Dopo tre anni di lunga e sofferta
lavorazione, nel 1967 uscì finalmente nelle sale francesi “Play Time”: il quarto
lungometraggio di Jacques Tati. Questa
pellicola, sebbene considerata un
capolavoro per l’attenzione quasi maniacale prestata ai singoli dettagli,
si rivelò un vero e proprio fiasco al botteghino, determinando così la rovina economica del geniale cineasta
francese a causa degli elevatissimi costi di produzione dallo stesso
sostenuti per la sua realizzazione.
In una Parigi ultramoderna,
popolata da altissimi palazzi in vetro e acciaio, si intrecciano le vite di una serie di alquanto bizzarri personaggi.
Monsieur Hulot (Jacques Tati) si reca in uno di questi edifici
per un importante appuntamento e invece, perdendosi in un complicato labirinto
di uffici e corridoi, si ritrova a visitare insieme a un gruppo di turiste
americane una fiera campionaria, all’interno della quale vengono presentati dei
singolari oggetti dal design moderno.
Successivamente Hulot incontra un
suo ex-compagno d’armi che lo invita nel suo appartamento-vetrina, da lui
acquistato di recente.
Al calar della notte, poi, si
ritroverà insieme agli altri personaggi da lui incrociati nel corso di quella
insolita giornata all’inaugurazione di un night-club, durante la quale il
locale verrà invece completamente distrutto a seguito del verificarsi di una
serie di comici incidenti.
Dopo “Le vacanze di Monsieur Hulot”
e “Mio zio”, Jacques Tati portò per la terza volta sullo schermo le peripezie
dello strampalato signore dal portamento dinoccolato.
Caratterizzato dall’assenza di
una vera e propria trama, e girato in 70mm, “Play Time” sviluppa la sua comicità soprattutto a livello visivo e
sonoro, poiché i dialoghi tra i personaggi di cui riusciamo a fare una
superficiale conoscenza durante la visione della pellicola sono ridotti
praticamente al minimo.
Ancora prima che per la sua genialità
e originalità, questo lungometraggio viene ricordato per l’enorme set fatto costruire
appositamente da Tati nella periferia di Parigi, nei pressi dell’aeroporto di
Orly, che per questo motivo venne soprannominato “Tativille”.
Il regista francese ha immaginato una metropoli futurista dove altissimi
e asettici palazzi, che potremmo ritrovare in qualunque altra città del mondo,
hanno preso il posto dei ben più armoniosi edifici storici. In effetti, ci
rendiamo conto che l’azione si sta svolgendo a Parigi solo nel momento in cui riusciamo
a intravedere, riflessi nelle vetrate delle nuovissime costruzioni, la Tour Eiffel , l’Arco di
Trionfo e la Basilica
di Montmartre.
“Play Time” si presenta come una satira sulla smania del moderno che
contraddistingue il genere umano e, allo stesso tempo, tenta di mettere in
guardia dai pericoli derivanti dall’uso delle nuove tecnologie che, come
vediamo durante la serata inaugurale del Royal Garden, anziché agevolare la nostra
quotidianità, rischiano di complicarla inutilmente, ostacolando così i normali
rapporti umani.
Così facendo Tati riprende un tema da lui già trattato circa dieci anni
prima in “Mio zio”, uno dei suoi indimenticabili capolavori, in cui il
calore dei rapporti umani vissuti in un quartiere popolare nella Francia della
fine degli anni cinquanta viene raffrontato, ovviamente con la dovuta dose di
ironia, con l’eleganza dell’atmosfera che si respira all’interno di una villa
ultramoderna, dotata di tutte le ultimissime invenzioni tecnologiche.
Titolo: Play Time ( Play Time )
Regia: Jacques TatiInterpreti : Jacques Tati, Barbara Dennek, Rita Maiden
Nazionalità: Francia
Anno : 1967