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lunedì 19 ottobre 2015

“Nathalie…” di Anne Fontaine: il singolare rapporto tra due donne, in cui la rivalità si mescola morbosamente con la complicità.


Catherine ( Fanny Ardant ) e Bernard ( Gérard Depardieu ) sono una coppia borghese di mezz’età, la cui vita all’apparenza scorre tranquilla tra il lavoro e la famiglia.
Un giorno, per caso, Catherine scopre che Bernard l’ha tradita con un’altra donna; rimastane sconvolta, decide di metterlo alla prova controllandone i movimenti.
Per farlo, assolda quindi la conturbante Marlène ( Emmanuelle Béart ) - una spogliarellista - affinché, sotto il falso nome di Nathalie, tenti di sedurre suo marito, e le riferisca poi ogni suo comportamento.
Con il passare del tempo tra le due donne si sviluppa uno singolare rapporto, in cui la rivalità si mescola morbosamente con la complicità; questo fino al momento in cui, inaspettatamente, non accade qualcosa che permetterà a Catherine di riconciliarsi con Bernard…  


Il veterano Gérard Dépardieu e la sempre meravigliosa Fanny Ardant  ( ancora una volta insieme dopo la loro indimenticabile partecipazione ne La signora della porta accanto di François Truffaut ) formano insieme alla bellissima e bravissima Emmanuelle Béart lo straordinario cast di interpreti di cui si è avvalsa Anne Fontaine per “Nathalie…”.
Sebbene al centro della vicenda troviamo un particolare ménage à trois, la regista ha preferito concentrarsi sulle dinamiche del tutto imprevedibili che si sviluppano tra le due donne, interpretate da due attrici appartenenti a due diverse ( e fantastiche ) generazioni del cinema francese.
Catherine, in effetti, appare affascinata e al tempo stesso disgustata dalle azioni di Marlène / Nathalie; e, nonostante venga puntualmente informata da quest’ultima dei singoli comportamenti del marito ( con una dovizia di particolari che lascia poco o nulla all’immaginazione ), sembra più che mai determinata a perseguire nel suo intento di controllarne la vita sessuale fuori dalle mura domestiche.
Il registro narrativo di “Nathalie…” si contraddistingue per un alone di mistero quasi impalpabile che riesce come ad ipnotizzare lo spettatore durante la visione, accompagnandolo fino ad un inaspettato e spiazzante colpo di scena finale, a ulteriore dimostrazione che molto spesso le apparenze ingannano.


Titolo: Nathalie… ( Nathalie… )
Regia: Anne Fontaine
Interpreti: Gérard Depardieu, Fanny Ardant, Emmanuelle Béart
Nazionalità: Francia
Anno: 2003



lunedì 31 agosto 2015

“La signora della porta accanto” di François Truffaut: una passionale e travolgente storia di amour fou.


La vita di Bernard ( Gérard Depardieu ) scorre tranquilla nella periferia di Grenoble, dove vive insieme alla moglie Arlette ( Michèle Baumgartner ) e al figlio Thomas.
Un giorno, nella casa di fronte alla loro si trasferisce una coppia di coniugi: il maturo Philippe ( Henri Garcin ) e la bella Mathilde ( Fanny Ardant ).
In tutto questo non ci sarebbe nulla di strano, se non fosse che Bernard e Mathilde otto anni prima avevano avuto una turbolenta storia d’amore, conclusasi per entrambi tutt’altro che felicemente.
Di fronte ai loro rispettivi coniugi, i due fanno ovviamente finta di non conoscersi; però, Mathilde, nel disperato tentativo di riallacciare la  loro relazione, non perde occasione per avvicinare Bernard; da parte sua quest’ultimo, sebbene cerchi con ogni scusa di tenersi lontano da lei, finisce nuovamente, e inevitabilmente, per rimanere soggiogato dal fascino della donna.
I due iniziano così ad incontrarsi in segreto in un albergo di Grenoble; ben presto, però, la loro storia diviene di dominio pubblico.
A quel punto, mentre Bernard, nel tentativo di salvare in extremis il suo matrimonio, decide di interrompere immediatamente la sua relazione con Mathilde, quest’ultima va invece incontro a un forte esaurimento nervoso; per lei, sarà l’inizio di una lenta ed inesorabile discesa agli inferi, il cui epilogo si rivelerà per entrambi alquanto tragico…


Penultima pellicola della sua fortunata carriera cinematografica, con “La signora della porta accanto” il regista francese ci presenta una passionale e travolgente storia di amour fou, magistralmente interpretata dalla coppia Ardant - Dépardieu.
I due attori francesi si rivelano infatti perfettamente calati nella parte degli “amanti maledetti”, al centro di una relazione che si dipana in un continuo susseguirsi di allontanamenti e riavvicinamenti e che, per questo motivo, impedisce ad entrambi di vivere serenamente il loro amore.
I due, infatti, sembrano non raggiungere mai un punto fermo nella loro relazione, e anche quando, loro malgrado, finalmente ci riescono, il loro triste destino sarà per sempre “né con te, né senza di te”, giusto per citare le strazianti parole della signora Odile: uno dei tanti personaggi che nella vicenda ruotano intorno a Mathilde e Bernard, e a cui François Truffaut assegna anche l’importante ruolo di voce fuori campo nella narrazione della loro travagliata storia d’amore.


