullo schermo.
Sullo sfondo di una Parigi particolarmente colorata assistiamo infatti alle divertenti disavventure di una singolare coppia di personaggi, i quali, sebbene caratterizzati da due percorsi di vita diametralmente opposti, finiscono per trovarsi inaspettatamente in sintonia.
In effetti, l’amore, la solitudine, il sopraggiungere della vecchiaia, ma soprattutto l’accettazione del diverso, sono solo alcune delle importanti tematiche che, sebbene con il sorriso, “Parigi a piedi nudi” riesce ad affrontare.
Grazie all’indiscutibile bravura dei rispettivi interpreti, Fiona e Dom danno l’impressione di essere usciti direttamente da un cartone animato, contribuendo così a sottolineare il carattere decisamente surreale della pellicola.
Ad affiancarli, ritroviamo con piacere il sempre divertente Pierre Richard, e la straordinaria Emmanuelle Riva, qui nella sua ultima e commovente interpretazione.


Titolo: Parigi a piedi nudi ( Paris pieds nus )
Regia: Abel & Gordon
Interpreti: Dominique Abel, Fiona Gordon, Emmanuelle Riva, Pierre Richard
Nazionalità: Francia, Belgio
Anno: 2016

sabato 30 aprile 2016

“Tre cuori” di Benoît Jacquot: gli imprevedibili e bizzarri intrecci del destino.


Marc ( Benoît Poelvoorde ) è un ispettore dell’ufficio delle imposte, che vive e lavora a Parigi.
Trovandosi in trasferta in un’altra città per eseguire una delle sue verifiche fiscali, una sera, in un bar, conosce Sylvie ( Charlotte Gainsbourg ).
I due trascorrono insieme la nottata conversando piacevolmente, e al mattino seguente decidono di darsi appuntamento nella capitale francese, definendo solamente la data, l’ora e il luogo dell’incontro, senza però scambiarsi i rispettivi numeri di telefono.
Alcuni giorni più tardi, Sylvie parte quindi per Parigi; nel frattempo anche Marc si reca all’appuntamento, ma durante il tragitto viene colpito da un attacco di cuore.
Sebbene in ritardo, raggiunge comunque il luogo dell’incontro ma, purtroppo, non trova nessuno ad attenderlo.
Qualche tempo dopo, sul luogo di lavoro, Marc incontra Sophie ( Chiara Mastroianni ); la donna ha un serio problema con il fisco per alcune  irregolarità nella tenuta delle scritture  contabili del suo negozio di antiquariato, e appare agli occhi di Marc talmente disperata, che quest’ultimo decide di aiutarla.
Dalla loro frequentazione nasce quindi una bella storia d’amore, che ben presto li porta all’altare; poco tempo dopo, però, l’uomo scopre casualmente che Sophie e Sylvie sono sorelle. 
Nonostante i due cognati tentino inizialmente di ignorarsi, non riescono comunque a frenare a lungo la passione che non erano riusciti a consumare tempo prima, dando così vita ad un pericoloso ménage à trois che finirà per segnare inevitabilmente e drammaticamente le vite di tutti e tre…


Protagonista indiscusso di “Tre cuori” è il destino, che con i suoi imprevedibili, e spesso alquanto bizzarri intrecci, finisce sempre per definire il corso delle nostre vite.
Questo è ciò che esattamente accade anche a Marc: un ligio funzionario dell’ufficio delle imposte, affetto da un serio problema cardiaco, il quale, suo malgrado, si ritrova al centro di un insolito triangolo, nel quale due sorelle, anche se molto legate l’una all’altra, si ritrovano  a contendersi il suo amore.
La pellicola di Benoît Jacquot si presenta fin dalle prime scene come un elegante melodramma ambientato sullo sfondo della provincia francese ma, con lo svilupparsi della vicenda, assume i tratti caratteristici del thriller sentimentale, rendendosi così particolarmente intrigante per lo spettatore.
Nei panni alquanto scomodi di Marc ritroviamo il sempre più bravo Benoît Poelvoorde, mentre Charlotte Gainsbourg e Chiara Mastroianni sono rispettivamente Sylvie e Sophie: due sorelle all’apparenza tanto diverse tra loro, quanto le due attrici che magnificamente le interpretano.
Più che dovuta, una menzione speciale spetta infine per la grandissima Catherine Deneuve, la quale, anche se in un ruolo secondario, ci dà l’ennesima dimostrazione della sua indiscutibile maturità artistica.    


