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domenica 12 novembre 2017

“Il mio Godard” di Michel Hazanavicius: l’ironico e dissacrante ritratto di uno dei più grandi maestri del cinema.


Parigi 1967. Il regista Jean-Luc Godard ( Louis Garrel ) è all’apice della sua carriera cinematografica, adorato e osannato non solamente in Francia.
Nel tentativo di dare un’impronta meno borghese al proprio cinema, e fervente sostenitore del pensiero maoista, decide quindi di girare “La cinese”, che vede come protagonista femminile l’allora diciannovenne Anne Wiazemsky ( Stacy Martin ), della quale è follemente innamorato e con cui convola, sebbene in gran segreto, a nozze.
Diversamente da quelle che erano le sue aspettative, il film viene però accolto tutt’altro che entusiasticamente non solo dalla critica ma anche e soprattutto dal pubblico, abituato ad accorrere nelle sale per applaudire pellicole del grande maestro decisamente meno “ideologiche”.
Purtroppo, l’autore di capolavori del calibro di “Fino all’ultimo respiro” o “Il disprezzo” non esiste più, e questo essenzialmente perché il regista di origini svizzere sta attraversando una fase di profondo cambiamento a livello personale, ancora prima che artistico, che lo spinge ben presto a unirsi ai movimenti rivoluzionari giovanili dell’anno seguente, sebbene con risultati del tutto disastrosi.
Da parte sua, la moglie Anne, innamoratasi principalmente del Godard-artista, non può fare altro che assistere impotente alla “morte” del suo idolo, con l’inevitabile conseguenza che i suoi sentimenti nei confronti del Godard-uomo saranno ben presto destinati a cambiare…


Uscito il mese scorso anche nelle sale italiane, l’ultimo film di  Michel Hazanavicius narra l’appassionata e tormentata storia d’amore tra la giovane attrice Anne Wiazemsky e Jean-Luc Godard, uno dei più grandi maestri del cinema francese e mondiale, giungendo così a tratteggiare di quest’ultimo un ironico e dissacrante ritratto.
Tratto dall’autobiografia "Un an après" della Wiazemsky, qui interpretata dalla graziosa attrice francese Stacy Martin, “Il mio Godard” ci catapulta in un’affascinante Parigi di fine anni sessanta, alla vigilia dei ben noti movimenti rivoluzionari che ebbero il loro apice nel maggio del ‘68.
Con questa pellicola il regista premio Oscar per “The  artist”, pur rendendo omaggio a una delle più grandi icone del cinema francese e non solo, desidera al contempo evidenziare, sebbene con estremo garbo e ironia, gli aspetti contraddittori del suo pensiero; e indubbiamente è riuscito nel suo intento, grazie soprattutto alla magistrale interpretazione del camaleontico Louis Garrel, che con l’accento svizzero e gli inconfondibili occhiali dalla montatura nera, sullo schermo appare straordinariamente somigliante all’originale.



Titolo: Il mio Godard ( Le redoutable )
Regia : Michel Hazanavicius
Interpreti: Louis Garrel, Stacy Martin, Bérénice Bejo
Nazionalità: Francia
Anno: 2017

domenica 27 gennaio 2013

“Questa è la mia vita” di Jean-Luc Godard: il tragico destino di un’eroina moderna.


Scritto e diretto da Jean-Luc Godard nel 1962, “Questa è la mia vita” si aggiudicò quello stesso anno il premio speciale della giuria alla Mostra del Cinema di Venezia.
Nei panni di Nana, la sfortunata protagonista di questa pellicola, troviamo la bellissima Anna Karina, all’epoca moglie nonché musa ispiratrice del regista francese.
Nella Parigi dei primi anni sessanta, Nana (Anna Karina) lavora in un negozio di dischi, sebbene aspiri  a diventare un’attrice.
Poiché i soldi che guadagna come commessa non le sono mai sufficienti per arrivare a pagarsi l’affitto, la ragazza inizia a prostituirsi lungo i marciapiedi della città; è qui che incontra Raoul (Sady Rebbot): colui che si offre di farle da protettore e che, contemporaneamente, la introduce seriamente alla professione.
Quando Nana, che nel frattempo si è innamorata di uno dei suoi clienti, comunica a Raoul la sua decisione di voler abbandonare quell’ambiente, lui, che non acconsente alla sua richiesta, decide di “venderla” ad altri protettori.
Durante le trattative, a causa di una divergenza sul prezzo, un colpo di pistola raggiunge accidentalmente Nana, ponendo così tragicamente fine alla sua breve esistenza…


