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sabato 2 gennaio 2021

“LE VERITA’ “ di Hirokazu Kore-eda: il doloroso percorso introspettivo, a ritroso nel tempo, di una madre e una figlia.


 Foto: Allociné

Fabienne Dangeville ( Catherine Deneuve ) è un’attrice con una lunga e invidiabile carriera cinematografica alle spalle, ma oramai da anni sul viale del tramonto.
Ha da poco pubblicato un’autobiografia e, proprio per celebrarne l’uscita, riceve da New York la visita della figlia Lumir ( Juliette Binoche ), di professione sceneggiatrice, accompagnata dal marito Hank ( Ethan Hawke ) e dalla piccola Charlotte. 
Proprio leggendo quel libro, Lumir si accorge però che quanto riportato dalla madre, soprattutto con riferimento al loro rapporto, purtroppo non corrisponde alla realtà; e così, alquanto indignata per l’evidente mistificazione dei fatti, finisce inevitabilmente per rinfacciare all’anziana genitrice il palese disinteresse da lei mostratole negli anni della sua infanzia, risvegliando così tutta una serie di dissapori e incomprensioni che il passare del tempo ha solamente assopito, ma non definitivamente cancellato…


Foto: Allociné

Dopo il pluripremiato “Un affare di famiglia”Hirokazu Koreeda torna a occuparsi delle dinamiche che si sviluppano all’interno di contesti familiari, questa volta spostando però l’azione dall’oriente all’Europa, e più nello specifico in Francia. 
Qui, in un’elegante dimora situata nei dintorni di Parigi, prende rapidamente forma un tormentato “gioco al massacro”, protagonista del quale è una figlia che non hai mai perdonato alla propria madre di averla sempre trascurata, in quanto troppo concentrata su se stessa e la propria carriera. 
E’ la recente pubblicazione di un libro di memorie dell’attrice a scatenare una serie di accese discussioni all’interno delle mura domestiche, nel corso delle quali Lumir di certo non le risparmia accuse anche piuttosto pesanti. 
Mentre assistiamo alle riprese del suo ultimo film, nel quale Fabienne non interpreta più il ruolo della protagonista a cui un tempo era abituata, finzione e realtà si intrecciano e sovrappongono, aprendo così alle due donne le porte di un doloroso percorso introspettivo a ritroso nel tempo, al termine del quale entrambe giungeranno ( forse ) a trovare un sofferto punto di intesa, e a chiudere definitivamente i conti con il passato. 
Per la sua prima produzione europea, il regista giapponese è riuscito a dirigere uno straordinario cast di interpreti, all’interno del quale brillano le stelle di Catherine Deneuve e Juliette Binoche: due attrici appartenenti a due diverse generazioni del cinema francese che, con le loro molteplici peculiarità, si rivelano praticamente perfette per i loro rispettivi ruoli.


Foto: Allociné

Titolo: Le verità ( La vérité )
Regia: Hirokazu Kore-eda
Interpreti: Catherine Deneuve, Juliette Binoche, Ludivine Sagnier, Ethan Hawke
Nazionalità: Francia
Anno: 2019
In vendita su Amazon.it
Trailer




venerdì 1 maggio 2020

“TUTTI I RICORDI DI CLAIRE” di Julie Bertuccelli: il sofferto percorso di vita di una donna, sospeso tra passato e presente.


Foto: Allociné

Claire Darling ( Catherine Deneuve ) è una donna oramai non più giovane, e con qualche problema di memoria, che vive da sola in una vecchia ed enorme casa a Verderonne, nel nord della Francia.
Un mattino, al suo risveglio, convinta che quello sarà l’ultimo giorno della sua vita, decide di allestire nel giardino della propria abitazione un mercatino, per disfarsi di tutti i mobili, i quadri e gli altri oggetti di cui nel corso degli anni è stata un’avida collezionatrice.
Informata da un’amica, Marie ( Chiara Mastroianni ), la figlia di Claire che da anni non ha più alcun rapporto con la madre,  preoccupata per quanto sta accadendo, fa immediatamente ritorno a casa.
Quell’incontro rappresenterà per entrambe la tanto attesa occasione per chiudere definitivamente i conti con il passato…


Foto: Allociné

Tutti i ricordi di Claire” tratteggia il drammatico ritratto di una donna che, vivendo da anni in completa solitudine e in preda a vaneggiamenti, “sente” di essere oramai giunta alla fine della sua esistenza.
Un’esistenza caratterizzata sì dagli agi, ma anche e soprattutto da tragici eventi che hanno segnato per sempre il destino della sua famiglia, e portato la figlia Marie ad allontanarsi da lei; e così Julie Bertuccelli, affidandosi al sapiente utilizzo di frequenti flashback, ci accompagna, avanti e indietro nel tempo, lungo il tortuoso percorso della vita di Claire, permettendoci scena dopo scena di venire a conoscenza di tutti i drammatici segreti che quella casa, dove la donna vive oramai da reclusa, custodisce così gelosamente.
Punto di forza della pellicola è proprio la narrazione della vicenda che si sviluppa su due piani temporali differenti, in cui Catherine Deneuve e Alice Taglioni, entrambe straordinarie, si alternano nel dare anima e corpo al personaggio da loro così intensamente interpretato.
Una menzione speciale spetta infine alla bravissima Chiara Mastroianni, la quale nel sofferto ruolo di Marie emoziona e commuove proprio per essere figlia di Catherine Deneuve non solamente nella finzione cinematografica.


