Dopo aver trascorso un periodo di tempo in Inghilterra dedicandosi all’insegnamento, Alice ( Anaïs Demoustier) decide di rientrare in Francia senza però avere la minima idea di quale indirizzo impartire alla propria vita professionale.
A ogni modo, l’occasione per ripartire le si presenta su di un piatto d’argento nel momento in cui viene scelta dall’amministrazione comunale di Lione per affiancare il sindaco della citta Paul Théraneau ( Fabrice Luchini).
Poiché negli ultimi tempi sembra che quest’ultimo abbia perduto la “capacità di pensare”, il compito assegnato alla giovane donna è proprio quello di stimolare, con la stesura di apposite note, la “creatività” dell’oramai navigato ( e soprattutto stanco ) politico, affinché possa continuare a elaborare idee che nell’interesse della collettività possano rivelarsi vincenti.
Se da un lato Alice, proprio grazie alla sua professionalità, riuscirà a farsi apprezzare dal sindaco, dall’altro avrà ben presto modo di rendersi conto dei limiti e delle contraddizioni che contraddistinguono il mondo della politica…
Sullo sfondo delle intricate dinamiche che muovono l’amministrazione di una grande città come Lione, in questo suo secondo lungometraggio il regista francese ha voluto concentrare la propria attenzione sul singolare rapporto che si sviluppa tra un uomo maturo e una giovane donna.
Due generazioni a confronto, con due percorsi di vita differenti che, pur nella propria solitudine e attraversando la propria crisi personale, riescono comunque a trovare un punto di contatto, e in virtù di questo ad avvicinarsi tra loro.
Nicolas Pariser racconta con estremo garbo questo sentimento platonico che unisce “Alice e il sindaco”, grazie anche alla misurata interpretazione di Fabrice Luchini, qui in un ruolo a lui particolarmente congeniale, e straordinariamente supportato dall’ incantevole Anaïs Demoustier.
Sebbene Arthur ( Fabrice Luchini ) e César ( Patrick Bruel ) siano caratterialmente agli antipodi, coltivano il loro rapporto di amicizia fin dai tempi in cui frequentavano lo stesso collegio.
Mentre il primo, docente universitario alla facoltà di biologia, separato ma ancora innamorato della moglie e con una figlia adolescente, si è sempre dimostrato molto ligio ai propri doveri e alle convenzioni, il secondo sembra invece che viva in uno stato di perenne adolescenza.
A seguito del nefasto esito di un esame diagnostico a cui César si è dovuto sottoporre, e di cui solamente Arthur è venuto a conoscenza, quest’ultimo, mentre tenta di comunicare all’amico che purtroppo non gli restano ancora molti mesi di vita, gli fa invece credere involontariamente di essere lui la persona gravemente malata.
Da quel momento in poi il loro rapporto di amicizia diventa ancora più forte, con la conseguenza che ognuno di essi si impegnerà per rendere il più gradevole possibile all’altro il tempo che gli rimane ancora da vivere…
“Il meglio deve ancora venire” è una divertente e al tempo stesso toccante storia di amicizia maschile, ma soprattutto un invito a guardare al futuro con ritrovata serenità anche successivamente alla scomparsa delle persone a noi più care.
Alexandre de la Patellière e Matthieu Delaporte, che il pubblico italiano ha già avuto modo di apprezzare con il pluripremiato “Cena tra amici”, ci invitano tra una gag e l’altra a una profonda riflessione sul valore delle nostre esistenze, finendo così per ricordarci come tutto possa cambiare, e per giunta inaspettatamente, da un momento all’altro.
Estremamente azzeccata, la scelta di affidare a Fabrice Luchini e Patrick Bruel ( due attori tanto talentuosi quanto dissimili tra loro ) l’interpretazione rispettivamente di Arthur e César: due uomini che, pur avendo effettuato percorsi di vita differenti, non hanno mai smesso di volersi veramente bene, nell’immutata speranza che, dopotutto, il meglio debba ancora venire.