Sebbene Nana ci venga presentata da Godard in modo alquanto frammentario, tramite l’utilizzo di 12 “quadri” ( così da lui definiti nell’introduzione del film ), riusciamo comunque a farci un’idea sufficientemente precisa del suo passato, delle sue personali ambizioni e, soprattutto, del suo tragico destino.
Consapevole della propria bellezza, la giovane donna vive costantemente in bilico tra il sogno delle allettanti luci dello spettacolo e la realtà di un’esistenza buia in cui, per poter continuare a pagare l’affitto  dell’appartamento in cui vive, è costretta a prostituirsi.
Il personaggio interpretato dalla Karina, affascina lo spettatore con la bellezza del suo viso, il magnetismo del suo sguardo, l’eleganza dei suoi gesti e, al tempo stesso, lo intenerisce con la semplicità dei suoi discorsi.
In effetti, nonostante lo squallore dell’ambiente che la circonda, Nana riesce a conservare quella purezza d’animo che la spinge a continuare a credere nell’amore; ma, quando pensa di averlo finalmente trovato, il  progetto di dare una svolta significativa alla propria esistenza sarà rapidamente  destinato a naufragare.
“Questa è la mia vita” prese spunto da un’inchiesta giornalistica sulla prostituzione e, sebbene risalga agli inizi degli anni sessanta, conserva ancora oggi una certa “attualità” proprio per la tipologia delle tematiche trattate; in effetti, nell’epoca in cui viviamo è tutt’altro che difficile riuscire ad individuare tante altre “Nana”, i cui sogni, però, fortunatamente non sono sempre destinati a infrangersi in modo così tragico come quelli dell’eroina di Godard.
Per finire, una curiosità. In una delle scene finali del film, vediamo l’auto in cui sta viaggiando Nana passare di fronte a un cinema di Parigi in cui è in programmazione “Jules e Jim”, la celeberrima pellicola di Francois Truffaut: un altro dei grandi e indimenticati maestri della Nouvelle Vague francese.




Titolo: Questa è la mia vita ( Vivre sa vie )
Regia: Jean-Luc Godard
Interpreti: Anna Karina, Sady Rebbot, Gilles Queant, André S. Labarthe
Nazionalità: Francia
Anno: 1962


domenica 9 dicembre 2012

“Bande à part” di Jean-Luc Godard: un insolito triangolo amoroso per una delle pellicole più rappresentative della Nouvelle Vague francese.


Tratto dal romanzo “Fool’s Gold” della scrittrice americana Dolores Hitchens, “Band à part” è il settimo lungometraggio del regista francese Jean-Luc Godard.
Considerata una delle pietre miliari della Nouvelle Vague, questa pellicola è stata più volte citata nel corso degli anni da numerosi registi, tra cui Quentin Tarantino in “Pulp Fiction” e Bernardo Bertolucci in “The dreamers”.
E’ la storia di una ragazza e due ragazzi che si sviluppa in un insolito triangolo amoroso.
Odile (Anna Karina) è una giovane e ingenua studentessa che non ha ancora conosciuto il vero amore.
Arthur (Claude Brasseur) e Franz (Samy Frey), invece, sono due spiantati legati da una profonda amicizia, sebbene siano caratterialmente diversi e all’apparenza non abbiamo nulla in comune, se non una grande passione per i film americani.
Nel tentativo di dare una svolta decisiva alle loro vite, i due amici progettano una rapina nell’abitazione della zia di Odile, situata nella periferia di Parigi.
Poiché è lì che vive la ragazza, Arthur e Franz decidono di coinvolgerla nella loro impresa, affinché li aiuti a penetrare nella villa; e lei, che nel frattempo si è innamorata di Arthur, suo malgrado accetta.
Purtroppo, però, le cose non andranno come previsto…



In “Bande à part” ritroviamo l’incantevole Anna Karina, all’epoca musa ispiratrice nonché compagna di Jean-Luc Godard, accanto a due grandi interpreti del calibro di Claude Brasseur e Samy Frey.
La storia si sviluppa attorno alla figura di Odile, e più precisamente alle relazioni che vengono a crearsi tra lei e gli altri due personaggi maschili, ciascuno dei quali mostra nei confronti della ragazza un diverso interesse.
Mentre le riprese sono state effettuate senza seguire una tecnica ben precisa, conformemente ai dettami della Nouvelle Vague, non si può affermare altrettanto per quanto riguarda la modalità con cui viene narrata la vicenda, che poggia su di una sceneggiatura ben strutturata, realizzata dallo stesso Godard partendo da un soggetto della Hitchens.
Il regista interviene come voce fuori campo ogniqualvolta desidera spiegare alcuni punti particolarmente salienti della storia, o nel momento in cui ritiene opportuno esternare lo stato d’animo dei singoli personaggi che sono coinvolti nella vicenda, e che spesso vediamo scorrazzare a bordo di una vecchia Simca lungo le strade semideserte di una grigia Parigi dei primi anni sessanta.
“Bande à part” è indubbiamente uno dei film più rappresentativi della Nouvelle Vague francese, che viene spesso ricordato per due scene in particolare.
Quella dell’irresistibile balletto di Odile, Arthur e Franz all’interno di un café; e quella in cui il bizzarro terzetto decide di percorrere, correndo a perdifiato, l’intero Louvre.
Molti anni dopo, e più precisamente nel 2003, Bernardo Bertolucci decise di riprendere quest’ultima scena nel suo “The dreamers”, ambientato ai tempi delle contestazioni studentesche del 1968.
I tre ragazzi, interpretati rispettivamente da Eva Green, Michael Pitt e Louis Garrel, decidono infatti di ricreare la scena della corsa vista alcuni anni prima proprio in “Bande à part” di Jean-Luc Godard.