Foto: Allociné 

Titolo: Tutti i ricordi di Claire ( La dernière folie de Claire Darling )

Regia: Julie Bertuccelli
Interpreti: Catherine Deneuve, Chiara Mastroianni, Alice Taglioni, Colomba Giovanni
Nazionalità: Francia
Anno: 2018
In vendita su: Amazon
     

mercoledì 26 luglio 2017

“Quello che so di lei” di Martin Provost: l’incontro-scontro tra due donne dalle esperienze di vita e dai caratteri diametralmente opposti.


Claire ( Catherine Frot ) è un’ostetrica, innamorata da sempre del proprio lavoro, che nel corso della sua vita professionale ha aiutato a nascere centinaia di bambini.
Adesso, però, alla soglia dei cinquant’anni si ritrova a prendere una decisione alquanto difficile  per la sua carriera; l’ospedale presso il quale lavora da tempo sta infatti per chiudere i battenti, costringendola così a cercare quanto prima una nuova sistemazione.
La donna è comunque tutt’altro che intenzionata ad accettare l’offerta proveniente da una nuova ed efficiente struttura dotata delle più moderne tecnologie, all’interno della quale l’importanza data all’esperienza nonché al fattore umano sembra però passare in secondo piano.
In questo momento di estrema incertezza, ecco che del tutto inaspettatamente  Claire riceve una telefonata da Béatrice ( Catherine Deneuve ): la donna con cui suo padre molti anni prima ha avuto una relazione interrottasi bruscamente proprio per volere della stessa  Béatrice; a seguito di tale rottura l’uomo decise poi di togliersi la vita.
Sebbene quella telefonata riapra una ferita mai completamente rimarginata, Claire decide di incontrare la donna che le ha causato quella stessa ferita.
Rimasta alquanto sconvolta nell’apprendere ciò che è accaduto al suo ex-amante, Béatrice le riferisce a sua volta che, dopo una vita caratterizzata da alti e bassi, anche lei adesso sta attraversando un periodo particolarmente difficile: le è stato infatti diagnosticato un tumore e, per questo motivo, chiede a Claire di rimanerle accanto.
Quest’ultima, nonostante l’enorme rancore provato, decide di aiutarla… 


Con “Quello che so di lei il regista francese ci regala un’intensa commedia drammatica in cui viene narrato l’incontro-scontro tra due donne dalle esperienze di vita e  dai caratteri diametralmente opposti, unite tuttavia, anche se in modalità del tutto differenti, dall’amore per lo stesso uomo.
In effetti, sebbene le azioni di Béatrice abbiamo purtroppo segnato negativamente l’esistenza di Claire, quest’ultima non riesce a negarle il proprio appoggio morale, come se il fatto di riavvicinarsi a quella donna possa in qualche modo ricollegarla a quella parte del suo passato in cui viveva ancora felice con suo padre.
In realtà, però, succede molto di più a seguito di quella frequentazione: a poco a poco, infatti, quel modo di affrontare con leggerezza la vita, che ha da sempre  caratterizzato l’esistenza di Béatrice, finisce inevitabilmente per “contagiare” Claire, spingendola così a riaprirsi nei confronti del mondo e soprattutto dell’amore.
L’interesse mostratole da un simpatico camionista, interpretato dal bravo Olivier Gourmet, la porterà infatti a riscoprire e valorizzare la propria femminilità.
La pellicola di Martin Provost diverte e al tempo stesso emoziona, ma soprattutto ci fa riflettere sull’inevitabile scorrere del tempo e su ciò che ci potrà riservare il futuro, spesso purtroppo senza la possibilità di avere al nostro fianco le persone a noi più care.
Semplicemente straordinarie le prove di recitazione di Catherine Deneuve e Catherine Frot: due interpreti appartenenti a due diverse generazioni del cinema francese, ma indubbiamente accomunate da una grandissima professionalità, nonché da un’estrema sensibilità nell’approcciarsi ai loro rispettivi personaggi.


Titolo: Quello che so di lei ( Sage femme )
Regia : Martin Provost
Interpreti: Catherine Frot, Catherine Deneuve, Olivier Gourmet
Nazionalità: Francia
Anno: 2017

sabato 30 aprile 2016

“Tre cuori” di Benoît Jacquot: gli imprevedibili e bizzarri intrecci del destino.