Titolo: La signora della porta accanto ( La femme d’à côté )
Regia: François Truffaut
Interpreti: Gérard Depardieu, Fanny Ardant, Henri Garcin, Véronique Silver
Nazionalità: Francia
Anno: 1981





lunedì 29 settembre 2014

“La mia droga si chiama Julie” di François Truffaut: una tormentata storia d’amore per due grandi icone del cinema francese.


Louis Mahé (Jean-Paul Belmondo) è il proprietario di una piantagione di tabacco sull’isola della Réunion; benestante e ancora scapolo, intrattiene un rapporto di corrispondenza con una donna francese di nome Julie.
Quando poi l’uomo decide di invitarla a raggiungerlo sull’isola, gli si presenta però una persona completamente diversa (Catherine Deneuve) da quella che lui aveva visto in fotografia.
Colpito dall’incredibile bellezza della donna, Louis crede alla sua bizzarra giustificazione, e l’accoglie comunque nella sua proprietà.
Dopo il matrimonio, i due sembrano condurre una felice vita insieme, sebbene alcuni strani atteggiamenti di Julie lascino Louis alquanto perplesso.
Follemente innamorato di lei, decide comunque di consentirle l’accesso illimitato ai propri conti bancari; la donna però, poco dopo, scompare dall’isola con tutti i soldi di Louis.
Scoperto quindi che in realtà sua moglie è una truffatrice, e, soprattutto, che ha assunto l’identità di un'altra persona, Louis si metterà subito sulle sue tracce per vendicarsi, ma le cose non si riveleranno così semplici per lui…



Tratta dal romanzo di William Irish, edito in Italia con il titolo “Vertigine senza fine”, questa ennesima pellicola di François Truffaut riscosse uno scarso successo sia di critica sia di pubblico all’epoca della sua uscita nelle sale.
Fortunatamente di diverso parere è invece il popolo dei cinefili, che considera “La mia droga si chiama Julie” un vero e proprio capolavoro; il grande maestro francese, infatti, è riuscito mirabilmente a miscelare il thriller con il mélo, senza lesinare una buona dose di humor nero.
In effetti, le intriganti atmosfere hitchcockiane che caratterizzano la prima parte del film, lasciano poi spazio ad uno sviluppo della storia decisamente più melodrammatico.
Catherine Deneuve è semplicemente straordinaria nel suo ruolo di affascinante dark lady con un doloroso passato alle spalle; mentre un altrettanto straordinario Jean-Paul Belmondo, all’epoca, spiazzò completamente il pubblico dei suoi affezionati fan, non abituati a vederlo recitare nei panni di un uomo solo in apparenza forte, perdutamente innamorato di una donna, e, soprattutto, soggiogato dal suo fascino.
Sebbene durante la visione della pellicola appaia evidente che le azioni di Louis e Julie/Marion sono mosse da motivazioni diametralmente opposte, è però nel romantico finale immerso nella neve, che i due sembrano aver finalmente trovato uno stabile punto di contatto; ma, almeno questa volta, sarà stata sincera lei?


Titolo: La mia droga di chiama Julie ( La sirène du Mississipi )
Regia: François Truffaut
Interpreti: Catherine Deneuve, Jean-Paul Belmondo, Michel Bouquet
Nazionalità: Francia
Anno: 1969



sabato 5 aprile 2014

“Gli anni in tasca” di François Truffaut: un delicato ritratto del mondo dell’infanzia nella Francia degli anni settanta.