Titolo: Il meglio deve ancora venire ( Le meuilleur reste à venir )
Regia: Alexandre de la Patellière e Matthieu Delaporte Interpreti: Fabrice Luchini, Patrick Bruel, Zineb Triki, Pascale Arbillot, Marie Narbonne Nazionalità: Francia Anno: 2019 Uscita nella sale italiane: 17 settembre 2020
Alain Wapler ( Fabrice Luchini ) è un arrogante dirigente di un’azienda automobilistica, da tempo talmente
concentrato sui propri obiettivi professionali d’aver trascurato tutto il
resto.
A seguito di un ictus, l’uomo rimane vittima di un grave
deficit cognitivo che gli impedisce di parlare correttamente.
In questa fase così delicata della sua esistenza, per lui
risulterà determinante l’incontro con Jeanne ( Leïla Bekhti ): l’introversa logopedista
incaricata di seguirlo durante il suo percorso riabilitativo.
In effetti, grazie alla quotidiana frequentazione di
quella giovane donna, Alain tornerà finalmente ad apprezzare i veri valori
della vita…
Tratto dal libro di Christian Streiff, ex manager della
Airbus, colpito da ictus all’età di 55 anni, il film di Hervé Mimran ci offre
un importante spunto di riflessione sulla riscoperta del valore del tempo,
nonché dell’importanza dell’attenzione nei confronti del prossimo.
In effetti Alain Wapler, suo malgrado, si ritrova a
ripartire da zero, e in questo suo percorso di rinascita “forzata” arriva a
riappropriarsi di alcune parti della sua vita che precedentemente, proprio per mancanza
di tempo o semplicemente per distrazione, aveva purtroppo trascurato, primo su
tutti il rapporto con la figlia Julia ( Rebecca Marder), l’unico vero affetto rimastogli dopo la prematura scomparsa della
moglie.
In “Parlami di te”,
Fabrice Luchini riesce ancora una volta a sorprendere ed emozionare, regalandoci
una commovente e intensa interpretazione, dove comunque non mancano brevi momenti
comici che riescono a smorzare la drammaticità della narrazione, e che ritroviamo
sempre con piacere nelle pellicole del grande attore francese.
Ad affiancarlo troviamo la bella e brava Leïla Bekhti, il cui personaggio,
impegnato nella sofferta ricerca della propria madre biologica, rappresenterà
per il protagonista un’ulteriore e vincente occasione di riscatto.
A Crozon, graziosa cittadina della Bretagna, esiste la
biblioteca dei libri rifiutati: un luogo alquanto singolare dove vengono custoditi
manoscritti mai pubblicati; ed è proprio lì che Daphné Despero ( Alice Isaaz ), giovane editor in
carriera di una casa editrice parigina, riesce a scovare quello che nel giro di
pochissimo tempo diventa un vero e proprio caso letterario.
In effetti “Le ultime ore di una storia d’amore” di Henri
Pick riscuote un incredibile e immediato successo tra i lettori francesi, tanto
conquistati dalla potenza della sua coinvolgente scrittura, quanto incuriositi
dal fatto che l’autore dell’opera sia un pizzaiolo di Crozon, oramai deceduto
da due anni.
Le prime a essere sorprese da tutto ciò sono proprio la
moglie Madeleine ( Josiane Stoléru)
e la figlia Joséphine ( Camille Cottin) del defunto Henri; in effetti nessuna delle due era al corrente che il loro
amato congiunto coltivasse la passione per la letteratura; ed è proprio
quest’ultimo dettaglio che porta ben presto il prestigioso e temutissimo
critico letterario Jean-Michel Rouche ( Fabrice Luchini) a dubitare dell’effettiva paternità del romanzo.