Marc ( Benoît Poelvoorde ) è un ispettore dell’ufficio delle imposte, che vive e lavora a Parigi.
Trovandosi in trasferta in un’altra città per eseguire una delle sue verifiche fiscali, una sera, in un bar, conosce Sylvie ( Charlotte Gainsbourg ).
I due trascorrono insieme la nottata conversando piacevolmente, e al mattino seguente decidono di darsi appuntamento nella capitale francese, definendo solamente la data, l’ora e il luogo dell’incontro, senza però scambiarsi i rispettivi numeri di telefono.
Alcuni giorni più tardi, Sylvie parte quindi per Parigi; nel frattempo anche Marc si reca all’appuntamento, ma durante il tragitto viene colpito da un attacco di cuore.
Sebbene in ritardo, raggiunge comunque il luogo dell’incontro ma, purtroppo, non trova nessuno ad attenderlo.
Qualche tempo dopo, sul luogo di lavoro, Marc incontra Sophie ( Chiara Mastroianni ); la donna ha un serio problema con il fisco per alcune  irregolarità nella tenuta delle scritture  contabili del suo negozio di antiquariato, e appare agli occhi di Marc talmente disperata, che quest’ultimo decide di aiutarla.
Dalla loro frequentazione nasce quindi una bella storia d’amore, che ben presto li porta all’altare; poco tempo dopo, però, l’uomo scopre casualmente che Sophie e Sylvie sono sorelle. 
Nonostante i due cognati tentino inizialmente di ignorarsi, non riescono comunque a frenare a lungo la passione che non erano riusciti a consumare tempo prima, dando così vita ad un pericoloso ménage à trois che finirà per segnare inevitabilmente e drammaticamente le vite di tutti e tre…


Protagonista indiscusso di “Tre cuori” è il destino, che con i suoi imprevedibili, e spesso alquanto bizzarri intrecci, finisce sempre per definire il corso delle nostre vite.
Questo è ciò che esattamente accade anche a Marc: un ligio funzionario dell’ufficio delle imposte, affetto da un serio problema cardiaco, il quale, suo malgrado, si ritrova al centro di un insolito triangolo, nel quale due sorelle, anche se molto legate l’una all’altra, si ritrovano  a contendersi il suo amore.
La pellicola di Benoît Jacquot si presenta fin dalle prime scene come un elegante melodramma ambientato sullo sfondo della provincia francese ma, con lo svilupparsi della vicenda, assume i tratti caratteristici del thriller sentimentale, rendendosi così particolarmente intrigante per lo spettatore.
Nei panni alquanto scomodi di Marc ritroviamo il sempre più bravo Benoît Poelvoorde, mentre Charlotte Gainsbourg e Chiara Mastroianni sono rispettivamente Sylvie e Sophie: due sorelle all’apparenza tanto diverse tra loro, quanto le due attrici che magnificamente le interpretano.
Più che dovuta, una menzione speciale spetta infine per la grandissima Catherine Deneuve, la quale, anche se in un ruolo secondario, ci dà l’ennesima dimostrazione della sua indiscutibile maturità artistica.    


Titolo: Tre cuori ( 3 coeurs )
Regia : Benoît Jacquot
Interpreti: Benoît Poelvoorde, Charlotte Gainsbourg, Chiara Mastroianni, Catherine Deneuve
Nazionalità: Francia
Anno: 2014




sabato 28 novembre 2015

“A testa alta” di Emmanuelle Bercot: il disperato e commovente racconto di un’adolescenza difficile, grandiosamente sostenuto da uno straordinario cast di interpreti.


Malony ( Rod Paradot ) ha trascorso gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza entrando ed uscendo da istituti minorili; nel frattempo, ha comunque continuato a intrattenere un rapporto, sebbene alquanto conflittuale, con la madre Séverine ( Sara Forestier ), da sempre incapace di prendersi realmente cura dei propri figli.
Nel corso degli anni, Malony si è così ritrovato spesso di fronte alla giudice per i minori Florence Blaque ( Catherine Deneuve ), la quale di volta in volta ha dovuto decidere ciò che fosse meglio per lui.
Giunta al limite dell’esasperazione, e dovendo scegliere l’ennesimo educatore a cui affidare il ragazzo, la donna decide di assegnarlo a Yann ( Benoît Magimel ); essendo al corrente che anche quest’ultimo ha avuto un’infanzia difficile, spera infatti che almeno lui sappia come gestire le intemperanze di Malony.
Sfortunatamente, però, il giovane sembra rifiutare categoricamente qualunque tipo di aiuto gli venga offerto, rivelandosi insensibile anche all’affetto dimostratogli da Tess ( Diane Rouxel ) - l’introversa figlia di un’insegnante di uno degli istituti che lo hanno accolto - e precludendosi così ogni forma di salvezza.
Questo, però, fino a quando non accadrà qualcosa che lo porterà finalmente ad assumersi le proprie responsabilità, sebbene decisamente più grandi di lui…