Titolo: Tre cuori ( 3 coeurs )
Regia : Benoît Jacquot
Interpreti: Benoît Poelvoorde, Charlotte Gainsbourg, Chiara Mastroianni, Catherine Deneuve
Nazionalità: Francia
Anno: 2014




sabato 19 ottobre 2013

“Come rubare un milione di dollari e vivere felici” di William Wyler: una sofisticata commedia sentimentale per la coppia glamour Hepburn-O’Toole.


Charles Bonnet (Hugh Griffith) è un rinomato collezionista d’arte; però, ad eccezione della figlia Nicole (Audrey Hepburn), nessuno sa che in realtà è lui l’autore delle famosissime opere d’arte che è solito mettere all’asta.
Quando un giorno l’uomo decide di prestare ad un museo di Parigi la Venere del Cellini ( una statuetta che in realtà è stata realizzata anni prima dal nonno di Nicole), scopre purtroppo che per ragioni assicurative quella stessa opera d’arte dovrà essere esaminata da un esperto.
A quel punto la donna, disperata, decide di rivolgersi a Simon (Peter O’Toole), un affascinate ladro che poco tempo prima si era introdotto in casa sua con l’intento di rubare uno dei quadri appartenenti alla collezione del padre, proponendogli di entrare nel museo dove la Venere è esposta e di rubarla per lei. Inizialmente riluttante, l’uomo finisce per accettare.
Insieme riusciranno a portare a segno il furto; poco dopo, però, Nicole scoprirà qual è in realtà la vera identità di  Simon…

Nel 1966, Audrey Hepburn tornò a Parigi per girare, sotto l’esperta regia di William Wyler, “Come rubare un milione di dollari e vivere felici”: una sofisticata commedia sentimentale.
Punto forte della pellicola, ancora più del divertente gioco degli equivoci ( già comunque ampiamente sfruttato dalla commedia americana ), è la storia d’amore che si sviluppa lentamente tra i due personaggi interpretati della coppia glamour  Hepburn-O’Toole.
Lei sempre frizzante e raffinata negli eleganti abiti firmati dal celeberrimo stilista francese Givenchy; lui, invece, nei panni di un ambiguo ladro gentiluomo che finisce per far capitolare ai suoi piedi la dolce, ma alquanto determinata, Nicole.
Momento clou di “Come rubare un milione di dollari e vivere felici” è senza alcun dubbio la divertente scena in cui i due rimangono nascosti in un angusto ripostiglio del museo, nell’attesa di poter entrare in azione.
Ancora una volta Parigi, con la magia dei suoi monumenti e l’incredibile fascino dei suoi edifici, si rivela la location ideale per una storia in cui l’azione si combina con estrema naturalezza con gli elementi caratteristici della commedia sentimentale.





Titolo: Come rubare un milione di dollari e vivere felici ( How to steal a million )
Regia: William Wyler
Interpreti: Audrey Hepburn, Peter O’Toole, Eli Wallach, Hugh Griffith
Nazionalità: USA
Anno: 1966

lunedì 5 novembre 2012

“Fino all’ultimo respiro” di Jean-Luc Godard: Parigi, gli anni 60 e… la Nouvelle Vague.


