domenica 9 giugno 2013

“Il mio migliore amico” di Patrice Leconte: chi trova un amico, trova un tesoro.


François (Daniel Auteuil) è un cinico antiquario che gestisce con successo una galleria d’arte insieme alla socia Catherine (Julie  Gayet).
Separato e con una figlia che studia all’Università, l’uomo vive da solo in un elegante appartamento parigino.
Una sera, durante una cena per il suo compleanno, Catherine gli fa notare come lui, a causa del suo pessimo carattere, non abbia amici.
Terribilmente ferito dalle parole della socia, e più che mai determinato a provarle il contrario, l’antiquario si impegna quindi a presentarle entro dieci giorni il suo migliore amico.
Tentando di riallacciare i rapporti con le sue vecchie conoscenze, François scopre però di essere disprezzato da tutti proprio per il suo eccessivo egoismo.
Quando un giorno incontra Bruno (Dany Boon), un estroverso taxista appassionato di quiz televisivi, approfittandosi della semplicità ed ingenuità dell’uomo, e per non perdere la scommessa fatta con la sua socia, François tenta di far passare lui come il suo migliore amico; ma  gli eventi prenderanno per entrambi una piega del tutto inaspettata…

Dopo averlo applaudito in pellicole del calibro de ”La ragazza sul ponte” e “Confidenze troppo intime”, nel 2006 Patrice Leconte tornò sul grande schermo affrontando con garbo ed eleganza il delicato tema dell’amicizia, in un’epoca in cui diventa sempre più difficile riuscire ad ascoltare gli altri, e ad essere ascoltati.
Il mio migliore amico” è in effetti una gradevole commedia che, pur divertendo lo spettatore con situazioni e battute esilaranti, lo porta inevitabilmente a riflettere sull’importanza e l’effettivo valore dei rapporti umani.
Protagonisti della vicenda sono due uomini appartenenti a due classi sociali differenti.
François è un antiquario di successo che ha anteposto il proprio lavoro a tutto il resto. Completamente assorbito dal frenetico stile di vita che la sua professione gli impone, non ha mai avuto il tempo, e l’occasione, di soffermarsi a riflettere sull’esigenza di avere degli amici sui quali poter contare in caso di necessità.
A fargli da contraltare troviamo Bruno: un taxista dal carattere decisamente estroverso. Abbandonato dalla moglie, il suo unico obiettivo è quello di riuscire finalmente a partecipare al quiz televisivo “Chi vuol essere milionario?”.
E’ essenzialmente l’incontro di due solitudini ciò che viene narrato in questa pellicola, sebbene François non sia consapevole della propria fino a quando non gli viene fatto notare pubblicamente dalla sua socia in affari.
Al fine di respingere al mittente la scomoda osservazione rivoltagli, e soprattutto per non perdere la scommessa che ha fatto con Catherine, François si mette subito alla disperata ricerca del suo “migliore amico”; in conseguenza di ciò però, oltre a rendersi conto che l’amicizia, a differenza delle opere d’arte di cui quotidianamente si occupa, non ha un prezzo, scoprirà quello che effettivamente la gente pensa di lui.
Tuttavia, grazie all’incontro con Bruno potrà finalmente capire cosa significhi avere qualcuno su cui poter realmente contare.
Daniel Auteuil, già diretto da Patrice Leconte in due precedenti occasioni, dà l’ennesima dimostrazione della sua incredibile bravura nella parte del cinico François, il cui carattere, come dichiarato dallo stesso regista, è diametralmente opposto a quello dell’attore che lo interpreta.
Inoltre, accanto a lui ritroviamo un divertentissimo Dany Boon, che all’epoca non era ancora stato  travolto dal successo internazionale di “Giù al nord”: la pellicola del 2008 da lui diretta e interpretata.



Titolo: Il mio migliore amico ( Mon meilleur ami )
Regia: Patrice Leconte
Interpreti: Daniel Auteuil, Dany Boon, Julie Gayet, Julie Durand
Nazionalità: Francia
Anno: 2006

martedì 4 giugno 2013

“L’amante inglese” di Catherine Corsini: un passionale triangolo amoroso dai drammatici risvolti psicologici.