Scelto come film di apertura del Festival di Cannes 2015, “A testa alta” è il disperato e commovente racconto di un’adolescenza difficile, grandiosamente sostenuto da uno straordinario cast di interpreti.
Protagonista della vicenda è il tormentato Malony, cresciuto purtroppo senza la figura di un padre con il quale rapportarsi, e con la vacillante presenza di una madre non sufficientemente responsabile per poter ricoprire il proprio ruolo di genitrice.
La diretta conseguenza di tutto ciò è un incontenibile sentimento di rabbia di cui il giovane sembra costantemente nutrirsi e che, oltre a spingerlo al compimento di atti che spesso travalicano il limite della legalità, sembra renderlo incapace di riconoscere chi realmente si interessa a lui.
L’interpretazione del giovanissimo Rod Paradot  è semplicemente straordinaria; ad affiancarlo ritroviamo, sempre con immenso piacere, una Catherine Deneuve quanto mai intensa, e un particolarmente toccante Benoît Magimel.
Nonostante la profonda disperazione che caratterizza il percorso formativo del tormentato protagonista nel corso di quasi dodici anni della sua esistenza, Emmanuelle Bercot vuole comunque lanciare un importante messaggio di speranza, nella consapevolezza che, anche contando sull’aiuto degli altri, esiste sempre una possibilità per redimersi e cambiare il proprio percorso di vita; e, fortunatamente per lui, questo è proprio ciò che accade  a Malony, che nella scena finale del film vediamo uscire “a testa alta” dal tribunale dei minori, all’apparenza decisamente più sereno e profondamente cambiato non solo negli atteggiamenti, ma anche e soprattutto nel cuore.   


Titolo: A testa alta ( La tête haute )
Regia: Emmanuelle Bercot
Interpreti: Catherine Deneuve, Benoît Magimel, Rod Paradot, Sara Forestier
Nazionalità: Francia
Anno: 2015




lunedì 29 settembre 2014

“La mia droga si chiama Julie” di François Truffaut: una tormentata storia d’amore per due grandi icone del cinema francese.


Louis Mahé (Jean-Paul Belmondo) è il proprietario di una piantagione di tabacco sull’isola della Réunion; benestante e ancora scapolo, intrattiene un rapporto di corrispondenza con una donna francese di nome Julie.
Quando poi l’uomo decide di invitarla a raggiungerlo sull’isola, gli si presenta però una persona completamente diversa (Catherine Deneuve) da quella che lui aveva visto in fotografia.
Colpito dall’incredibile bellezza della donna, Louis crede alla sua bizzarra giustificazione, e l’accoglie comunque nella sua proprietà.
Dopo il matrimonio, i due sembrano condurre una felice vita insieme, sebbene alcuni strani atteggiamenti di Julie lascino Louis alquanto perplesso.
Follemente innamorato di lei, decide comunque di consentirle l’accesso illimitato ai propri conti bancari; la donna però, poco dopo, scompare dall’isola con tutti i soldi di Louis.
Scoperto quindi che in realtà sua moglie è una truffatrice, e, soprattutto, che ha assunto l’identità di un'altra persona, Louis si metterà subito sulle sue tracce per vendicarsi, ma le cose non si riveleranno così semplici per lui…



Tratta dal romanzo di William Irish, edito in Italia con il titolo “Vertigine senza fine”, questa ennesima pellicola di François Truffaut riscosse uno scarso successo sia di critica sia di pubblico all’epoca della sua uscita nelle sale.
Fortunatamente di diverso parere è invece il popolo dei cinefili, che considera “La mia droga si chiama Julie” un vero e proprio capolavoro; il grande maestro francese, infatti, è riuscito mirabilmente a miscelare il thriller con il mélo, senza lesinare una buona dose di humor nero.
In effetti, le intriganti atmosfere hitchcockiane che caratterizzano la prima parte del film, lasciano poi spazio ad uno sviluppo della storia decisamente più melodrammatico.
Catherine Deneuve è semplicemente straordinaria nel suo ruolo di affascinante dark lady con un doloroso passato alle spalle; mentre un altrettanto straordinario Jean-Paul Belmondo, all’epoca, spiazzò completamente il pubblico dei suoi affezionati fan, non abituati a vederlo recitare nei panni di un uomo solo in apparenza forte, perdutamente innamorato di una donna, e, soprattutto, soggiogato dal suo fascino.
Sebbene durante la visione della pellicola appaia evidente che le azioni di Louis e Julie/Marion sono mosse da motivazioni diametralmente opposte, è però nel romantico finale immerso nella neve, che i due sembrano aver finalmente trovato uno stabile punto di contatto; ma, almeno questa volta, sarà stata sincera lei?


Titolo: La mia droga di chiama Julie ( La sirène du Mississipi )
Regia: François Truffaut
Interpreti: Catherine Deneuve, Jean-Paul Belmondo, Michel Bouquet
Nazionalità: Francia
Anno: 1969



domenica 16 febbraio 2014

“L’ultimo metrò” di François Truffaut: un intenso affresco del mondo del teatro sullo sfondo di uno dei periodi più difficili della storia francese.


