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sabato 8 settembre 2012

“Tanguy” di Etienne Chatiliez: un graffiante ritratto della società ( italiana ) moderna.


Prendendo spunto da un fatto di cronaca italiana, nel 2001 il regista Etienne Chatiliez girò “Tanguy”: una commedia, campione d’incassi in Francia,  dallo stile garbato ma allo stesso tempo graffiante.
In questa pellicola ritroviamo, tra gli altri, due attori del calibro di Sabine Azéma e André Dussollier, nell’esilarante ruolo di una coppia di genitori esasperati da un figlio che, sebbene abbia ormai concluso il suo ciclo di studi, non sembra per nulla intenzionato ad abbandonare il tetto familiare.
Tanguy Guetz (Eric Berger) ha 28 anni. E’ un ragazzo incredibilmente capace, con un brillante curriculum scolastico, in cui spiccano una laurea in scienze politiche, un master in filosofia e la conoscenza fluente delle lingue orientali, che sta per essere ulteriormente arricchito da una seconda laurea in cinese.
Abita felicemente con la madre Edith (Sabine Azéma) e il padre Paul (André Dussollier), ai quali si rivolge sempre in maniera estremamente affettuosa.
Tanguy ha però la curiosa abitudine di portarsi a casa le sue numerose partner occasionali, che puntualmente il mattino dopo presenta ai suoi genitori nel momento in cui stanno facendo colazione.
Non sembra minimamente intenzionato ad andare a vivere da solo; questo almeno finché non avrà discusso la tesi, grazie alla quale per lui potrebbe presentarsi un’importante opportunità di lavoro a Pechino.
Quando però mancano solamente poche settimane al giorno previsto per la discussione, Tanguy decide di rinviare tutto all’anno successivo per paura che la fretta rovini il lavoro da lui svolto fino a quel momento.
I genitori, che attendevano con impazienza la partenza del figlio per Pechino, per poter ritrovare così un po’ della loro perduta intimità, non sopportando più  di averlo per casa, iniziano a rendergli l’esistenza impossibile, affinché lui si decida una volta per tutte ad andare a vivere per conto proprio.
Tanguy trova quindi un piccolo appartamento dove andare ad abitare, ma subito dopo  la prima notte, durante la quale è vittima di un attacco di panico, Edith e Paul si sentono in dovere di riaccoglierlo in casa.
Nel frattempo la loro convivenza continua comunque a degenerare, fino a quando, dopo essere stato cacciato malamente di casa, Tanguy non li cita addirittura in giudizio, vincendo per giunta la causa.
Un’inaspettata partenza per Pechino, però, riuscirà a risolvere miracolosamente ogni problema della famiglia Guetz… 



Sebbene il fenomeno sociologico dei figli che tardano ad abbandonare la casa dei genitori sia oramai considerato un tratto distintivo della società italiana, ulteriormente accentuato dalla crisi economica che stiamo attraversando, di certo non poteva affermarsi la stessa cosa per ciò che accadeva in Francia all’epoca in cui il regista decise di girare “Tanguy”; la cui sceneggiatura, come già accennato nell’introduzione, prende proprio spunto da un fatto realmente accaduto in Italia.
Partendo da una situazione che, a dire il vero, per noi non ha nulla di straordinario, Chatiliez è riuscito a realizzare un graffiante ritratto di una moderna famiglia borghese, all’interno della quale una coppia di genitori esasperati, e interpretati da due irresistibili assi del cinema francese, ricorrono a qualsiasi bassezza pur di riuscire a cacciare di casa il loro talentuoso figlio che, stranamente, reagisce alle innumerevoli provocazioni di mamma e papà con una calma quasi irritante.
Piegandosi alle esigenze della commedia, Chatiliez spinge ovviamente la situazione al limite del paradossale; il che ci permette di trascorrere un paio di ore in compagnia di una piacevole pellicola, facendoci allo stesso tempo riflettere su di un fenomeno di innegabile importanza sociale.