Dopo aver affrontato il tema dell’infanzia nel suo primo e pluripremiato capolavoro “I 400 colpi”, nel 1976 François Truffaut tornò ad occuparsi del mondo dei bambini, e degli adolescenti, con “Gli anni in tasca”.
Spostando l’azione da Parigi a Thiers, una piccola cittadina dell’Alvernia, in questa ennesima pellicola della sua lunga e fortunata carriera cinematografica, il regista ha scelto di  intrecciare le storie di alcuni bambini frequentanti lo stesso istituto scolastico, riuscendo a mescolare sapientemente il tono comico di alcune delle vicende che li riguardano in prima persona con  quello decisamente più drammatico di altre.
Ciò che essenzialmente spinse Truffaut alla realizzazione de “Gli anni in tasca” fu il suo desiderio di tornare a parlare delle difficoltà che i bambini incontrano quotidianamente, non solo nei rapporti tra di loro, ma anche e soprattutto venendo a contatto con il mondo degli adulti.
Tra i vari personaggi, le cui storie sono narrate con estrema delicatezza, due sono quelli che rimangono maggiormente impressi nella mente dello spettatore; e più precisamente: Patrick, un ragazzino che vive con il padre disabile e che troviamo alle prese con i suoi primi turbamenti sessuali, e Julien; quest’ultimo presentato da Truffaut, fin dal suo arrivo nella scuola, come un “caso di integrazione sociale”.



Ben consapevole che non sempre i bambini riescono a trovare all’interno della propria famiglia il giusto o sufficiente sostegno per poter affrontare le avversità tipiche della loro giovane età, il regista si prodiga nel sottolineare l’importanza del ruolo educativo degli insegnanti, facendo appello alla loro fermezza e, soprattutto, alla loro comprensione; e per riuscire in questo suo nobile intento, Truffaut si affida al personaggio del maestro Richet (Jean-François Stévenin).
In effetti, è proprio durante l‘intenso e commovente discorso che quest’ultimo rivolge ai suoi alunni al termine dell’anno scolastico, che veniamo a conoscenza delle motivazioni che lo hanno spinto a diventare un educatore.
Reduce da un’infanzia difficile, una volta raggiunta l’età adulta Richet ha voluto fare l’insegnante, non solo al fine di espletare la funzione didattica propria di tale ruolo, ma anche e soprattutto con un chiaro intento protettivo nei confronti dei bambini, esortandoli al tempo stesso ad amare il prossimo, poiché, come da lui stesso affermato, “nella vita non si può fare a meno di amare e di essere amati”.
Tramite le parole pronunciate dallo stesso Richet, Truffaut ha voluto concludere questo suo delicato ritratto del mondo dell’infanzia nella Francia degli anni settanta, con una chiara ed esplicita nota polemica nei confronti della classe politica, in quanto non sufficientemente attenta alle esigenze dei bambini.



Titolo: Gli anni in tasca ( L’argent de poche )
Regia: François Truffaut
Interpreti:  Nicole Felix, Chantal Mercier, Virginie Thevenet, Jean-François Stévenin,
Nazionalità: Francia
Anno: 1976

domenica 16 febbraio 2014

“L’ultimo metrò” di François Truffaut: un intenso affresco del mondo del teatro sullo sfondo di uno dei periodi più difficili della storia francese.


Nella Parigi del 1942, durante l’occupazione nazista, Marion Steiner (Catherine Deneuve) ha assunto la direzione del Teatro Montmartre, dopo che il marito Lucas (Heinz  Bennent), un regista di origine ebrea, è ufficialmente fuggito all’estero per sottrarsi alle persecuzioni razziali.
In realtà, l’uomo si nasconde nello scantinato del teatro. Da qui, attraverso le condotte dell’aria, può comunque continuare a seguire le prove di un’opera teatrale prossima al debutto, nella quale recita anche la moglie Marion.
Quest’ultima nel frattempo ha scritturato Bernard Granger (Gérard Depardieu), un attore di grande talento, attivamente impegnato anche nella Resistenza, al quale affida il ruolo del protagonista maschile.
A poco a poco, le problematiche relative all’allestimento della pièce teatrale iniziano ad intrecciarsi con le vicende personali dei vari membri della troupe…

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Dopo aver felicemente omaggiato il cinema nel pluripremiato “Effetto notte”, con questa sua terzultima pellicola François Truffaut ci ha regalato un intenso affresco del mondo del teatro.
Sullo sfondo di uno dei periodi più difficili della storia francese, il regista è riuscito a mettere in scena un complesso intreccio tra finzione e realtà, che vede protagonisti i componenti di una compagnia teatrale, durante i giorni che precedono la serata della prima.
Tra di loro, Marion, Lucas e Bernard sono le figure chiave di un tormentato triangolo amoroso che, fotogramma dopo fotogramma, si dipana lentamente di fronte agli occhi dello spettatore, il quale si ritrova inevitabilmente immerso nella tensione che permea l’intera vicenda.
Ecco quindi che la relazione tra Marion e Lucas, già di per sé complicata, in quanto per forza di cose vissuta nella “clandestinità” di uno scantinato, viene ulteriormente messa a dura prova dalla forte attrazione che, a poco a poco, finisce per spingere la donna tra le braccia di Bernard.
L’ultimo metrò” rappresentò per il maestro francese un altro enorme successo sia di critica che di pubblico, tant’è che, tra i numerosi premi, riuscì ad aggiudicarsi ben dieci César e perfino una nomination all’Oscar come miglior film straniero.
Alla base di una tale cascata di riconoscimenti, oltre alla mano esperta di Truffaut, ad una sceneggiatura decisamente affascinante, e ad un’accurata ricostruzione dell’epoca, vi è ovviamente anche la straordinaria prova di recitazione dei due interpreti principali.
Catherine Deneuve, nei panni di Marion, affascina ed intriga per la sua capacità di essere algida e sensuale allo stesso tempo, mentre Gérard Depardieu, da parte sua,  riesce a dar vita all’impeccabile  ritratto di un uomo intimamente combattuto tra la sua profonda passione per il teatro e il suo irrinunciabile impegno nella politica.