Fino all’ultimo respiro” è il primo lungometraggio di Jean-Luc Godard; tratto da un soggetto di François Truffaut, e realizzato sotto la supervisione tecnica di Claude Chabrol, è considerato il film-manifesto della Nouvelle Vague francese.
Al fianco di un superbo Jean-Paul Belmondo, troviamo una giovanissima Jean Seberg: la graziosa attrice americana che questa pellicola consacrò icona di stile degli anni sessanta.
Michel Poiccard (Jean-Paul Belmondo) è un giovane balordo che vive di espedienti, barcamenandosi tra furti e truffe.
Dopo aver rubato l’ennesima auto a Marsiglia, prima di fuggire in Italia si reca a Parigi per recuperare da un amico del denaro che gli spetta.
Inseguito da due agenti per eccesso di velocità, ne uccide uno con una pistola che ha trovato nel cruscotto dell’auto.
Arrivato a Parigi, dopo aver ritrovato Patricia Franchini (Jean Seberg), una studentessa americana della quale si era precedentemente innamorato, cerca di convincerla ad andare con lui in Italia.
La ragazza però, sebbene non sembri disdegnare le attenzioni di Michel, non ha nessuna intenzione di seguirlo, non approvando il suo stile di vita dissoluto.
Poco dopo Michel apprende dai giornali di essere ricercato dalla polizia, che nel frattempo ha interrogato Patricia, essendo stata vista insieme a lui.
L’americana, nel tentativo di farlo fuggire prima che venga arrestato, decide di denunciarlo rivelando il luogo in cui Michel si è nascosto.
Raggiunto dalla polizia, l’uomo tenta di fuggire ma inutilmente; muore infatti sotto lo sguardo contrito di Patricia, dopo essere stato colpito da un agente.



Girato tra Parigi e Marsiglia in poco meno di un mese e con un budget alquanto limitato, con “Fino all’ultimo respiro”  Jean-Luc Godard reinventò il modo di fare cinema, mettendo in pratica quella volontà di opporsi alle rigide regole che avevano caratterizzato fino ad allora l’industria cinematografica francese, secondo quanto rivendicato dallo stesso Godard e dagli altri registi fondatori del movimento della Nouvelle Vague.
In nome di una libertà di espressione che abbracciava anche la realizzazione tecnica di un film, durante le riprese scomparve infatti l’uso di cavalletti e binari; basti ricordare che per girare la celebre scena in cui Michel e Patricia passeggiano l’una accanto all’altro sugli Champs-Elysées, il regista si avvalse di una macchina da presa installata su di una bicicletta.
Caratterizzato da una sceneggiatura alquanto esile, “Fino all’ultimo respiro” è un omaggio ai vecchi polizieschi americani, di cui Godard era un grande appassionato.
Il personaggio di Michel, interpretato magnificamente da un giovane Jean-Paul Belmondo, sebbene viva costantemente sopra le righe, nasconde in realtà un lato estremamente tenero come ci è dimostrato dal suo affetto per Patricia; affetto che gli impedisce perfino di mettersi in salvo, e quindi di allontanarsi da lei, nel momento in cui la ragazza gli rivela di averlo denunciato alla polizia.
Fa da sfondo a questa sfortunata storia d’amore, una Parigi che affascina nonostante l’immagine estremamente semplice che ci viene restituita da una fotografia in bianco e nero ridotta all’essenziale, e che è indubbiamente rappresentativa di un’importante fase di transizione nella storia politica e culturale della Francia.


  
Titolo: Fino all’ultimo respiro ( A bout de souffle )
Regia: Jean-Luc Godard
Interpreti : Jean-Paul Belmondo, Jean Seberg, Daniel Boulanger, Jean-Pierre Melville
Nazionalità: Francia
Anno : 1960


mercoledì 17 ottobre 2012

“Play Time” di Jacques Tati: Monsieur Hulot nel caos della civiltà moderna.


