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lunedì 29 settembre 2014

“La mia droga si chiama Julie” di François Truffaut: una tormentata storia d’amore per due grandi icone del cinema francese.


Louis Mahé (Jean-Paul Belmondo) è il proprietario di una piantagione di tabacco sull’isola della Réunion; benestante e ancora scapolo, intrattiene un rapporto di corrispondenza con una donna francese di nome Julie.
Quando poi l’uomo decide di invitarla a raggiungerlo sull’isola, gli si presenta però una persona completamente diversa (Catherine Deneuve) da quella che lui aveva visto in fotografia.
Colpito dall’incredibile bellezza della donna, Louis crede alla sua bizzarra giustificazione, e l’accoglie comunque nella sua proprietà.
Dopo il matrimonio, i due sembrano condurre una felice vita insieme, sebbene alcuni strani atteggiamenti di Julie lascino Louis alquanto perplesso.
Follemente innamorato di lei, decide comunque di consentirle l’accesso illimitato ai propri conti bancari; la donna però, poco dopo, scompare dall’isola con tutti i soldi di Louis.
Scoperto quindi che in realtà sua moglie è una truffatrice, e, soprattutto, che ha assunto l’identità di un'altra persona, Louis si metterà subito sulle sue tracce per vendicarsi, ma le cose non si riveleranno così semplici per lui…



Tratta dal romanzo di William Irish, edito in Italia con il titolo “Vertigine senza fine”, questa ennesima pellicola di François Truffaut riscosse uno scarso successo sia di critica sia di pubblico all’epoca della sua uscita nelle sale.
Fortunatamente di diverso parere è invece il popolo dei cinefili, che considera “La mia droga si chiama Julie” un vero e proprio capolavoro; il grande maestro francese, infatti, è riuscito mirabilmente a miscelare il thriller con il mélo, senza lesinare una buona dose di humor nero.
In effetti, le intriganti atmosfere hitchcockiane che caratterizzano la prima parte del film, lasciano poi spazio ad uno sviluppo della storia decisamente più melodrammatico.
Catherine Deneuve è semplicemente straordinaria nel suo ruolo di affascinante dark lady con un doloroso passato alle spalle; mentre un altrettanto straordinario Jean-Paul Belmondo, all’epoca, spiazzò completamente il pubblico dei suoi affezionati fan, non abituati a vederlo recitare nei panni di un uomo solo in apparenza forte, perdutamente innamorato di una donna, e, soprattutto, soggiogato dal suo fascino.
Sebbene durante la visione della pellicola appaia evidente che le azioni di Louis e Julie/Marion sono mosse da motivazioni diametralmente opposte, è però nel romantico finale immerso nella neve, che i due sembrano aver finalmente trovato uno stabile punto di contatto; ma, almeno questa volta, sarà stata sincera lei?


Titolo: La mia droga di chiama Julie ( La sirène du Mississipi )
Regia: François Truffaut
Interpreti: Catherine Deneuve, Jean-Paul Belmondo, Michel Bouquet
Nazionalità: Francia
Anno: 1969



sabato 15 giugno 2013

“Borsalino” di Jacques Deray: due miti del cinema francese nella Marsiglia degli anni ‘30.


Nella Marsiglia degli anni ’30, Roch Siffredi (Alain Delon), dopo essere uscito dal carcere per buona condotta, decide di allearsi con il rivale François Capella (Jean-Paul Belmondo), con il quale la sua donna ha vissuto mentre lui si trovava in galera.
In breve tempo i due uomini, oltre a diventare ottimi amici, rafforzano e consolidano la loro posizione nell’ambito della malavita marsigliese, suscitando così le inevitabili e violente reazioni dei loro agguerriti concorrenti, alle quali comunque Roch e François riescono sempre a far fronte.
Una sera, durante una festa organizzata nella lussuosa villa di Roch, François manifesta all’amico la sua intenzione di lasciare Marsiglia, temendo che un giorno la smania di potere di entrambi possa compromettere irrimediabilmente il loro rapporto.
I due uomini, però, non sanno che il destino ha già drammaticamente deciso le sorti della loro profonda amicizia…




Tratto dal romanzo “Bandits à Marseille” di Eugène Saccomano, e ispirato alla vita di Paul Carbone e François Spirito, due boss malavitosi vissuti nella Marsiglia degli anni ’30, “Borsalino” è un vero e proprio omaggio del regista ai gangster movies americani.
Jacques Deray narra magistralmente la storia di una fortissima complicità tra due uomini, che a sua volta si intreccia con gli eventi di un’epoca che hanno segnato la città del sud della Francia a cavallo tra i due conflitti mondiali.
Borsalino”, oltre a divertire con le sue argute battute disseminate lungo l’intera pellicola, riesce a tenere alta la tensione dello spettatore grazie alle violente scene d’azione che lo accompagnano  fino al drammatico epilogo della vicenda.
La ricostruzione della Marsiglia d’antan è estremamente curata sia nelle scenografie, sul cui sfondo vediamo muoversi i vari personaggi, sia negli eleganti abiti indossati dagli stessi.
A questo proposito è d’obbligo ricordare che il titolo del film prende proprio spunto dalla Borsalino, la casa produttrice di cappelli di taglio maschile le cui vendite registrarono una vera e propria impennata nel periodo in cui è ambientata la pellicola di Deray.
Alain Delon e Jean-Paul Belmondo sono semplicemente irresistibili nei panni dei due simpatici malavitosi; e la  presenza congiunta dei due attori sullo schermo ha indubbiamente contribuito a decretare il successo mondiale del film, nell’anno in cui entrambi erano all’apice della loro carriera cinematografica.
Una menzione speciale spetta infine alla colonna sonora di questo cult gangster, e in particolare al “Borsalino Theme”: l’allegro e accattivante motivetto composto da Claude Bolling, che potete riascoltare cliccando QUI.