Titolo: Bande à part ( Bande à part )
Regia: Jean-Luc Godard
Interpreti: Anna Karina, Samy Frey, Claude Brasseur
Nazionalità: Francia
Anno: 1964


lunedì 5 novembre 2012

“Fino all’ultimo respiro” di Jean-Luc Godard: Parigi, gli anni 60 e… la Nouvelle Vague.


Fino all’ultimo respiro” è il primo lungometraggio di Jean-Luc Godard; tratto da un soggetto di François Truffaut, e realizzato sotto la supervisione tecnica di Claude Chabrol, è considerato il film-manifesto della Nouvelle Vague francese.
Al fianco di un superbo Jean-Paul Belmondo, troviamo una giovanissima Jean Seberg: la graziosa attrice americana che questa pellicola consacrò icona di stile degli anni sessanta.
Michel Poiccard (Jean-Paul Belmondo) è un giovane balordo che vive di espedienti, barcamenandosi tra furti e truffe.
Dopo aver rubato l’ennesima auto a Marsiglia, prima di fuggire in Italia si reca a Parigi per recuperare da un amico del denaro che gli spetta.
Inseguito da due agenti per eccesso di velocità, ne uccide uno con una pistola che ha trovato nel cruscotto dell’auto.
Arrivato a Parigi, dopo aver ritrovato Patricia Franchini (Jean Seberg), una studentessa americana della quale si era precedentemente innamorato, cerca di convincerla ad andare con lui in Italia.
La ragazza però, sebbene non sembri disdegnare le attenzioni di Michel, non ha nessuna intenzione di seguirlo, non approvando il suo stile di vita dissoluto.
Poco dopo Michel apprende dai giornali di essere ricercato dalla polizia, che nel frattempo ha interrogato Patricia, essendo stata vista insieme a lui.
L’americana, nel tentativo di farlo fuggire prima che venga arrestato, decide di denunciarlo rivelando il luogo in cui Michel si è nascosto.
Raggiunto dalla polizia, l’uomo tenta di fuggire ma inutilmente; muore infatti sotto lo sguardo contrito di Patricia, dopo essere stato colpito da un agente.



Girato tra Parigi e Marsiglia in poco meno di un mese e con un budget alquanto limitato, con “Fino all’ultimo respiro”  Jean-Luc Godard reinventò il modo di fare cinema, mettendo in pratica quella volontà di opporsi alle rigide regole che avevano caratterizzato fino ad allora l’industria cinematografica francese, secondo quanto rivendicato dallo stesso Godard e dagli altri registi fondatori del movimento della Nouvelle Vague.
In nome di una libertà di espressione che abbracciava anche la realizzazione tecnica di un film, durante le riprese scomparve infatti l’uso di cavalletti e binari; basti ricordare che per girare la celebre scena in cui Michel e Patricia passeggiano l’una accanto all’altro sugli Champs-Elysées, il regista si avvalse di una macchina da presa installata su di una bicicletta.
Caratterizzato da una sceneggiatura alquanto esile, “Fino all’ultimo respiro” è un omaggio ai vecchi polizieschi americani, di cui Godard era un grande appassionato.
Il personaggio di Michel, interpretato magnificamente da un giovane Jean-Paul Belmondo, sebbene viva costantemente sopra le righe, nasconde in realtà un lato estremamente tenero come ci è dimostrato dal suo affetto per Patricia; affetto che gli impedisce perfino di mettersi in salvo, e quindi di allontanarsi da lei, nel momento in cui la ragazza gli rivela di averlo denunciato alla polizia.
Fa da sfondo a questa sfortunata storia d’amore, una Parigi che affascina nonostante l’immagine estremamente semplice che ci viene restituita da una fotografia in bianco e nero ridotta all’essenziale, e che è indubbiamente rappresentativa di un’importante fase di transizione nella storia politica e culturale della Francia.