Dopo tre anni di lunga e sofferta lavorazione, nel 1967 uscì finalmente nelle sale francesi “Play  Time”: il quarto lungometraggio di Jacques Tati. Questa pellicola, sebbene considerata un capolavoro per l’attenzione quasi maniacale prestata ai singoli dettagli, si rivelò un vero e proprio fiasco al botteghino, determinando così la rovina economica del geniale cineasta francese a causa degli elevatissimi costi di produzione dallo stesso sostenuti per la sua realizzazione.
In una Parigi ultramoderna, popolata da altissimi palazzi in vetro e acciaio, si intrecciano le vite  di una serie di alquanto bizzarri personaggi.
Monsieur Hulot (Jacques Tati) si reca in uno di questi edifici per un importante appuntamento e invece, perdendosi in un complicato labirinto di uffici e corridoi, si ritrova a visitare insieme a un gruppo di turiste americane una fiera campionaria, all’interno della quale vengono presentati dei singolari oggetti dal design moderno.
Successivamente Hulot incontra un suo ex-compagno d’armi che lo invita nel suo appartamento-vetrina, da lui acquistato di recente.
Al calar della notte, poi, si ritroverà insieme agli altri personaggi da lui incrociati nel corso di quella insolita giornata all’inaugurazione di un night-club, durante la quale il locale verrà invece completamente distrutto a seguito del verificarsi di una serie di comici incidenti.



Dopo “Le vacanze di Monsieur Hulot” e “Mio zio”, Jacques Tati portò per la terza volta sullo schermo le peripezie dello strampalato signore dal portamento dinoccolato.
Caratterizzato dall’assenza di una vera e propria trama, e girato in 70mm, “Play Time” sviluppa la sua comicità soprattutto a livello visivo e sonoro, poiché i dialoghi tra i personaggi di cui riusciamo a fare una superficiale conoscenza durante la visione della pellicola sono ridotti praticamente al minimo.
Ancora prima che per la sua genialità e originalità, questo lungometraggio viene ricordato per l’enorme set fatto costruire appositamente da Tati nella periferia di Parigi, nei pressi dell’aeroporto di Orly, che per questo motivo venne soprannominato “Tativille”.
Il regista francese ha immaginato una metropoli futurista dove altissimi e asettici palazzi, che potremmo ritrovare in qualunque altra città del mondo, hanno preso il posto dei ben più armoniosi edifici storici. In effetti, ci rendiamo conto che l’azione si sta svolgendo a Parigi solo nel momento in cui riusciamo a intravedere, riflessi nelle vetrate delle nuovissime costruzioni, la Tour Eiffel, l’Arco di Trionfo e la Basilica di Montmartre.
“Play Time” si presenta come una satira sulla smania del moderno che contraddistingue il genere umano e, allo stesso tempo, tenta di mettere in guardia dai pericoli derivanti dall’uso delle nuove tecnologie che, come vediamo durante la serata inaugurale del Royal Garden, anziché agevolare la nostra quotidianità, rischiano di complicarla inutilmente, ostacolando così i normali rapporti umani.
Così facendo Tati riprende un tema da lui già trattato circa dieci anni prima in “Mio zio”, uno dei suoi indimenticabili capolavori, in cui il calore dei rapporti umani vissuti in un quartiere popolare nella Francia della fine degli anni cinquanta viene raffrontato, ovviamente con la dovuta dose di ironia, con l’eleganza dell’atmosfera che si respira all’interno di una villa ultramoderna, dotata di tutte le ultimissime invenzioni tecnologiche.   




Titolo: Play Time ( Play Time )
Regia: Jacques Tati
Interpreti : Jacques Tati, Barbara Dennek, Rita Maiden
Nazionalità: Francia
Anno : 1967


sabato 19 maggio 2012

“Il favoloso mondo di Amélie” di Jean-Pierre Jeunet: una favola moderna ambientata nel quartiere parigino di Montmartre.