Andando contro tutto e contro tutti, Jean-Michel decide così
di iniziare a indagare sulla reale genesi dell’opera, non senza avvalersi però,
in un susseguirsi di comici eventi, della preziosa “collaborazione” della
stessa Joséphine…
Tratto dall’omonimo romanzo di David Foenkinos, prolifico
e pluripremiato scrittore, regista e sceneggiatore francese, la pellicola di
Rémi Bezançon è una gradevolissima commedia sullo sfondo dei suggestivi
paesaggi della Bretagna.
Da Parigi a Crozon e ritorno, si sviluppano infatti le divertenti
peripezie di Jean-Michel, il quale,
spinto dal suo grande amore per la letteratura, nonché per la verità delle
cose, pur di riuscire a smascherare l’astuto piano di marketing ordito con il
preciso scopo di costruire a tavolino il successo del libro, mette a
repentaglio la sua vita professionale e privata.
“Il mistero Henri Pick”, in uscita nelle sale italiane il
prossimo 19 dicembre, è essenzialmente un omaggio alla bellezza nonché all’indiscutibile
potere che la letteratura ha ( o può avere ) nella vita di ognuno di noi,
mettendo però al tempo stesso in risalto le dinamiche, a volte decisamente
discutibili, che portano al successo o al fallimento di un testo letterario.
Anche nel ruolo dell’indomito critico letterario, Fabrice
Luchini dimostra di trovarsi perfettamente a proprio agio, regalandoci così
un’altra delle memorabili interpretazioni a cui, film dopo film, ha abituato il
suo affezionato pubblico di spettatori.
Ad affiancarlo in questa sua ennesima e fortunata esperienza
cinematografica troviamo la brillante Camille Cottin, attrice francese
dall’indiscutibile talento, purtroppo ancora poco conosciuta dal pubblico
italiano; nel ruolo di Joséphine si rivela infatti una degna antagonista per il
veterano Luchini.
Michel
Leproux ( Christian Clavier ) è un affermato odontoiatra che vive insieme
alla moglie Nathalie ( Carole Bouquet) in un lussuoso
appartamento situato nel centro di Parigi.
Un
sabato mattina, mentre sta curiosando tra le bancarelle di un mercatino delle
pulci, con sua grande sorpresa Michel trova “Me, Myself and I” di Neil Youart:
un vecchio 33 giri di musica jazz di cui era da tempo alla ricerca.
Alquanto
elettrizzato per il suo fortunato acquisto, rientra immediatamente a casa con
l’intenzione di dedicarsi subito al suo ascolto; purtroppo per lui, però, ciò
si rivelerà un’impresa tutt’altro che
semplice.
Infatti,
subito dopo aver acceso il giradischi, a turno, l’uomo verrà disturbato: dalla
moglie, che freme per fargli una rivelazione sconvolgente; da una coppia di
operai portoghesi, impegnati nei lavori di ristrutturazione di una stanza ma che
finiscono per allagargli l’appartamento; da suo figlio, oramai trentenne ma non
ancora economicamente indipendente; dalla sua amante – Elsa ( Valérie Bonneton ) - che, tormentata dal rimorso, vuol confessare a Nathalie (
di cui è amica ) la sua relazione con Michel; e infine, da un invadente vicino di
casa che tenta con ogni mezzo di coinvolgerlo nella festa di condominio di cui
è lo zelante organizzatore.
Così,
l’ora di tranquillità che aveva erroneamente creduto di potersi ritagliare, in
realtà si rivela un’ora di inferno.
Nonostante l’incredibile caos di persone che gravitano intorno a lui, riuscirà Michel ad ascoltare finalmente il suo tanto agognato
disco di musica jazz?
Adattando
la pièce di Florian Zeller “Une heure de tranquillité” ( interpretata sul palco
da Fabrice Luchini ), Patrice Leconte ha realizzato per il grande schermo una
commedia alquanto piacevole: una sottile satira nei confronti dell’attuale
borghesia, che per ritmo e registro narrativo rimanda con la mente alle vecchie
farse del teatro francese.