Titolo: Tanguy ( Tanguy )
Regia: Etienne Chatiliez
Interpreti : André Dussollier, Sabine Azéma, Eric Berger
Nazionalità: Francia
Anno : 2001


martedì 4 settembre 2012

“Beautiful lies” di Pierre Salvadori: le bugie hanno sempre le gambe corte.


Dopo il successo di “Ti va di pagare?”, nel 2010 Audrey Tautou tornò a essere diretta da Pierre Salvadori in “Beautiful lies”: una divertente commedia degli equivoci, nella quale la ritroviamo accanto alla bravissima Nathalie Baye, che in questo film interpreta il ruolo di sua madre.
Emilie (Audrey Tautou) ha recentemente aperto un salone di bellezza insieme ad un’amica.
Una mattina di primavera riceve per posta una dichiarazione d’amore da parte di un ammiratore segreto; troppo impegnata con il suo lavoro, non è comunque minimamente incuriosita da quella lettera, e così decide di cestinarla.
In realtà l’autore di quella missiva è Jean (Sami Bouajila), il ragazzo che si occupa dei lavori di manutenzione all’interno del suo salone.
Maddy (Nathalie Baye), la madre di Emilie, non si è più ripresa da quando è stata lasciata dal marito per una donna più giovane. Da parte sua continua comunque a sperare di poter tornare insieme a lui, ma non sa che in realtà è in procinto di sposarsi con la sua amante e che i due sono in attesa di un figlio.
Rivelatisi vani i numerosi tentativi di Emilie per farle riacquistare la fiducia in se stessa, la giovane decide allora di ricopiare la lettera ricevuta dal suo ammiratore misterioso, e di spedirla alla madre, nella speranza che questo possa aiutarla a sentirsi nuovamente apprezzata dagli uomini.
A seguito di questa sua innocente bugia si scatenerà però tutta una serie di divertenti equivoci e, soprattutto, verrà a crearsi un insolito triangolo amoroso tra Emilie, Maddy e Jean… 


Girato nella colorata cittadina di Sète, località marittima del sud della Francia, “Beautiful lies” riunisce sullo schermo due generazioni di attrici francesi. 
La maturità e il fascino di Nathalie Baye, interprete molto apprezzata non solamente in Francia, si contrappongono alla simpatia e alla freschezza di Audrey Tautou, che, diretta per la seconda volta dal poliedrico Pierre Salvadori, ritroviamo in un ruolo che sembra esserle stato cucito addosso.
Emilie ci viene presentata come una ragazza delusa dall’amore e, in conseguenza di ciò, apparentemente un po’ cinica.
Il desiderio di veder tornare a sorridere sua madre, la spingerà comunque a un insolito gesto che, pur innescando una reazione a catena di equivoci, permetterà anche a lei di riaprire gli occhi e, soprattutto, il cuore a un nuovo amore.
Pur nella sua semplicità, questa spensierata commedia riesce nel suo intento di far sorridere lo spettatore, grazie soprattutto alle interpretazioni delle due protagoniste che, sebbene nei rispettivi ruoli di madre e figlia, si ritroveranno a essere addirittura rivali.



Titolo: Beautiful lies ( De vrais mensonges )
Regia: Pierre Salvadori
Interpreti : Audreay Tautou, Nathalie Baye, Sami Bouajila
Nazionalità: Francia
Anno : 2010



giovedì 30 agosto 2012

“La sposa in nero” di François Truffaut: la vendetta è un piatto che va servito freddo.