Il favoloso mondo di Amélie”, del visionario Jean-Pierre Jeunet, è la cartolina dalla Francia di oggi che vorrei dedicare a tutti coloro che, sebbene non più bambini, amano ancora lasciarsi cullare dalle atmosfere surreali tipiche delle opere di questo regista; il quale, con questa pellicola, è riuscito a portare sullo schermo una piacevolissima favola moderna in cui ancora una volta trionfano i buoni sentimenti.
La giovane e graziosa Amélie Poulain (Audrey Tautou) lavora come cameriera presso il “Café des Deux Moulins” nel quartiere di Montmartre, a Parigi. Durante le sue giornate, che si susseguono in assoluta tranquillità, ama coltivare un gusto particolare per i piccoli piaceri della vita, come spezzare la crosta della Crème brûlée con la punta del cucchiaino, far rimbalzare i sassi sul Canal Saint-Martin, oppure affondare lentamente la mano in un sacco di legumi. Spesso, la domenica, va a trovare l’anziano padre, rimasto vedovo quando lei era ancora una bambina. La sera in cui apprende la notizia della morte di Lady Diana, Amélie ritrova casualmente, dietro a una mattonella della parete del bagno, una vecchia scatola, appartenuta ad un bambino vissuto in quello stesso appartamento molti anni prima, contenente alcuni piccoli oggetti. A seguito di tale inaspettato ritrovamento, Amélie si mette immediatamente alla ricerca del proprietario, che dopo varie peripezie scopre essere un certo Dominique Bretodeau, oramai divenuto adulto, e al quale con uno stratagemma riesce a riconsegnare la scatola. Nella sua ricerca risulta determinante l’aiuto de “L’uomo di vetro”: un anziano vicino di casa di Amélie, così soprannominato per una malattia congenita che gli ha causato la fragilità delle ossa. Per questo motivo l’uomo trascorre le sue giornate in casa a dipingere. La ragazza, rimasta piacevolmente colpita dalla reazione avuta da Bretodeau nel ritrovare dopo tanti anni il suo piccolo “tesoro”, decide così di dedicarsi ad aiutare gli altri, nel tentativo di sistemare tutto ciò che non va nelle loro vite. Allo stesso tempo, però, ergendosi a paladina dei più deboli, mette in atto una crudele vendetta ai danni del fruttivendolo del suo quartiere, per punirlo dei continui maltrattamenti inflitti al povero garzone della sua bottega. Un giorno Amélie incontra Nino (Mathieu Kassovitz), un ragazzo che ha il curioso hobby di raccogliere e collezionare in un grosso album le fototessere gettate via nelle stazioni di Parigi e che, come lei, ha avuto un’infanzia difficile. Lo smarrimento, da parte di Nino, del suo “prezioso” album di foto darà vita ad una serie di inseguimenti e perfino a una caccia al tesoro; fino a quando, dopo essersi prodigata tanto per aiutare gli altri, anche per Amélie arriverà la felicità e, soprattutto, l’amore…