La
vicenda di “Tutti pazzi in casa mia” si sviluppa in meno di novanta minuti, durante
i quali un uomo di mezza età vede stravolgersi completamente la propria
esistenza, dopo essere stato coinvolto, suo malgrado, in un frenetico
susseguirsi di situazioni al limite del paradossale.
Per
il ruolo del protagonista - il benestante ed egocentrico Michel - il regista si
è avvalso del bravo e simpatico Christian Clavier, già recentemente apprezzato
anche dal pubblico italiano nel multietnico “Non sposate le mie figlie”; mentre,
ad affiancarlo, troviamo un variopinto cast di interpreti, tra i quali spiccano
la sempre affascinante Carole Bouquet, nonché l’almodovariana Rossy De Palma.
Titolo: Tutti pazzi in casa mia ( Une
heure de tranquillité)
Regia: Patrice Leconte
Interpreti: Christian Clavier, Carole Bouquet, Valérie
Bonneton, Rossy De Palma
Gauthier Valence ( Lambert Wilson ) è un attore diventato ricco e famoso grazie ad una serie televisiva, in cui interpreta la parte di un medico.
Desideroso di cimentarsi in ruoli professionalmente più stimolanti, ha però in progetto di portare in teatro “Il misantropo” di Molière, con lui nel ruolo di Alceste, il protagonista.
Per la parte di Filinte, invece, decide di rivolgersi a Serge Tanneur ( Fabrice Luchini ), uno stimato collega ritiratosi ormai da tempo dalle scene.
Quest’ultimo, disgustato dall’ipocrisia che regna nel mondo dello spettacolo, e nella società in generale, si è infatti rifugiato sull’Ile de Ré, la suggestiva isola situata di fronte alla costa atlantica francese, dove vive da solo in una vecchia casa ricevuta in eredità da uno zio.
Raggiunto da Gauthier, l’uomo si dimostra fin da subito restio ad accettare la proposta del collega, sebbene sia da sempre un grande appassionato di quella pièce di Molière; ad ogni modo, deciso che il personaggio di Alceste verrà interpretato a turno da entrambi, Serge acconsente ad iniziare le prove dello spettacolo, al fine di verificare se tra loro due la cosa possa funzionare o meno.
Ben presto, però, la loro assidua frequentazione porta a galla tutte le peculiarità dei rispettivi caratteri e, inevitabilmente, allo scontro tra i due uomini.
L’incontro con l’affascinante Francesca ( Maya Sansa ), un’italiana in procinto di separarsi dal marito, finirà poi per mettere definitivamente in crisi il loro rapporto…
Nato da un’idea di Fabrice Luchini e Philippe Le Guay, “Molière in bicicletta” è una piacevolissima commedia che, oltre a divertire, ha il pregio di far riflettere sulle molteplici sfaccettature e contraddizioni della natura umana.
Il progetto per l’allestimento de “Il misantropo”, il più atipico tra i capolavori di Molière, è in effetti un riuscito pretesto per mettere a confronto due personalità con percorsi professionali e di vita completamente opposti.
Mentre il burbero Serge ha progressivamente sviluppato nel corso degli anni un’assoluta insofferenza nei confronti delle persone che lo circondano, ritirandosi a vivere pressoché da eremita in una remota località sull’Atlantico, il ben più cordiale ( almeno all’apparenza ) Gauthier si dimostra invece ben più avvezzo a scendere a compromessi, pur di riuscire a rapportarsi con quella società così tanto disprezzata dal collega.
In un affascinante gioco di specchi, il rapporto che si instaura tra i due attori va rapidamente ad intrecciarsi con quello tra i due personaggi da loro interpretati; con Serge che, proprio per la sua visione della natura umana, si rivela fin da subito un perfetto Alceste.
Dopo “Le donne del 6° piano”, Philippe Le Guay torna a dirigere un superlativo Fabrice Luchini, affiancato questa volta da un altrettanto bravo Lambert Wilson.
Da segnalare poi all’interno del cast la piacevolissima presenza della “nostra” Maya Sansa, magnificamente calata nel suo ruolo di vero pomo della discordia tra i due uomini.