Titolo: Borsalino ( Borsalino )
Regia: Jacques Deray
Interpreti: Alain Delon, Jean Paul Belmondo, Catherine Rouvel, Corinne Marchand
Nazionalità: Francia
Anno: 1970


lunedì 5 novembre 2012

“Fino all’ultimo respiro” di Jean-Luc Godard: Parigi, gli anni 60 e… la Nouvelle Vague.


Fino all’ultimo respiro” è il primo lungometraggio di Jean-Luc Godard; tratto da un soggetto di François Truffaut, e realizzato sotto la supervisione tecnica di Claude Chabrol, è considerato il film-manifesto della Nouvelle Vague francese.
Al fianco di un superbo Jean-Paul Belmondo, troviamo una giovanissima Jean Seberg: la graziosa attrice americana che questa pellicola consacrò icona di stile degli anni sessanta.
Michel Poiccard (Jean-Paul Belmondo) è un giovane balordo che vive di espedienti, barcamenandosi tra furti e truffe.
Dopo aver rubato l’ennesima auto a Marsiglia, prima di fuggire in Italia si reca a Parigi per recuperare da un amico del denaro che gli spetta.
Inseguito da due agenti per eccesso di velocità, ne uccide uno con una pistola che ha trovato nel cruscotto dell’auto.
Arrivato a Parigi, dopo aver ritrovato Patricia Franchini (Jean Seberg), una studentessa americana della quale si era precedentemente innamorato, cerca di convincerla ad andare con lui in Italia.
La ragazza però, sebbene non sembri disdegnare le attenzioni di Michel, non ha nessuna intenzione di seguirlo, non approvando il suo stile di vita dissoluto.
Poco dopo Michel apprende dai giornali di essere ricercato dalla polizia, che nel frattempo ha interrogato Patricia, essendo stata vista insieme a lui.
L’americana, nel tentativo di farlo fuggire prima che venga arrestato, decide di denunciarlo rivelando il luogo in cui Michel si è nascosto.
Raggiunto dalla polizia, l’uomo tenta di fuggire ma inutilmente; muore infatti sotto lo sguardo contrito di Patricia, dopo essere stato colpito da un agente.



Girato tra Parigi e Marsiglia in poco meno di un mese e con un budget alquanto limitato, con “Fino all’ultimo respiro”  Jean-Luc Godard reinventò il modo di fare cinema, mettendo in pratica quella volontà di opporsi alle rigide regole che avevano caratterizzato fino ad allora l’industria cinematografica francese, secondo quanto rivendicato dallo stesso Godard e dagli altri registi fondatori del movimento della Nouvelle Vague.
In nome di una libertà di espressione che abbracciava anche la realizzazione tecnica di un film, durante le riprese scomparve infatti l’uso di cavalletti e binari; basti ricordare che per girare la celebre scena in cui Michel e Patricia passeggiano l’una accanto all’altro sugli Champs-Elysées, il regista si avvalse di una macchina da presa installata su di una bicicletta.
Caratterizzato da una sceneggiatura alquanto esile, “Fino all’ultimo respiro” è un omaggio ai vecchi polizieschi americani, di cui Godard era un grande appassionato.
Il personaggio di Michel, interpretato magnificamente da un giovane Jean-Paul Belmondo, sebbene viva costantemente sopra le righe, nasconde in realtà un lato estremamente tenero come ci è dimostrato dal suo affetto per Patricia; affetto che gli impedisce perfino di mettersi in salvo, e quindi di allontanarsi da lei, nel momento in cui la ragazza gli rivela di averlo denunciato alla polizia.
Fa da sfondo a questa sfortunata storia d’amore, una Parigi che affascina nonostante l’immagine estremamente semplice che ci viene restituita da una fotografia in bianco e nero ridotta all’essenziale, e che è indubbiamente rappresentativa di un’importante fase di transizione nella storia politica e culturale della Francia.


  
Titolo: Fino all’ultimo respiro ( A bout de souffle )
Regia: Jean-Luc Godard
Interpreti : Jean-Paul Belmondo, Jean Seberg, Daniel Boulanger, Jean-Pierre Melville
Nazionalità: Francia
Anno : 1960