Nella Parigi del 1942, durante l’occupazione nazista, Marion Steiner (Catherine Deneuve) ha assunto la direzione del Teatro Montmartre, dopo che il marito Lucas (Heinz  Bennent), un regista di origine ebrea, è ufficialmente fuggito all’estero per sottrarsi alle persecuzioni razziali.
In realtà, l’uomo si nasconde nello scantinato del teatro. Da qui, attraverso le condotte dell’aria, può comunque continuare a seguire le prove di un’opera teatrale prossima al debutto, nella quale recita anche la moglie Marion.
Quest’ultima nel frattempo ha scritturato Bernard Granger (Gérard Depardieu), un attore di grande talento, attivamente impegnato anche nella Resistenza, al quale affida il ruolo del protagonista maschile.
A poco a poco, le problematiche relative all’allestimento della pièce teatrale iniziano ad intrecciarsi con le vicende personali dei vari membri della troupe…

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Dopo aver felicemente omaggiato il cinema nel pluripremiato “Effetto notte”, con questa sua terzultima pellicola François Truffaut ci ha regalato un intenso affresco del mondo del teatro.
Sullo sfondo di uno dei periodi più difficili della storia francese, il regista è riuscito a mettere in scena un complesso intreccio tra finzione e realtà, che vede protagonisti i componenti di una compagnia teatrale, durante i giorni che precedono la serata della prima.
Tra di loro, Marion, Lucas e Bernard sono le figure chiave di un tormentato triangolo amoroso che, fotogramma dopo fotogramma, si dipana lentamente di fronte agli occhi dello spettatore, il quale si ritrova inevitabilmente immerso nella tensione che permea l’intera vicenda.
Ecco quindi che la relazione tra Marion e Lucas, già di per sé complicata, in quanto per forza di cose vissuta nella “clandestinità” di uno scantinato, viene ulteriormente messa a dura prova dalla forte attrazione che, a poco a poco, finisce per spingere la donna tra le braccia di Bernard.
L’ultimo metrò” rappresentò per il maestro francese un altro enorme successo sia di critica che di pubblico, tant’è che, tra i numerosi premi, riuscì ad aggiudicarsi ben dieci César e perfino una nomination all’Oscar come miglior film straniero.
Alla base di una tale cascata di riconoscimenti, oltre alla mano esperta di Truffaut, ad una sceneggiatura decisamente affascinante, e ad un’accurata ricostruzione dell’epoca, vi è ovviamente anche la straordinaria prova di recitazione dei due interpreti principali.
Catherine Deneuve, nei panni di Marion, affascina ed intriga per la sua capacità di essere algida e sensuale allo stesso tempo, mentre Gérard Depardieu, da parte sua,  riesce a dar vita all’impeccabile  ritratto di un uomo intimamente combattuto tra la sua profonda passione per il teatro e il suo irrinunciabile impegno nella politica.



Titolo: L’ultimo metrò ( Le dernier métro )
Regia: François Truffaut
Interpreti: Catherine Deneuve, Gérard Depardieu, Andréa Ferréol, Jean Piret
Nazionalità: Francia
Anno: 1980

sabato 25 maggio 2013

“Scatti rubati” di Eric Lartigau: la singolare storia di un uomo che voleva vivere la sua vita.


Paul Exben (Romain Duris) è un uomo che sembra aver avuto tutto dalla vita; ha infatti una bella famiglia, successo nella sua professione di avvocato e, soprattutto, molti soldi.
Tutto ciò sarebbe perfetto se non fosse che in realtà non è quello che lui aveva sempre immaginato per sé, desiderando invece diventare un fotografo professionista.
Quando sua moglie (Marina Foïs) gli annuncia di volere il divorzio, all’improvviso il mondo gli crolla addosso e, sospettando che lei abbia una relazione con Greg, un loro amico fotografo, si reca a casa di quest’ultimo per affrontarlo.
Purtroppo, però, la discussione tra i due degenera a tal punto che, sebbene accidentalmente, Paul causa la morte dell’amico.
In preda alla disperazione, dopo essersi sbarazzato del cadavere, l’uomo decide di assumere l’identità di Greg, ritrovandosi così a vivere la vita che aveva sempre sognato.
Parte quindi alla volta dell’Ungheria per realizzare un importante servizio fotografico; ben presto, però, la nuova situazione si rivelerà per lui tutt’altro che semplice da gestire…