Protagonisti assoluti della pellicola sono comunque i suggestivi paesaggi della costa atlantica francese, con le sue incantevoli spiagge e le sue minuscole strade battute dal vento, su cui vediamo pedalare allegramente Serge, Gauthier e la bella Francesca, mentre in sottofondo scorrono le note della nostalgica “A bicyclette”: indimenticabile classico della canzone francese interpretato da Yves Montand.
Titolo: Molière in bicicletta ( Alceste à bicyclette )
Regia: Philippe Le Guay Interpreti: Fabrice Luchini, Lambert Wilson, Maya Sansa, Camille Japy Nazionalità: Francia Anno: 2013
Sono ormai diversi anni che Martin Joubert ( Fabrice Luchini) ha lasciato Parigi, per trasferirsi insieme alla sua famiglia in Normandia, dove ha ripreso in mano la gestione dell’antica panetteria paterna.
Grande appassionato di letteratura, e in particolare delle opere di Gustave Flaubert, tra un’infornata e una pagina di “Madame Bovary”, il suo romanzo preferito, Martin vede trascorrere tranquillamente la sua vita.
Un giorno una coppia di inglesi, Gemma ( Gemma Arterton ) e Charles Bovery, si trasferisce nella casa accanto alla sua; l’insolita assonanza dei loro nomi con quelli dei personaggi del romanzo di Flaubert scatena immediatamente la fantasia dell’erudito fornaio, il quale fin da subito crede che la sua nuova e procace vicina sia proprio la personificazione di Madame Bovary.
Invaghitosi della donna, Martin inizia a spiarne le mosse, nel tentativo di impedirle di commettere gli stessi errori che hanno portato alla rovina il personaggio flaubertiano; ma tutto questo però si rivela completamente inutile.
Gemma, infatti, ha la sua vita, e il destino a lei riservato, diversamente da quello della sua "alter ego" letteraria, si rivelerà alquanto beffardo…
Tra finzione e realtà, con “Gemma Bovery” rivive il mito dell’eroina di Gustave Flaubert.
Adattando per lo schermo l’omonima
graphic novel di Posy Simmonds, Anne Fontaine realizza un’elegante pellicola, ambientata nella suggestiva campagna
della Normandia e venata di un sottile humour britannico, in cui assistiamo ad
un divertente incontro / scontro tra francesi e inglesi.
Ancora una volta, la vera
protagonista della vicenda è comunque la natura umana, non sempre in grado di
dare libero sfogo ai propri sentimenti.
Lo sa bene Martin, che vive costantemente
in una realtà parallela impastata di letteratura ottocentesca, e che, come per
magia, vede il suo mondo di fantasia materializzarsi di fronte ai propri occhi con
l’arrivo di Gemma, giovane e sensuale donna inglese apparentemente annoiata, e costantemente
dibattuta tra vecchie e nuove passioni, la cui presenza finisce inevitabilmente
per compromettere l’equilibrio di quel tranquillo villaggio del nord della
Francia.
Gemma Arterton conferisce al suo
personaggio un piacevole mix di ironia e sensualità, rivelandosi così decisamente
all’altezza di un sempre straordinario Fabrice Luchini che, nei panni di
Martin, risulta perfettamente calato in un ruolo a lui particolarmente congeniale.
Una divertente pellicola permeata
di un sottile erotismo, che non diventa mai volgare.
Titolo: Gemma Bovery ( Gemma Bovery)
Regia: Anne Fontaine
Interpreti: Fabrice Luchini, Gemma Arterton, Jason Flemying,
Isabelle Candelier
Germain (Fabrice Luchini) è un insegnante di francese in un liceo di provincia. Un giorno, mentre è intento a correggere i temi dei suoi alunni, rimane positivamente colpito da quello di Claude Garcia (Ernst Umhauer) per la sottile ironia con la quale il giovane descrive la famiglia di Rapha Artole (Bastien Ughetto), un suo compagno di scuola.