E’ un raffinato thriller di annata quello che vi ripropongo con la cartolina dalla Francia di oggi.
Tratto dall’omonimo romanzo di Cornell Woolrich, e diretto nel 1968 da François Truffaut, “La sposa in nero” è un’altra indimenticabile pellicola del grande cineasta francese, in cui ritroviamo un’intensa Jeanne Moreau nei panni di una seducente e misteriosa dark lady assetata di vendetta.
Julie (Jeanne Moreau) e David (Serge Rousseau) si conoscono dall’infanzia.
Con il passare del tempo, poi, la loro amicizia si trasforma lentamente in amore; e così, divenuti adulti, i due decidono finalmente di sposarsi.
Il giorno del loro matrimonio, mentre stanno uscendo dalla chiesa, David viene però ucciso da un proiettile partito accidentalmente da un fucile.
Responsabili di quello stupido gesto sono cinque amici che, nel momento dell’incidente, si trovano riuniti in un appartamento situato proprio di fronte alla chiesa.
Resisi conto dell’accaduto, e temendo delle ripercussioni sulle loro carriere, i cinque decidono quindi di fuggire prima di essere individuati e arrestati.
Molti anni dopo Julie partirà alla loro ricerca. Spostandosi da una località all’altra della Francia, riuscirà così a rintracciare il playboy Bliss (Claude Rich), l’impiegato di banca Coral (Michel Bouquet), il politico Morane (Michael Lonsdale), il trafficante di auto Delvaux (Daniel Boulanger) e, infine, il pittore Fergus (Charles Denner).
Uno dopo l’altro, ognuno di loro verrà ucciso da Julie che, dal giorno del suo matrimonio, vive solamente per vendicare l’assurda morte del marito.



“La sposa in nero” è un film che, nonostante la linearità della sua struttura narrativa, affascina e intriga fin dalle sue prime immagini.
Una serie di brevi flashback, a cui il regista ricorre per scandire ognuno dei singoli delitti perpetrati dalla gelida e spietata Julie, ci rende a poco a poco partecipi di ciò  che è accaduto molti anni prima, permettendoci così di capire cosa c’è alla base del desiderio di vendetta della sposa in nero.
Nella parte di Julie, pietrificata nel suo dolore, ma allo stesso tempo più che mai determinata a vendicarsi di chi l’ha per sempre privata della gioia di vivere, Jeanne Moreau è semplicemente straordinaria.
Eleganti abiti e raffinate acconciature accentuano il fascino di una donna, che con il suo sensuale alone di mistero riesce ad attirare nella sua trappola ciascuna delle vittime designate, rivelando loro la sua vera identità solo quando sarà troppo tardi per sottrarsi alla sua implacabile vendetta.
Seguendo Julie nei suoi molteplici spostamenti, necessari per riuscire a rintracciare i cinque uomini responsabili dell’omicidio del marito, “La sposa in nero” ci permette di viaggiare tra Cannes, Grenoble e Parigi, regalandoci così un’affascinante immagine della Francia della fine degli anni sessanta.



Titolo: La sposa in nero ( La mariée était en noir )

Regia: François Truffaut

Interpreti : Jeanne Moreau, Claude Rich, Jean-Claude Brialy, Daniel Boulanger, Michael Lonsdale, Michel Bouquet, Charles Denner, 
Nazionalità: Francia
Anno : 1968


giovedì 15 marzo 2012

“Mio zio”: la geniale comicità di Jacques Tati.



Con la “cartolina dalla Francia” di oggi vorrei parlarvi di “Mio zio”: la pellicola diretta e interpretata nel 1958 da Jacques Tati, e vincitrice di un premio Oscar come miglior film straniero.
Dopo Le vacanze di Monsieur Hulot, il geniale cineasta francese porta nuovamente sullo schermo lo strampalato personaggio del titolo, rendendolo ancora una volta protagonista di situazioni  comiche, al limite del surreale.
La famiglia Arpel vive in un quartiere moderno, in una villa dotata di tutte le ultimissime invenzioni tecnologiche. Il signor Arpel è il dirigente di un’industria produttrice di materie plastiche, mentre la moglie è una donna dedita in modo quasi ossessivo alla pulizia della casa e alla cura della famiglia. Vi è poi Gérard, il figlio a cui entrambi i genitori vorrebbero imporre il loro stile di vita “perfetto”, verso il quale però il bambino si dimostra del tutto insofferente. Al contrario, ha una simpatia particolare per il confusionario e singolare zio, Monsieur Hulot per l’appunto, il fratello della signora Arpel che vive  invece in un pittoresco quartiere popolare.