Durante la visione di “Scatti rubati”, lo spettatore è inevitabilmente portato a riflettere sul significato della propria esistenza e, in particolar modo, a chiedersi se sia soddisfatto o meno della vita che sta conducendo.
Partendo dal romanzo di Douglas Kennedy, Eric Lartigau ci introduce all’interno di una famiglia borghese che, solo in apparenza, vive felicemente  in una bella casa situata nella periferia parigina.
Paul, il capofamiglia, da sempre appassionato di fotografia, sebbene debba proprio alla sua professione il suo elevato status sociale,  ci appare fin da subito come intrappolato in un’esistenza che non gli appartiene fino in fondo.
Ciò che comunque lo spinge ad andare avanti, a continuare a guadagnare soldi e, in questo modo, a garantire il benessere dei suoi familiari, è il suo amore per loro.
Però, non appena scopre il tradimento della moglie, e per di più con un loro amico fotografo, ecco che inevitabilmente viene a guastarsi quell’equilibrio che fino ad allora gli aveva impedito di fare i conti con se stesso.
E’ il verificarsi di una circostanza tragica a permettergli di iniziare a vivere la vita che ha sempre sognato, sebbene ciò lo costringerà, allo stesso tempo, ad allontanarsi per sempre dai propri figli; ed è proprio in questo frangente che “Scatti rubati” offre allo spettatore un’interessante svolta nel suo registro narrativo, che vede Paul come catapultato in un ambiente senz’altro meno “patinato” di quello in cui Eric Lartigau ce lo presenta inizialmente, ma indubbiamente a lui più consono.
In effetti, gli incantevoli scenari delle montagne del Montenegro ( che per esigenze di copione diventano ungheresi ) gli forniscono la giusta ispirazione per poter esprimere finalmente il proprio talento; paradossalmente però, non appena riesce a farsi notare con le sue foto, Paul prende inevitabilmente coscienza di non essere in grado di gestire liberamente la sua improvvisa notorietà.
In “Scatti rubati” Romain Duris ci dà l’ennesima dimostrazione delle sue elevate capacità recitative, risultando estremamente credibile tanto nel ruolo dell’amorevole padre di famiglia, nonché professionista di successo, quanto in quello del talentuoso fotografo per sempre condannato a vivere nell’ombra.
Accanto a lui, in poco più che un cameo, ritroviamo la sempre stupenda Catherine Deneuve, la cui breve ma intensa interpretazione conferisce un ulteriore valore aggiunto a questo sorprendente thriller carico di eclatanti colpi di scena.



Titolo: Scatti rubati ( L’homme qui voulait vivre sa vie )
Regia: Eric Lartigau
Interpreti: Romain Duris, Catherine Deneuve, Marina Foïs, Niels Arestrup, Branka Katic
Nazionalità: Francia
Anno: 2010

giovedì 13 settembre 2012

“Bella di giorno” di Luis Buñuel: la fragilità di una donna morbosamente in bilico tra sogno e realtà.


Tratto da un romanzo di Joseph Kessel del 1929, e diretto nel 1967 dal regista spagnolo Luis Buñuel, “Bella di giorno” suscitò un enorme scandalo per la scabrosità dei temi trattati all’epoca in cui uscì nelle sale. A ogni modo, in considerazione dell’elevato valore artistico riconosciutogli, questo film si aggiudicò il Leone d’oro alla  Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Protagonista della pellicola è una straordinaria Catherine Deneuve, nel ruolo di una moglie borghese dalla personalità alquanto complessa, affiancata da alcuni mostri sacri del cinema francese che rispondono ai nomi di Jean Sorel, Michel Piccoli e Pierre Clementi.
Séverine (Catherine Deneuve) è l’elegante e sofisticata moglie di un medico parigino (Jean Sorel).
A causa di turbe psichiche che, da quello che riusciamo a intuire, risalgono probabilmente agli anni della sua infanzia, ha una vita affettiva alquanto distorta, caratterizzata da un’evidente frigidità nel rapporto con il marito e, contemporaneamente, da evidenti inclinazioni masochiste.
Nel tentativo di dare sfogo alle proprie fantasie erotiche e di liberarsi dalle fobie che ne condizionano pesantemente l’esistenza, Séverine inizia a prostituirsi tutti i pomeriggi, dalle 14 alle 17, presso l’appartamento di Madame Anaїs (Geneviève Page), con il nome di “Bella di giorno”.
L’incontro con Marcel (Pierre Clementi), uno dei frequentatori di quella casa di appuntamenti, e la travolgente passione che li unirà, avrà però delle inaspettate e, soprattutto, drammatiche conseguenze nella vita di Séverine.


Ambientata in un’incantevole Parigi della metà degli anni sessanta, la pellicola di Buñuel nasconde  sotto la sua elegante patina dorata tutte le torbide contraddizioni di una donna borghese, incapace di  vivere serenamente il proprio matrimonio.
Alla base di questa sua instabilità affettiva sembrano esserci le molestie sessuali subite da bambina da parte di un adulto, secondo quanto possiamo intuire dalla visione di un breve flashback all’interno del film.
La narrazione del regista si contraddistingue per un continuo intrecciarsi della realtà con il sogno, all’interno del quale Séverine si rifugia dando libero sfogo alle sue fantasie più intime; questo almeno fino a quando non inizierà a prostituirsi.
Inizialmente timorosa e riluttante ad assecondare i desideri e le perversioni dei clienti della casa di appuntamento presso la quale si reca quotidianamente, ben presto però si renderà conto di non poter più fare a meno di quella sua vita “parallela”, in cui “Bella di giorno” prende il posto di Séverine.
La fatale attrazione per Marcel, personaggio dalla fedina penale tutt’altro che pulita, segnerà però l’inizio di un drammatico precipitare degli eventi, in conseguenza del quale Séverine smetterà di essere una delle ragazze di Madame Anaїs, pur continuando però a rifugiarsi nelle atmosfere oniriche dei suoi sogni.