Titolo: L’ultimo metrò ( Le dernier métro )
Regia: François Truffaut
Interpreti: Catherine Deneuve, Gérard Depardieu, Andréa Ferréol, Jean Piret
Nazionalità: Francia
Anno: 1980

sabato 3 agosto 2013

“L’amore fugge” di François Truffaut: il geniale epilogo di una delle più famose saghe del cinema.


Dopo dieci anni di matrimonio, Antoine (Jean-Pierre Léaud) e Christine (Claude Jade) decidono di divorziare amichevolmente.
Lui, nel frattempo, ha intrapreso una relazione con Sabine (Dorothée), la graziosa commessa di un negozio di dischi, di cui si è invaghito subito dopo averne visto una foto.
Un giorno, mentre sta accompagnando il figlio Alphonse alla stazione, Antoine rivede Colette (Marie-France Pisier): il suo grande amore di gioventù che adesso svolge la professione di avvocato e che, dopo avere intravisto lo stesso Antoine fuori del tribunale il giorno del divorzio, ha iniziato a leggere il suo romanzo autobiografico, “Le insalate dell’amore”.
L’uomo decide così di seguirla, ma ben presto si renderà definitivamente conto che il suo destino non è quello di viverle accanto


Dopo averci fatto assistere alla sua prima vera crisi matrimoniale in “Non drammatizziamo… è solo questione di corna!”, nel 1978 il regista decise di riportare sullo schermo, per la quinta e ultima volta, il personaggio di Antoine Doinel.
Nonostante abbia ormai oltrepassato la trentina, il simpatico alter-ego di François Truffaut sembra non aver ancora raggiunto una piena maturità, soprattutto affettiva.
Dopo aver provato la gioia della paternità, pubblicato un romanzo autobiografico, e cambiato lavoro per l’ennesima volta, Antoine si prepara ad aggiungere un altro importante tassello alla sua già travagliata esistenza: il divorzio da Christine; per di più, il rapporto con Sabine, la sua nuova compagna, non ci appare dei più idilliaci.
L’inaspettato incontro con Colette, poi, contribuisce a rendere ulteriormente instabile il suo equilibrio.
Ne “L’amore fugge”, con cui Truffaut ha concluso la fortunata saga del personaggio da lui creato, riusciamo a percepire una sottile vena di malinconia per gli anni oramai trascorsi, ma anche, e soprattutto, l’augurio che Antoine riesca finalmente a trovare la sua stabilità emotiva.
La lettura da parte di Colette del suo romanzo autobiografico è il geniale pretesto escogitato dal regista per far rivivere allo spettatore alcuni momenti salienti della vita del protagonista, dagli anni della sua tribolata adolescenza al raggiungimento dell’età adulta; a questo proposito Truffaut è riuscito a inserire magistralmente tra le nuove scene che appartengono al presente, alcuni spezzoni  della “saga Doinel” e di altre sue opere, tra cui il pluripremiato “Effetto notte”.
Ancora una volta, Jean-Pierre Léaud riesce a farci divertire ed emozionare con l’imprevedibilità che contraddistingue il personaggio da lui interpreto; e, nonostante nel corso degli anni abbia indiscutibilmente raggiunto la sua piena maturità artistica, verrà per sempre ricordato da tutti gli amanti del cinema francese, e non solo, per quell’ultima e struggente inquadratura de “I quattrocento colpi”. 




Titolo: L’amore fugge ( L’amour en fuite )
Regia: François Truffaut
Interpreti: Jean-Pierre Léaud, Claude Jade, Marie-France Pisier, Dani, Dorothée.
Nazionalità: Francia                  
Anno: 1978

domenica 14 luglio 2013

L'AMORE DURA TRE ANNI di Frédéric Beigbeder: ma l’amore vero, esiste?