Il film è basato proprio sul contrasto tra questi due mondi. Da una parte l’elegante atmosfera vissuta all’interno della villa dei coniugi Arpel, dove tutto funziona ( pressoché ) alla perfezione. Dall’altra il calore dei rapporti umani vissuti in un quartiere popolare, nella Francia di fine anni 50. La macchina da presa ci permette di seguire la vita di alcune di quelle persone durante le loro occupazioni quotidiane: mentre fanno la spesa al mercato rionale, oppure durante un attimo di pausa, mentre conversano piacevolmente tra di loro seduti al tavolo di un café all’aperto.
Jacques Tati in questo film, oltre a regalarci un’indimenticabile prova della sua geniale comicità, ci fa rivivere l’atmosfera di una Francia che fu, e che personalmente ho avuto la possibilità di respirare visitando alcune località francesi, a dire il vero non sempre tipicamente turistiche, le quali sono fortunatamente riuscite a mantenere pressoché inalterato il loro fascino originario.
A chi non conoscesse ancora questo piccolo gioiello della cinematografia francese e fosse interessato a vederlo, consiglierei di guardare subito il trailer del film.






Titolo: Mio zio ( Mon oncle ).
Regia: Jacques Tati
Interpreti : Jacques Tati, Jean-Pierre Zola, Adrienne Servantie
Nazionalità : Francia
Anno : 1958


domenica 11 marzo 2012

“Baci rubati”: l'indimenticabile pellicola di François Truffaut.



Vorrei dedicare il primo post di questo blog, ovvero la prima delle “Cartoline dalla Francia”, a “Baci rubati”: la commedia sentimentale di François Truffaut del 1968 che ho avuto occasione di vedere, e apprezzare, per la prima volta purtroppo solo di recente.
In questo film il regista, uno dei più importanti esponenti della Nouvelle Vague francese, dopo I 400 colpi e L’amore a vent’anni porta nuovamente sullo schermo il personaggio di Antoine Doinel, interpretato da Jean-Pierre Léaud, suo attore feticcio.
Riformato dal servizio militare per instabilità di carattere, Antoine torna dall’ex fidanzata Christine, nel tentativo di riallacciare, ma senza successo, i rapporti con lei.
Nel frattempo trova lavoro come portiere di notte in un albergo di Montmartre, ma viene subito licenziato per aver involontariamente aiutato un detective privato a cogliere in flagrante un'adultera. Viene quindi successivamente assunto dalla stessa agenzia investigativa, ma anche in questo caso dimostrerà ben presto di non essere all’altezza degli incarichi che gli vengono assegnati, arrivando perfino ad innamorarsi della moglie di un cliente.
Nella sua ricerca di una stabilità economica, passando rapidamente da un impiego ad un altro, e sentimentale, spaziando dall’amore mercenario a quello per una donna matura dell’alta borghesia, alla fine Antoine riuscirà comunque ad assicurarsi l’affetto della sua ex fidanzata, e a raggiungere, apparentemente, una più completa maturità interiore.



Oltre che per le tematiche trattate dal regista, a mio avviso ciò che rende questa pellicola particolarmente affascinante è il fatto di esser stata girata a Parigi proprio durante i giorni della contestazione studentesca del 1968, appartenendo quindi a un’epoca così densa di cambiamenti per la Francia e non solo.
Tra una gag di Antoine Doinel e l’altra, François Trauffaut ci accompagna con la sua macchina da presa lungo le strade e i giardini di una Parigi da favola, oppure, anche semplicemente spalancando la finestra di una camera da letto, ci regala incantevoli viste della città, fra cui mi è rimasta particolarmente impressa quella della basilica del Sacro Cuore a Montmartre.
Ritengo inoltre che una menzione particolare vada a Que reste-t-il des nos amours?, brano del 1942 scritto e interpretato da Charles Trenet, nonché indimenticabile colonna sonora del film, che con la sua struggente melodia riesce bene a sottolineare le tematiche della pellicola, e contribuisce a renderla indubbiamente una delle migliori di Truffaut.



Titolo: Baci rubati ( Baisers volés ).
Regia: François Truffaut
Interpreti: Jean-Pierre Léaud, Claude Jade, Delphine Seyrig, Michael Lonsdale, Daniel Ceccaldi
Nazionalità: Francia
Anno: 1968