Titolo: Bella di giorno ( Belle de jour )
Regia: Luis Buñuel
Interpreti : Catherine Deneuve, Jean Sorel, Michel Piccoli, Macha Meril, Pierre Clementi
Nazionalità: Francia
Anno : 1967

venerdì 13 luglio 2012

“8 donne e un mistero” di François Ozon: doppio poker di donne, per una commedia noir che strizza l’occhio al musical.


Con la cartolina dalla Francia di oggi torno a parlarvi di François Ozon, e vorrei farlo con “8 donne e un mistero”: la pellicola del 2002 nella quale il regista ha diretto alcune grandi icone del cinema francese, come Catherine Deneuve, Fanny Ardant e Isabelle Huppert, riuscendo a mescolare con successo generi cinematografici differenti. 
L’azione si svolge in Francia negli anni cinquanta, all’interno di un’isolata villa di campagna, immersa nelle neve.
Suzon (Virginie Ledoyen) è una giovane studentessa appena rientrata dall’Inghilterra per trascorrere insieme alla propria famiglia le vacanze di Natale.
Nel momento in cui entra in casa con la madre (Catherine Deneuve), che è andata a prenderla all’aeroporto, trova ad attenderla l’anziana nonna (Danielle Darrieux), la fedele governante Chanel (Firmine Richard), l’isterica zia Augustine (Isabelle Huppert), la vivace sorella Catherine (Ludivine Sagnier), e Louise (Emmanuelle Béart), la nuova cameriera.
Suzon, però, non vede suo padre. Poco dopo si scopre infatti che è stato assassinato: accoltellato nel suo letto.
Poiché nessuna ha sentito abbaiare i cani nel giardino, appare subito evidente che l’omicidio può essere stato commesso solamente da una di loro.
Tra le sospettate vi è anche Pierrette (Fanny Ardant), la sorella della vittima, piombata in casa inaspettatamente dopo la scoperta del cadavere.
Inizia così una lunga giornata fatta di violenti litigi e scottanti rivelazioni. A mano a mano che il film procede, scopriamo infatti che ognuna di quelle otto donne nasconde un segreto e che, soprattutto, aveva un movente per uccidere il padrone di casa…


Con “8 donne e un mistero” François Ozon è riuscito a riunire in uno stesso film tre diverse generazioni di attrici francesi. 
Basato sulla pièce teatrale “Huit femmes” di Robert Thomas, questa divertente pellicola si presenta come un fortunato mix di generi cinematografici differenti, in cui i toni della commedia riescono a mescolarsi con naturalezza con i risvolti noir della storia, nonché con i brevi intermezzi musicali, durante i quali le otto interpreti, cantando e ballando, presentano i loro rispettivi personaggi. 
Il film è stato girato interamente in studio, e nel tentativo di far vivere in modo più realistico possibile allo spettatore l’atmosfera tipica degli anni cinquanta, Ozon ha prestato particolare attenzione non solo alla scelta dei colori dei costumi e delle scenografie, ma anche alle tecniche di ripresa, ricorrendo al Technicolor proprio per conferire un’ “immagine datata” alla pellicola.
Il “mistero”, che non “appare” nel titolo originale, è stato aggiunto per la distribuzione del film nelle sale italiane. In effetti è esclusivamente un pretesto escogitato dal regista per poter parlare di una parte dell’universo femminile, in cui otto donne caratterialmente diverse, e appartenenti a generazioni e classi sociali differenti, si incontrano e si scontrano, mettendo a nudo i loro punti di forza e di debolezza, le loro aspirazioni, come pure le loro delusioni più grandi.
Parlando proprio delle dinamiche che si vengono a sviluppare fra le protagoniste di “8 donne e un mistero”, una scena in particolare è rimasta ben impressa nelle menti degli spettatori, e al momento dell’uscita del film nelle sale attirò fortemente l’attenzione dei media. Mi riferisco alla scena del litigio e dell’appassionato bacio tra Catherine Deneuve e Fanny Ardant, che, grazie non solo alla regia di Ozon ma anche e soprattutto all’incredibile bravura delle due interpreti sopra citate, si contraddistingue per la sua eleganza e sensualità.
Sebbene tutte e otto le attrici risultino assolutamente credibili nei rispettivi ruoli, credo che una menzione particolare spetti a Isabelle Huppert per la sua divertente interpretazione di Agustine ( la cognata della vittima ), che durante il film vediamo inaspettatamente trasformarsi da acida e sciatta zitella in una donna elegante e seducente.
Molto probabilmente rimarranno delusi tutti coloro che si aspettano un giallo in pieno “stile Agatha Christie”.
Personalmente ve ne consiglio la visione se siete amanti delle atmosfere retro e se desiderate apprendere qualcosa di più della psicologia femminile, sorridendo…