Marc Marronnier (Gaspard  Proust), critico letterario di giorno e cronista mondano di notte, ha trent’anni e una moglie.
Dopo tre anni di matrimonio, viene abbandonato dall’avvenente consorte per uno scrittore di successo; così, deluso e ferito nel profondo dell’animo, decide di scrivere un libro in cui cinicamente sostiene che l’amore non dura più di tre anni. Trovato un editore interessato al suo manoscritto, Marc decide di pubblicarlo con uno pseudonimo.
Nel frattempo, invaghitosi di Alice (Louise Bourgoin), la moglie di un cugino incontrata ad un funerale, comincia a farle una corte serrata.
Dopo aver inizialmente ignorato le attenzioni di Marc, Alice decide di lasciare il marito e di andare a vivere insieme a lui.
Quando poi il libro inizia a scalare le classifiche delle vendite, Marc, per paura di compromettere il suo rapporto con Alice, non ha il coraggio di confessarle chi in realtà si nasconde dietro lo pseudonimo usato dall’autore.
Però, in occasione della consegna di un importante premio letterario, la giovane donna viene a scoprirlo e, sentendosi presa in giro, decide di troncare immediatamente la loro relazione.
Per cercare di riconquistarla, Marc si troverà così costretto a smentire pubblicamente quanto da lui dichiarato nel suo fortunato best-seller…




Diretto da Frédéric Beigbeder, pubblicitario, critico letterario, editore, nonché autore dell’omonimo romanzo da cui la pellicola in questione è tratta, “L’amore dura tre anni” è una divertentissima commedia romantica in cui le dinamiche che abitualmente si sviluppano all’interno dei rapporti di coppia, vengono trattate con frizzante e pungente ironia.
Protagonista della vicenda è un giovane uomo sulla trentina che,  per la sua instabilità emotiva nei rapporti con il gentil sesso, ci ricorda Antoine Doinel: il simpatico personaggio  che François Truffaut portò per ben cinque volte sullo schermo, narrandone la vita sentimentale in diversi fasi della sua esistenza.
Dopo un matrimonio durato appena tre anni, durante i quali la passione che lo univa alla moglie si è andata progressivamente affievolendo, Marc decide di sfogare tutta la sua rabbia, scrivendo un libro in cui afferma l’estrema caducità dell’amore.
Quando però, superata la profonda delusione per la fine del suo matrimonio, si innamora di un’altra donna, ecco che si trova costretto ad operare un’importante scelta; e cioè se continuare a sostenere quanto da lui cinicamente affermato nel proprio libro o se, al contrario, dare ossigeno e fiducia al suo nuovo amore.
Gaspard Proust e Louise Bourgoin, nuove promesse del cinema francese, nei ruoli rispettivamente di Marc e Alice, con le loro divertenti interpretazioni riescono indubbiamente a far risplendere di ironia e vivacità i due personaggi del romanzo di Beigbeder.
Nei panni della cinica, ma estremamente simpatica, editrice di Marc, ritroviamo poi la bravissima Valérie Lemercier: attrice dall’incredibile talento comico, particolarmente apprezzata anche dal pubblico italiano in pellicole come “Agathe Cléry” e “Il piccolo Nicolas e i suoi genitori”.



Titolo: L’amore dura tre anni ( L’amour dure trosi ans )
Regia: Frédéric Beigbeder
Interpreti: Gaspard Proust, Louise Bourgoin, Frédéric Bel, Joey Starr, Valérie Lemercier
Nazionalità: Francia
Anno: 2012

mercoledì 27 marzo 2013

“Effetto notte” di François Truffaut: un’appassionata dichiarazione d’amore del regista per il cinema.


A Nizza, presso gli studi “La Victorine”, il regista Ferrand (François Truffaut) sta girando “Vi presento Pamela”.
Per tutta la durata delle riprese, i problemi legati alla lavorazione del film si intrecceranno con le vicissitudini personali degli attori e degli altri membri della troupe… 
Girato nell’autunno del 1972, e presentato fuori concorso l’anno successivo al Festival di Cannes, “Effetto notte”, oltre a rappresentare una delle più importanti opere di Truffaut, è ritenuto dalla critica cinematografica uno dei migliori lungometraggi di tutti i tempi.
Ottenuto l’Oscar per il miglior film straniero, oltre a 3 nominations tra cui quella per l’intensa interpretazione di Valentina Cortese, “Effetto notte” tratta la storia di un gruppo di persone che, durante la lavorazione di un film, si ritrovano a percorrere insieme un breve tratto della loro esistenza.
Tra gli interpreti di “Vi presento Pamela” c’è Alphonse (Jean-Pierre Léaud), continuamente ossessionato dalla sua gelosia per Liliane (Dani), una delle segretarie di edizione; Séverine (Valentina Cortese), un’attrice italiana sul viale del tramonto che in passato ha avuto una storia con Alexandre (Jean-Pierre Aumont), un altro degli attori del film; e l’americana Julie Baker (Jacqueline Bisset), la quale, dopo aver superato un grosso esaurimento nervoso, ha sposato un medico che per l’età potrebbe essere suo padre.