Dopo averne parlato con sua moglie Jeanne (Kristin Scott Thomas), Germain esorta il ragazzo a continuare a scrivere della famiglia dell’amico, avendo individuato in lui un notevole talento letterario.
Per poterlo fare, Claude diventerà ben presto un assiduo frequentatore degli Artole, senza risparmiare nei propri resoconti nessun dettaglio di ciò che avviene all’interno di quella casa; neppure della sua morbosa infatuazione per la signora Artole (Emmanuelle Seigner).
A poco a poco, senza quasi rendersene conto, Germain si ritroverà completamente sedotto dalla capacità narrativa del ragazzo, al punto che la cosa prenderà per lui una piega del tutto inaspettata…
Liberamente ispirato alla pièce teatrale “El chico de la última fila”, del drammaturgo spagnolo Juan Mayorga, “Nella casa” è essenzialmente una riuscita dimostrazione del potere manipolatorio della scrittura.
Al centro della vicenda François Ozon pone l’insolito ( e alquanto pericoloso ) rapporto che lentamente si sviluppa tra un insegnante ed uno dei suoi studenti, a mano a mano che quest’ultimo rivela nei propri racconti dettagli sempre più intimi di ciò che quotidianamente avviene all’interno di una famiglia borghese.
Germain, che anni prima aveva definitivamente rinunciato a proseguire la carriera di scrittore, in quanto ben consapevole della propria mancanza di talento, è come se vivesse il miraggio di poter finalmente realizzare le sue aspirazioni di gioventù attraverso il brillante talento di Claude; ed è per questo motivo che spinge quest’ultimo ad essere sempre più penetrante nella sua narrazione, finendo però per rimanere soggiogato proprio da quello stesso talento che desidera così ardentemente sostenere.
Rimanendo sempre in bilico tra realtà e finzione, Ozon ha sapientemente miscelato la commedia con il thriller; il risultato finale è indubbiamente gradevole, grazie anche alla presenza di uno straordinario cast di interpreti in cui troviamo, accanto al poliedrico Fabrice Luchini ( già diretto da Ozon in “Potiche” ), e alla sempre straordinaria Kristin Scott Thomas, il giovane Ernst Umhauer.
Quest’ultimo, nel ruolo di Claude, è semplicemente strepitoso nel riuscire a trasmettere allo spettatore tutta la complessa ambiguità del personaggio da lui interpretato.
Titolo: Nella casa ( Dans la maison )
Regia: François Ozon Interpreti: Fabrice Luchini, Ernst Umhauer, Kristin Scott Thomas, Emmanuelle Seigner, Denis Menochet. Nazionalità: Francia Anno: 2012
Per la cartolina dalla Francia di oggi ho scelto “Le donne del 6° piano”,
la divertente commedia di Philippe Le Guay che ci riporta indietro nel tempo, e più precisamente nella Parigi dei
primi anni sessanta, offrendoci al tempo stesso degli interessanti spunti di
riflessione sulle differenze culturali tra paesi diversi e sull’inaspettato
desiderio di cambiare radicalmente la propria vita.
L’azione si svolge a Parigi agli inizi degli anni sessanta.
Jean-Louis Jobert (Fabrice Luchini) è un affermato agente di borsa che vive in un antico palazzo
borghese con la moglie Suzanne (Sandrine Kiberlain); la coppia ha due
figli che studiano in collegio.
Jean-Louis conduce una vita rigorosa e monotona, mentre
Suzanne, nonostante siano già trascorsi diversi anni dal giorno del loro
matrimonio, non è ancora riuscita a
superare il complesso legato alle proprie origini “provinciali”.
Nella soffitta situata al sesto piano del palazzo in cui Jean-Louis abita,
vive un gruppo di spagnole che lavorano come cameriere presso alcune famiglie
parigine.