Titolo: 8 donne e un mistero ( 8 femmes )
Regia: François Ozon
Interpreti : Catherine Deneuve, Fanny Ardant, Emmanuelle Béart, Virginie Ledoyen, Ludivine Sagnier, Isabelle Huppert, Firmine Richard, Danielle Darrieux
Nazionalità : Francia
Anno : 2002



lunedì 25 giugno 2012

“Potiche – La bella statuina” di François Ozon: una divertente storia di emancipazione femminile nella Francia degli anni settanta.


Oggi facciamo un salto indietro nel tempo, e più precisamente nella Francia della fine degli anni settanta, per parlare di “Potiche – La bella statuina”: la divertente commedia diretta da François   Ozon nel 2010 e interpretata, tra gli altri, da Catherine Deneuve, inimitabile icona del cinema francese. 
Francia 1977. Suzanne Michonneau (Catherine Deneuve) è una donna borghese che il  marito, Robert Pujol (Fabrice Luchini), titolare di una fabbrica di ombrelli, ha relegato a una monotona vita domestica e al riduttivo ruolo di “trofeo” da esibire.
L’uomo gestisce la propria azienda in modo dispotico, fino a quando gli operai, stanchi delle sue continue vessazioni, non entrano in sciopero e decidono di sequestrarlo.
Maurice Babin (Gérard Depardieu), un deputato comunista con il quale venticinque anni prima Suzanne aveva avuto una brevissima storia d’amore, nel tentativo di allentare la tensione nei rapporti con il personale dipendente, le consiglia di prendere il posto del marito ( che nel frattempo ha avuto un attacco di cuore ) nella direzione della fabbrica.
Inizialmente titubante, Suzanne decide di seguire il consiglio di Babin, riuscendo così a risollevare le sorti dell’azienda e, al tempo stesso, a dimostrare di essere una donna competente, dotata di capacità di azione e quindi non solamente una “bella statuina”.
In questa sua nuova veste di imprenditrice è appoggiata dai due figli: Joëlle (Judith Godrèche) e Laurent (Jérémie Renier), e dal signor Babin che, dopo tanti anni, si sente nuovamente attratto da Suzanne e ricomincia a corteggiarla.
Quando però il marito, terminato il periodo di riposo “forzato”, torna in azienda per riassumerne il comando, le cose per Suzanne iniziano a complicarsi…


Nella lingua francese il termine “potiche” individua un grosso vaso di scarso valore che ha l’unica funzione di arredare.
Con questa divertentissima commedia, ambientata nella cittadina immaginaria di Sainte-Gudule, nei pressi di Saint-Amand-les-Eaux ( nella regione del Nord-Pas de Calais ), ma interamente girata in Belgio, Ozon è riuscito a riportare sullo schermo, dai tempi de “L’ultimo metro” di François Truffaut, la coppia Deneuve-Depardieu.
Tratto dalla pièce teatrale del 1983 di Barillet e Grédy, “Potiche” è essenzialmente una storia di emancipazione femminile in una Francia della fine degli anni settanta di stampo ancora piuttosto maschilista, nella quale il personaggio interpretato dalla Deneuve si trasforma inaspettatamente da semplice “oggetto” decorativo  in un’abile  manager di successo.
A contendersi la scena con una Deneuve ancora in splendida forma, ci sono l’impareggiabile Gérard Depardieu ( decisamente “appesantito” dai tempi de “L’ultimo metro” ) e il bravissimo Fabrice Luchini ( recentemente visto sugli schermi italiani nella pellicola “Le donne del 6°piano” ) nel ruolo, rispettivamente, del sostenitore e del detrattore dell’operato di Suzanne Michonneau.
Una menzione particolare spetta inoltre all’attrice Karin Viard, per la sua interpretazione di Nadège, la segretaria-amante di Robert Pujol che durante il film diventa la fedele e attiva collaboratrice di Suzanne.
Grazie all’eccellente fotografia, all’accuratezza delle scenografie e dei costumi, nonché all’effetto “nostalgia” provocato dalle canzoni che fanno parte della colonna sonora, François Ozon riesce con naturalezza a farci rivivere le atmosfere tipiche della fine degli anni settanta; e già guardando il trailer del film ne potete avere  la conferma.
Come di consueto,  vi aspetto su questo blog con un’altra cartolina dalla Francia e, ovviamente, vi auguro buon divertimento con la visione di “Potiche”.




Titolo: Potiche – La bella statuina ( Potiche )
Regia: François Ozon
Interpreti : Catherine Deneuve, Gérard Depardieu, Fabrice Luchini, Judith Godrèche, Jérémie Renier, Karin Viard
Nazionalità : Francia
Anno : 2010