Tanto i loro problemi quanto quelli degli altri componenti della troupe finiranno inevitabilmente per rallentare i ritmi delle riprese, con la conseguente disperazione del regista, interpretato dallo stesso Truffaut, che, come già accaduto ne “Il ragazzo selvaggio”, ha voluto nuovamente cimentarsi anche nella veste di attore.
Alla base di “Effetto notte” vi era la sua intenzione di realizzare una pellicola che permettesse allo spettatore di farsi un’idea abbastanza precisa di ciò che accade durante la lavorazione di un film, anche se poi il risultato finale è andato ben oltre le sue aspettative iniziali.
Il titolo si riferisce a una tecnica cinematografica che consiste appunto nel “trasformare” in notturna una ripresa effettuata invece in pieno giorno, grazie all’utilizzo di un apposito filtro.
Questa pellicola è un’appassionata dichiarazione d’amore del regista per il cinema e i suoi grandi maestri; sono in effetti numerose le citazioni dai film che hanno segnato la vita di Truffaut, oltre alle diverse autocitazioni dai propri.
Inoltre, come da lui stesso affermato, “Effetto notte” sintetizza alcune delle sue precedenti opere; opere che in questa pellicola riescono anche a trovare una giusta e degna conclusione.



Titolo: Effetto notte ( La nuit americaine )
Regia: François Truffaut
Interpreti: Jean-Pierre Léaud, Jacqueline Bisset, Valentina Cortese, Jean-Pierre Aumont, Dani
Nazionalità: Francia
Anno: 1973

sabato 5 gennaio 2013

“Non drammatizziamo… è solo questione di corna!” di François Truffaut: il quarto episodio della saga “Antoine Doinel”.


Diretto nuovamente da François Truffaut, nel 1970, per la quarta volta, Jean-Pierre Léaud tornò a vestire i panni dell’alter ego del regista francese in “Non drammatizziamo… è solo questione di corna!
Due anni dopo “Baci rubati”, ritroviamo l’immaturo Antoine e la dolce Christine alle prese con la loro prima crisi coniugale.
Antoine (Jean-Pierre Léaud) e Christine (Claude Jade) sono due giovani coniugi che conducono una vita tranquilla in attesa del loro primogenito.
Mentre lei impartisce lezioni di violino, lui si guadagna da vivere dedicandosi alla colorazione artificiale dei fiori.
Quando Antoine decide all’improvviso di cercarsi un altro impiego, a seguito di un equivoco viene assunto in una grossa società.
Un giorno, mentre si trova sul posto di lavoro, vede Kyoko (Hiroko Berghauer) e, irretito dal fascino orientale della donna, ne diviene poco dopo l’amante; quando Christine scopre inaspettatamente che Antoine la tradisce, lo caccia immediatamente di casa.
A poco a poco, però, l’uomo si accorge che la sua passione per Kyoko si sta affievolendo e, contemporaneamente, tenta di riconquistare Christine, la quale, sebbene ferita da Antoine, continua ad amarlo.
Un anno dopo, li ritroveremo nuovamente insieme…

Dopo essersi dichiarati il loro amore nel finale di “Baci rubati”, in “Non drammatizziamo… è solo questione di corna!” ritroviamo Antoine e Christine sposati e in attesa del loro primo figlio.
Mentre Christine non appare più la ragazza timida di un tempo, Antoine, la cui simpatia e originalità continuano a sorprenderci e divertirci, sembra comunque non essere ancora riuscito a ritagliarsi un ruolo ben definito all’interno della società.
In questo quarto episodio della saga a lui dedicata, lo vediamo infatti passare nuovamente da un lavoro a un altro; ed è proprio a seguito di questo ennesimo cambiamento che riguarda la sua vita “professionale” che conosce e si invaghisce di Kyoko: una misteriosa e affascinante donna giapponese.
Con lei Antoine intraprende una breve, ma a ogni modo intensa, relazione extra-coniugale proprio poco dopo essere diventato papà; dimostrandosi così, per l’ennesima volta, incapace di assumersi seriamente le proprie responsabilità.
Quando Christine scopre che il marito ha un’amante, viene inevitabilmente a incrinarsi quell’atmosfera idilliaca e spensierata che aveva caratterizzato i primi anni del loro matrimonio; ma a ogni modo l’amore e la voglia di continuare a stare insieme permetteranno loro di superare questa prima crisi coniugale.
Il titolo scelto per la sua distribuzione in Italia, rispetto a quello originale francese, ha indubbiamente contribuito a far perdere a questa pellicola parte di quel tono leggiadro che, al contrario, contraddistingueva la sceneggiatura di “Baci rubati”.
Anche in questo film non mancano comunque i momenti divertenti, e questo grazie non solamente alle interpretazioni di Jean-Pierre Léaud e Claude Jade.
Per finire, una curiosità. In una breve scena ambientata in una stazione vediamo Monsieur Hulot, il dinoccolato personaggio creato e interpretato da Jacques Tati, esibirsi in una delle sue inconfondibili gag; è un piccolo omaggio di François Truffaut all’indimenticabile cineasta francese.