A seguito di alcune divergenze
con Suzanne, la domestica bretone di casa Jobert si licenzia; poco dopo al suo
posto viene assunta Maria (Natalia Verbeke), appena arrivata da
Burgos e nipote di una delle inquiline del sesto piano.
A poco a poco Jean-Louis comincia
ad interessarsi alla vita di Maria e
delle sue compatriote, aiutandole, in alcune occasioni, nella risoluzione dei
loro problemi quotidiani.
Contemporaneamente l’uomo,
venendo a contatto con il loro mondo “colorato” e pieno di vita, così diverso
dal grigio ambiente in cui abitualmente vive, inizia ad assaporare il piacere delle piccole cose.
Suzanne, alla quale nel frattempo
non è di certo passato inosservato il radicale cambiamento negli atteggiamenti del
marito, credendo che abbia un’amante, lo
allontana da casa; e lui, per nulla affranto, trova alloggio proprio in una
delle stanze libere del sesto piano.
Qui, durante la convivenza con le
altre spagnole, il rapporto di Jean-Louis con Maria prenderà però una piega
inaspettata…
Sebbene durante la visione di
questo film venga da chiedersi se sia credibile o meno che un uomo di mezza
età, benestante e professionalmente affermato, possa decidere all’improvviso di
abbandonare il suo elegante appartamento per andare ad abitare in una soffitta
priva di ogni comodità, “Le donne del 6°
piano” è indubbiamente un ulteriore esempio di narrazione sullo schermo di come
a volte la nostra vita possa assumere una piega del tutto inaspettata, quando
entriamo in contatto con un mondo a noi, fino a quel momento, completamente
sconosciuto.
In effetti per Jean-Louis, il
protagonista maschile, l’incontro con il gruppo di domestiche spagnole rappresentata
una vera e propria ondata di aria fresca nella sua asfittica esistenza, piena
di rigore e di routine, già a partire dalla prima colazione.
Nonostante il tono della
pellicola sia indubbiamente quello della commedia, “Le donne del 6° piano” è comunque
un’occasione di riflessione sulle
differenze sociali nella Parigi dei primi anni sessanta ( dove nei vecchi
palazzi costruiti tra il XIX e XX secolo la “servitù” abitava nelle alquanto
modeste stanze ricavate nei sottotetti, mentre le famiglie benestanti
alloggiavano negli eleganti appartamenti sottostanti ) e sulle peculiarità di
due mondi contrapposti. Quello delle domestiche spagnole che fuggono ( molte di
loro anche con un triste passato alle spalle )
da un paese in cui imperversa la dittatura del generale Franco, e dove, nonostante tutto, ci si diverte e ci
si aiuta vicendevolmente; e quello chiuso e perbenista di cui la moglie di Jean-Louis
e le sue amiche sono l’emblema vivente.
A rendere “Le donne del 6°
piano” una divertente e piacevole
commedia contribuiscono senza alcun dubbio le interpretazioni del bravissimo
Fabrice Luchini, il protagonista maschile della pellicola, e dell’intero gruppo
di attrici spagnole, fra le quali spicca su tutte Carmen Maura, ex attrice feticcio di Pedro Almodovar, nota al grande pubblico italiano soprattutto per il suo
ruolo in “Donne sull’orlo di una crisi di
nervi”.
Vi lascio come al solito alla
visione del trailer del film, e vi aspetto prossimamente su questo blog con un’altra colorata cartolina dalla
Francia. A presto!
Titolo: Le donne del 6° piano ( Les femmes du 6ème étage )
Regia: Philippe Le Guay Interpreti : Fabrice Luchini, Sandrine Kiberlain, Carmen Maura, Lola Dueñas, Natalia Verbeke Nazionalità : Francia Anno : 2011
Oggi facciamo un salto indietro
nel tempo, e più precisamente nella Francia della fine degli anni settanta, per
parlare di “Potiche– La bella statuina”: la divertente
commedia diretta da François Ozon nel
2010 e interpretata, tra gli altri, da Catherine Deneuve, inimitabile icona del cinema francese.