Nonostante l’atmosfera a tratti surreale che permea la pellicola, “Il favoloso mondo di Amélie” si contraddistingue per l’estrema sensibilità e delicatezza con le quali vengono narrati i singoli passaggi del film, arrivando perfino, in alcuni momenti, a suscitare la commozione dello spettatore; come nella scena in cui Dominique Bretodeau, che Amélie attira con uno stratagemma in una cabina telefonica, ritrova, incredulo, la scatola appartenutagli molti anni prima, nella quale aveva raccolto alcuni piccoli oggetti della propria infanzia. Questo ritrovamento del tutto inaspettato lo porterà così a riflettere sulla propria vita, sul rapido scorrere degli anni e soprattutto sul suo rapporto con il figlio, con il quale non parla più da tempo.
Quello di Amélie Poulain è un personaggio con il quale molti spettatori si sono identificati. Da schiva e riservata, come ci viene presentata all’inizio del film, la vediamo trasformarsi lentamente in una giovane donna desiderosa di rendere migliore la vita di coloro che la circondano; ed è proprio aiutando gli altri che inizierà a riflettere su ciò che non va dentro di sé e ad aprire il proprio cuore all’amore: un sentimento del quale fin dagli anni della sua infanzia le è stata trasmessa, sebbene involontariamente, una visione alquanto distorta.
In un’epoca nella quale  i media ci propongono quotidianamente l’immagine di un mondo in cui il concetto di altruismo risulta tutt’altro che predominante, “Il favoloso mondo di Amélie” può indubbiamente apparire come una vera e propria utopia. Ritengo comunque che, di tanto in tanto, la visione di pellicole come questa possa comunque “fare bene al cuore”, giusto per poter continuare a credere  e sperare che l’amore e il rispetto per il prossimo non si siano ancora definitivamente estinti.
La poetica colonna sonora composta da Yann Tiersen sottolinea alla perfezione ogni singolo momento del film, come nel caso di Comptine d’un autre été, brano che ascoltiamo in sottofondo nella scena in cui Amélie si diverte a far rimbalzare i sassi sull’acqua del Canale Saint-Martin a Parigi, e che potete ascoltare, o riascoltare, cliccando QUI.
Il quartiere parigino di Montmartre fa da sfondo alle giornate di Amélie e degli altri curiosi personaggi che quotidianamente ruotano intorno alla sua vita; ed è proprio a Montmartre, in rue Lepic 15, che si trova il Café des Deux Moulins, locale che Jean-Pierre Jeunet ha scelto personalmente come set per le riprese e che, dopo l’uscita del film, è diventato una sorta di luogo di culto per tutti coloro che hanno amato questa pellicola, permettendogli così di risollevarsi dalla pesante situazione finanziaria in cui era piombato prima di essere scoperto dal regista. Potete raggiungerlo tranquillamente con il metro: fermate  Abbesses o Blanche.
Nelle vicinanze del Café des 2 Moulins, precisamente in Rue des 3 Frères, si trova anche la bottega di Monsieur Colignon, il dispotico fruttivendolo che subisce l’ “atroce” vendetta di Amélie.
Alcune scene del film sono state girate  presso la Gare de Lyon, la Gare de Paris Est e la Gare de Paris Nord: i luoghi prediletti da Nino per la ricerca e la raccolta di fototessere scartate.


 
Titolo: Il favoloso mondo di Amelie (Le Fabuleux destin d'Amélie Poulain ).
Regia: Jean-Pierre Jeunet
Interpreti : Audrey Tautou, Mathieu Kassovitz, Dominique Pinon, Jamel Debbouze.
Nazionalità : Francia
Anno : 2001



sabato 7 aprile 2012

“Le divorce” di James Ivory: due americane a Parigi.


"Tutto suona più sexy in francese” recita il sottotitolo di questa divertente pellicola di James Ivory, che dopo aver diretto numerosi capolavori in costume, come Casa Howard, Camera con vista e Quel che resta del giorno, ambienta questa sua sofisticata commedia nella Parigi dei nostri giorni.
Isabel ( Kate Hudson ) vola dalla California a Parigi per seguire da vicino la gravidanza della sorella Roxeanne ( Naomi Watts ). Arriva però proprio nel momento in cui Roxeanne viene abbandonata dal marito Charles-Henry, intenzionato a chiederle il divorzio.
Isabel, durante il suo soggiorno nella Ville lumière, mentre cerca di consolare la sorella in quel delicato momento della sua esistenza, rimane affascinata da Edgar ( Thierry Lhermitte ), maturo, e soprattutto sposato, diplomatico francese, zio di Charles-Henri, di cui diventerà l’amante. Ne seguirà uno scandalo che andrà a complicare ulteriormente i già tesi rapporti fra le due famiglie a causa della divisione dei beni fra  Charles-Henry e Roxeanne, soprattutto dopo che quest’ultima scoprirà che è stato attribuito un valore incredibilmente elevato al quadro che lei aveva portato con sé dagli Stati Uniti. Mettendo a confronto la cultura americana con quella europea ( in particolar modo quella francese ), e parlando di morale, soldi, matrimonio e sesso, “Le divorce” risulta essere, a mio avviso, una divertentissima commedia sugli usi e costumi di due mondi differenti.