Titolo: Non drammatizziamo… è solo questione di corna ( Domicile conjugal )
Regia: François Truffaut
Interpreti: Jean-Pierre Léaud, Claude Jade, Hiroko Berghaur, 
Nazionalità: Francia
Anno: 1970


domenica 2 dicembre 2012

“I quattrocento colpi” di François Truffaut: il racconto autobiografico di un’infanzia turbolenta.


Premiato per la miglior regia al Festival di Cannes del 1959, “I quattrocento colpi” è il primo lungometraggio, nonché il primo capolavoro, del grande maestro François Truffaut.
E’ anche la pellicola nella quale facciamo la conoscenza di Antoine Doinel: l’indimenticabile personaggio interpretato dal bravissimo Jean-Pierre Léaud, attore feticcio di Truffaut e della Nouvelle Vague francese.
Parigi, fine anni cinquanta. Antoine Doinel (Jean-Pierre Léaud) è un giovane adolescente che vive insieme alla madre Gilberte (Claire Maurier) e al patrigno Julien (Albert Rémy).
Incompreso dalla propria famiglia, decisamente poco affettuosa nei suoi confronti, Antoine non ha voglia di studiare e trascorre le sue giornate organizzando scherzi ai compagni, o saltando addirittura le lezioni per recarsi al cinema o al Luna Park insieme al suo amico René.
A causa di questa sua condotta indisciplinata, viene spesso punito sia dagli insegnanti che dai suoi genitori.
Un giorno, dopo la sua ennesima bravata, Antoine decide di scappare di casa per andare a vivere da  René, all’insaputa dei genitori di quest’ultimo.
Al fine di racimolare un po’ di soldi per poter organizzare una gita al mare ( dove non è ancora mai stato ) Antoine ruba con l’aiuto di René una macchina da scrivere nell’ufficio del patrigno, con l’intento di rivenderla successivamente.
Non avendo però trovato nessuno disposto ad acquistarla, nel momento in cui Antoine decide di restituirla viene scoperto dal custode dello stabile, e denunciato dal patrigno.
In seguito a quest’ultimo episodio, i suoi genitori acconsentono a farlo rinchiudere in un riformatorio lontano da Parigi  ( e vicino al mare ), nella speranza che questo serva a renderlo più disciplinato.
Antoine sperimenta immediatamente sulla propria pelle la durezza delle condizioni di quel luogo, e una mattina, durante una partita di pallone, approfittando di un attimo di disattenzione dei custodi, decide di fuggire.
La sua lunga corsa lo porterà direttamente, e finalmente, al mare.


Considerato uno dei film-manifesto della Nouvelle Vague, con “I quattrocento colpi” Truffaut passò dalla critica cinematografica dei “Cahiers du cinema” alla regia.
Il titolo della pellicola, apparentemente senza alcun significato, è in realtà la traduzione letterale di quello originale che fa riferimento all’espressione francese “faire les quatre cents coups” ( in italiano: “fare il diavolo a quattro” ).
E’ essenzialmente un inno alla libertà dei bambini e, poiché il regista ebbe un’infanzia alquanto turbolenta come quella di Antoine Doinel, può giustamente considerarsi un film ampiamente autobiografico.
In effetti, anche Truffaut trascorse la sua infanzia, con la madre e il patrigno, in un quartiere di Parigi situato nei pressi della Tour Eiffel e, soprattutto, anche lui venne rinchiuso in un riformatorio.
Dopo numerosi provini, decise di assegnare il ruolo di Antoine Doinel all’allora giovanissimo Jean-Pierre Léaud proprio per la sua aria tenera ma al tempo stesso beffarda e scanzonata.
Negli anni successivi quello stesso personaggio divenne poi un vero e proprio alter ego cinematografico del regista, rappresentandolo sullo schermo in diversi momenti della sua vita.
Infatti, dopo averne interpretato la fase adolescenziale ne “I quattrocento colpi”, Jean-Pierre Léaud tornò a vestire i panni di Antoine Doinel nel 1962 inAntoine e Colette” ( uno degli episodi del film “L’amore a vent’anni” ); nel 1968 inBaci rubati”; nel 1970 inNon drammatizziamo… è solo una questione di corna!” e nel 1979 inL’amore fugge”.
Nonostante la sua lunga e lodevole carriera, di Jean-Pierre Léaud viene a ogni modo ricordata dagli amanti di Truffaut, e non solo, la sua espressione smarrita nell’ultima inquadratura de “I quattrocento colpi”, dalla quale si riesce a percepire tutta l’amarezza del protagonista per non aver avuto anche lui la possibilità di vivere un’infanzia spensierata.