Francia 1977. Suzanne Michonneau (Catherine Deneuve) è una donna borghese
che il marito, Robert Pujol
(Fabrice Luchini), titolare di una
fabbrica di ombrelli, ha relegato a una monotona vita domestica e al riduttivo ruolo
di “trofeo” da esibire.
L’uomo gestisce la propria azienda
in modo dispotico, fino a quando gli operai, stanchi delle sue continue vessazioni,
non entrano in sciopero e decidono di sequestrarlo.
Maurice Babin (Gérard Depardieu), un deputato comunista con il quale venticinque anni prima
Suzanne aveva avuto una brevissima storia d’amore, nel tentativo di allentare
la tensione nei rapporti con il personale dipendente, le consiglia di prendere
il posto del marito ( che nel frattempo ha avuto un attacco di cuore ) nella
direzione della fabbrica.
Inizialmente titubante, Suzanne decide
di seguire il consiglio di Babin, riuscendo così a risollevare le sorti
dell’azienda e, al tempo stesso, a dimostrare di essere una donna competente, dotata
di capacità di azione e quindi non solamente una “bella statuina”.
In questa sua nuova veste di
imprenditrice è appoggiata dai due figli: Joëlle
(Judith Godrèche) e Laurent (Jérémie Renier), e dal signor Babin che, dopo tanti anni, si sente
nuovamente attratto da Suzanne e ricomincia a corteggiarla.
Quando però il marito, terminato
il periodo di riposo “forzato”, torna in azienda per riassumerne il comando, le
cose per Suzanne iniziano a complicarsi…
Nella lingua francese il termine “potiche” individua un grosso vaso di
scarso valore che ha l’unica funzione di arredare.
Con questa divertentissima commedia,
ambientata nella cittadina immaginaria
di Sainte-Gudule, nei pressi di Saint-Amand-les-Eaux ( nella regione del
Nord-Pas de Calais ), ma interamente
girata in Belgio, Ozon è riuscito a riportare sullo schermo, dai tempi de “L’ultimo metro” di François Truffaut, la coppia
Deneuve-Depardieu.
Tratto dalla pièce teatrale del 1983 di Barillet e Grédy, “Potiche” è
essenzialmente una storia di emancipazione femminile in una Francia della fine
degli anni settanta di stampo ancora piuttosto maschilista, nella quale il
personaggio interpretato dalla Deneuve si trasforma inaspettatamente da
semplice “oggetto” decorativo in un’abile manager di successo.
A contendersi la scena con una
Deneuve ancora in splendida forma, ci sono l’impareggiabile Gérard Depardieu (
decisamente “appesantito” dai tempi de “L’ultimo
metro” ) e il bravissimo Fabrice Luchini ( recentemente visto sugli schermi
italiani nella pellicola “Le donne del 6°piano” ) nel ruolo, rispettivamente, del sostenitore e del detrattore dell’operato
di Suzanne Michonneau.
Una menzione particolare spetta inoltre
all’attrice Karin Viard, per la sua
interpretazione di Nadège, la segretaria-amante di Robert Pujol che durante il
film diventa la fedele e attiva collaboratrice di Suzanne.
Grazie all’eccellente fotografia,
all’accuratezza delle scenografie e dei costumi, nonché all’effetto “nostalgia”
provocato dalle canzoni che fanno parte della colonna sonora, François Ozon
riesce con naturalezza a farci rivivere le atmosfere tipiche della fine degli
anni settanta; e già guardando il trailer del film ne potete avere la conferma.
Come di consueto, vi aspetto su questo blog con un’altra cartolina dalla Francia e,
ovviamente, vi auguro buon divertimento con la visione di “Potiche”.
Titolo: Potiche – La bella statuina ( Potiche )
Regia: François Ozon Interpreti : Catherine Deneuve, Gérard Depardieu, Fabrice Luchini, Judith Godrèche, Jérémie Renier, Karin Viard Nazionalità : Francia Anno : 2010