Nella sua caratteristica e costante attenzione ai dettagli, James Ivory riesce a regalarci un’immagine decisamente sofisticata di Parigi. Grazie alla sua macchina da presa, non solo ci ritroviamo a passeggiare lungo le eleganti vie di questa città, ma riusciamo anche ad entrare nei più esclusivi ristoranti della capitale, allietando così la nostra vista con una lunga carrellata di piatti tipici della cucina francese, presentati sulla tavola in modo estremamente raffinato. Inoltre, nel momento in cui i toni della commedia virano dal rosa al giallo, ci ritroviamo ad osservare la Tour Eiffel da una prospettiva completamente diversa da quella alla quale siamo generalmente abituati…




Titolo: Le divorce ( Le divorce ).
Regia: James Ivory
Interpreti : Kate Hudson, Naomi Watts, Glenn Close, Leslie Caron, Thierry Lhermitte
Nazionalità : USA, Francia
Anno : 2003



domenica 11 marzo 2012

“Baci rubati”: l'indimenticabile pellicola di François Truffaut.



Vorrei dedicare il primo post di questo blog, ovvero la prima delle “Cartoline dalla Francia”, a “Baci rubati”: la commedia sentimentale di François Truffaut del 1968 che ho avuto occasione di vedere, e apprezzare, per la prima volta purtroppo solo di recente.
In questo film il regista, uno dei più importanti esponenti della Nouvelle Vague francese, dopo I 400 colpi e L’amore a vent’anni porta nuovamente sullo schermo il personaggio di Antoine Doinel, interpretato da Jean-Pierre Léaud, suo attore feticcio.
Riformato dal servizio militare per instabilità di carattere, Antoine torna dall’ex fidanzata Christine, nel tentativo di riallacciare, ma senza successo, i rapporti con lei.
Nel frattempo trova lavoro come portiere di notte in un albergo di Montmartre, ma viene subito licenziato per aver involontariamente aiutato un detective privato a cogliere in flagrante un'adultera. Viene quindi successivamente assunto dalla stessa agenzia investigativa, ma anche in questo caso dimostrerà ben presto di non essere all’altezza degli incarichi che gli vengono assegnati, arrivando perfino ad innamorarsi della moglie di un cliente.
Nella sua ricerca di una stabilità economica, passando rapidamente da un impiego ad un altro, e sentimentale, spaziando dall’amore mercenario a quello per una donna matura dell’alta borghesia, alla fine Antoine riuscirà comunque ad assicurarsi l’affetto della sua ex fidanzata, e a raggiungere, apparentemente, una più completa maturità interiore.



Oltre che per le tematiche trattate dal regista, a mio avviso ciò che rende questa pellicola particolarmente affascinante è il fatto di esser stata girata a Parigi proprio durante i giorni della contestazione studentesca del 1968, appartenendo quindi a un’epoca così densa di cambiamenti per la Francia e non solo.
Tra una gag di Antoine Doinel e l’altra, François Trauffaut ci accompagna con la sua macchina da presa lungo le strade e i giardini di una Parigi da favola, oppure, anche semplicemente spalancando la finestra di una camera da letto, ci regala incantevoli viste della città, fra cui mi è rimasta particolarmente impressa quella della basilica del Sacro Cuore a Montmartre.
Ritengo inoltre che una menzione particolare vada a Que reste-t-il des nos amours?, brano del 1942 scritto e interpretato da Charles Trenet, nonché indimenticabile colonna sonora del film, che con la sua struggente melodia riesce bene a sottolineare le tematiche della pellicola, e contribuisce a renderla indubbiamente una delle migliori di Truffaut.



Titolo: Baci rubati ( Baisers volés ).
Regia: François Truffaut
Interpreti: Jean-Pierre Léaud, Claude Jade, Delphine Seyrig, Michael Lonsdale, Daniel Ceccaldi
Nazionalità: Francia
Anno: 1968