Titolo: I quattrocento colpi ( Les 400 coups )
Regia: François Truffaut
Interpreti: Jean-Pierre Léaud, Albert Rémy, Claire Maurier, Patrick Auffay, Georges Flamant
Nazionalità: Francia 
Anno: 1959

sabato 17 novembre 2012

“La calda amante” di François Truffaut: un dramma borghese che lentamente si tinge di noir.


Sebbene oggi sia ritenuta dai critici cinematografici una delle pellicole più intense di François Truffaut, “La calda amante” si rivelò in realtà un vero e proprio fiasco al momento della sua presentazione al Festival di Cannes del 1964.
Tra gli interpretati principali spicca l’indimenticabile Françoise Dorléac, la bellissima ma altrettanto sfortunata sorella di Catherine Deneuve, morta prematuramente in un incidente stradale nel 1967.
Pierre Lachenay (Jean Dasailly) è un scrittore ed editore di successo, che vive a Parigi insieme alla moglie Franca (Nelly Benedetti) e alla figlia Sabine.
Durante un viaggio in aereo a Lisbona, dove è atteso per una conferenza, si invaghisce della giovane Nicole (Françoise Dorléac), una delle hostess di quel volo, la quale, da parte sua, si dimostra tutt’altro che insensibile al fascino del rinomato scrittore.
Dopo aver trascorso la notte insieme, i due decidono di continuare a frequentarsi, nonostante le difficoltà che devono affrontare per potersi incontrare. Nicole, infatti, non può ospitarlo nella camera dove vive in affitto; mentre Pierre, legato ancora alla propria famiglia, vive clandestinamente la sua relazione con la giovane hostess.
Dovendosi  recare a Reims per la presentazione di un film, Pierre decide di portare Nicole con sé; dopo una serie di spiacevoli imprevisti, che purtroppo li tengono separati, i due riescono finalmente a  rifugiarsi in un piccolo albergo di campagna.
Rientrati a Parigi, mentre Nicole esprime a Pierre la propria intenzione di interrompere la loro relazione, quest’ultimo deve invece far fronte alle domande di Franca, che nel frattempo ha iniziato a sospettare dell’infedeltà del marito; a poco a poco il loro rapporto degenererà fino alle estreme e tragiche conseguenze…


Dopo l’eclatante successo di “Jules et Jim”, pubblico e critica si aspettavano da Truffaut un’altra pellicola che in qualche modo ne ricalcasse le tematiche; il regista invece, sorprendendo e soprattutto deludendo tutti quanti, si presentò con “La calda amante”: un film in cui la narrazione dell’amore perde i toni spensierati tipici della giovinezza per caricarsi di quelli cupi e decisamente più complessi di una storia di adulterio.
La pellicola tratta infatti di un sofferto triangolo amoroso destinato a finire in tragedia e, nonostante sia stata girata quasi mezzo secolo fa, oggi ci appare tutt’altro che datata per la raffinata narrazione  dei profili psicologici dei soggetti coinvolti nella vicenda.
In una sceneggiatura che non brilla per originalità per quasi l’intera durata della pellicola, il modo in cui viene sviluppato il personaggio della moglie riesce a spiazzarci e, contemporaneamente, a far virare inaspettatamente il genere del film dal melodramma al noir.
Sebbene Franca ci venga presentata come l’elegante e premurosa moglie di un imprenditore di successo, rivestendo una funzione quasi decorativa, è però nel momento in cui prende coscienza dell’infedeltà del marito che assume immediatamente un diverso spessore, al punto che la vediamo  meditare lentamente e attuare con freddezza l’omicidio di Pierre.
Girato in poco più di due mesi tra Parigi, Orly, Reims e Lisbona, “La calda amante” uscì in Italia in una versione tagliata di circa venti minuti rispetto a quella francese e, soprattutto, con un titolo che non aveva nulla a che vedere con il messaggio che desiderava lanciare quello originale, la cui traduzione recita “La pelle morbida”.



Titolo: La calda amante ( La peau douce )
Regia: François Truffaut
Interpreti : Jean Desailly, Françoise Dorléac, Nelly Benedetti, Daniel Ceccaldi
Nazionalità: Francia
Anno : 1964