  
Titolo: Fino all’ultimo respiro ( A bout de souffle )
Regia: Jean-Luc Godard
Interpreti : Jean-Paul Belmondo, Jean Seberg, Daniel Boulanger, Jean-Pierre Melville
Nazionalità: Francia
Anno : 1960


domenica 30 settembre 2012

“Il disprezzo” di Jean-Luc Godard: scene da un matrimonio, in crisi.


Tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia pubblicato nel 1954, e girato in Italia tra Roma e Capri, “Il disprezzo” è considerato un vero e proprio classico della cinematografia d’Oltralpe. Diretti da Jean-Luc Godard, uno dei grandi maestri della Nouvelle Vague, Brigitte Bardot e Michel Piccoli interpretano una coppia francese il cui matrimonio appare ormai giunto inevitabilmente al capolinea.
Paul Javal (Michel Piccoli), uno sceneggiatore teatrale francese, è sposato con Camille (Brigitte Bardot), un’ex-dattilografa.
La coppia vive a Roma, dove recentemente ha acquistato una casa, conducendo una vita apparentemente tranquilla e felice.
Paul viene contattato da un produttore americano, Jeremy Prokosh (Jack Palance), per riscrivere la sceneggiatura di un film basato sull’Odissea di Omero, e diretto da Fritz Lang, con lo scopo di modernizzarla.
Il giorno dell’appuntamento con Prokosh, Paul viene raggiunto da Camille presso gli studi di Cinecittà. Vedendola, l’americano ne rimane subito affascinato e, con la scusa di discutere con più tranquillità i dettagli della sua proposta, invita la coppia a seguirlo a casa sua.
Intenzionato a raggiungerli successivamente in taxi, lo sceneggiatore esorta la moglie ad andare lei con Prokosh.
Camille, sicura che Paul l’abbia fatto per lasciarla da sola con il produttore americano, inizia a disprezzare il marito, accusandolo di essere troppo arrendevole ai compromessi; e a seguito di ciò il loro rapporto entra in crisi, sebbene prima di quell’episodio sembrasse navigare in acque tranquille.
La situazione continuerà a degenerare, anche dopo che la coppia si sarà trasferita a Capri per seguire le riprese del film, fino a quando la storia non  giungerà a un fatale e tragico epilogo…



Riprendendo le linee guida del romanzo di Moravia, Jean-Luc Godard realizzò una pellicola personale, dal carattere decisamente più commerciale rispetto ai suoi precedenti lavori, in un’epoca in cui la Nouvelle Vague stava vivendo una situazione di profondo stallo.
Così come era stato distribuito nelle sale italiane, “Il disprezzo” appariva notevolmente diverso da quello della versione che era stata invece presentata al pubblico francese ( di cui vi consiglio vivamente la visione, anche se sottotitolata in italiano ).
In effetti Carlo Ponti, uno dei produttori del film, riteneva che la copia originale fosse inaccettabile per il mercato italiano; per questo motivo provvide a far tagliare e rimontare alcune scene, nonché a modificare alcuni dialoghi, con la conseguenza di stravolgere il significato originale della pellicola.
Lo stesso Godard, dopo aver visto la versione rielaborata da Ponti, ne rinnegò immediatamente la paternità.
Proprio per motivi di censura, nella versione giunta nella sale italiane furono tagliate due scene in cui Brigitte Bardot appariva nuda. All’inizio del film, nel momento in cui Camille e Paul giacciono sul letto una accanto all’altro e, più avanti, quando vediamo l’attrice francese distesa su di un tappeto bianco.
L’indimenticabile “Thème de Camille” composto da Georges Delerue, nella versione italiana venne, a mio avviso, inspiegabilmente sostituito dalla musica di Piero Piccioni, facendo perdere così alla pellicola parte della sua originaria drammaticità, invece così ben sottolineata dalla struggente melodia di Delerue, che potete (ri)ascoltare cliccando QUI.
“Il disprezzo” si contraddistingue anche per il suo notevole impatto visivo sullo spettatore,  grazie a una magistrale fotografia che ricorre all’utilizzo di colori vivaci, soprattutto nelle scene ambientate a Capri in cui predominano il blu del mare, il giallo del sole e il rosso della villa.
Accanto ad una sensualissima Brigitte Bardot, e a un impareggiabile Michel Piccoli, ritroviamo il grande Jack Palance nel ruolo del facoltoso produttore americano e, nella parte di se stesso, Fritz Lang, l’indimenticabile regista austriaco che Godard, per la grandissima stima che nutriva nei confronti del suo lavoro,  volle in questo suo ennesimo e controverso film.



Titolo: Il disprezzo ( Le mépris )
Regia: Jean-Luc Godard
Interpreti : Brigitte Bardot, Michel Piccoli, Jack Palance, Fritz Lang, Giorgio Moll
Nazionalità: Francia
Anno : 1963