Originaria dell’Inghilterra, Suzanne (Kristin Scott Thomas) conduce ormai da  anni una vita agiata nel sud della Francia, insieme al marito Samuel (Yvan Attal) e ai due figli adolescenti.
Nel tentativo di sfuggire alla noia che attanaglia le sue giornate, la donna decide di tornare ad esercitare la professione di chinesiterapista e, a questo proposito, convince il marito a far adibire ad ambulatorio una parte della villa in cui abitano.
Durante i lavori di ristrutturazione Suzanne conosce Ivan (Sergi López), un muratore di origine catalana con un difficile passato alle spalle.
Tra i due scoppia subito una passione talmente travolgente, che la donna decide di abbandonare la propria famiglia per trasferirsi a casa dell’amante, scatenando così la collera e, soprattutto, la vendetta di Samuel.
Quest’ultimo infatti, nel disperato tentativo di convincerla a tornare a casa, inizia a farle una guerra spietata, privando lei di ogni mezzo di sussistenza, e impedendo a lui di trovare un qualunque tipo di occupazione.
Per evitare il carcere a Ivan, dopo che è stato arrestato con l’accusa di furto, alla fine Suzanne si ritroverà costretta a cedere ai ricatti del marito; ma il suo rientro a casa avrà delle inattese e tragiche conseguenze…



Con “L’amante inglese” la regista ha portato sullo schermo la storia di un passionale triangolo amoroso dai drammatici risvolti psicologici.
La tranquilla esistenza di Suzanne, moglie di un medico affermato, nonché madre di due adolescenti che sembrano avere sempre meno bisogno di lei, viene inaspettatamente sconvolta dall’incontro con Ivan, il quale, giorno dopo giorno, è invece costretto a sbarcare il lunario.
Sebbene apparentemente non abbiano nulla in comune,  tra i due nasce un’intensa storia d’amore; e l’intensità della loro passione è dimostrata, in particolar modo, dalla drastica decisione di Suzanne  di abbandonare, oltre alla propria famiglia, tutti gli agi del suo oramai consolidato status sociale, per ritrovarsi a vivere nell’indigenza, accanto ad un uomo che non ha nulla da offrirle se non il proprio amore.
A definire il tono spiccatamente drammatico della pellicola, non è tanto la narrazione di un amore disperato, apparentemente senza alcuna possibilità di futuro, quanto piuttosto la spietata vendetta messa in atto dal marito, che non si rassegna all’idea  di essere  così miseramente abbandonato, ai danni dei due amanti.
Lo spettatore viene inevitabilmente colpito dall’incredibile determinazione di Suzanne, disposta perfino a rinunciare alla propria dignità pur di seguire il suo sogno d’amore; come nella scena in cui, una volta rimasti senza soldi, la donna tenta disperatamente di vendere il proprio orologio ai clienti di una stazione di servizio.
Nonostante Samuel faccia un uso vilmente ricattatorio del denaro, per far sì che Suzanne torni ad assumere il proprio ruolo all’interno della famiglia, non riuscirà comunque a riavere il suo amore; anzi, sarà proprio la sensazione di trovarsi imprigionata in una vita che non le appartiene più, a scatenare definitivamente la follia di Suzanne, il cui unico obiettivo è quello di ricongiungersi prima possibile con Ivan.
Per riuscire a dar vita a questo complesso gioco al massacro, Catherine Corsini ha potuto avvalersi delle interpretazioni di un cast di alto livello, all’interno del quale spicca su tutti la sofisticata Kristin Scott Thomas: impeccabile nel tratteggiare le diverse sfumature della personalità di una donna, la cui capacità di amare non conosce ostacoli.



Titolo: L’amante inglese ( Partir )
Regia: Catherine Corsini
Interpreti: Kristin Scott Thomas, Sergi Lopez, Yvan Attal
Nazionalità: Francia
Anno: 2009



sabato 25 maggio 2013

“Scatti rubati” di Eric Lartigau: la singolare storia di un uomo che voleva vivere la sua vita.


Paul Exben (Romain Duris) è un uomo che sembra aver avuto tutto dalla vita; ha infatti una bella famiglia, successo nella sua professione di avvocato e, soprattutto, molti soldi.
Tutto ciò sarebbe perfetto se non fosse che in realtà non è quello che lui aveva sempre immaginato per sé, desiderando invece diventare un fotografo professionista.
Quando sua moglie (Marina Foïs) gli annuncia di volere il divorzio, all’improvviso il mondo gli crolla addosso e, sospettando che lei abbia una relazione con Greg, un loro amico fotografo, si reca a casa di quest’ultimo per affrontarlo.
Purtroppo, però, la discussione tra i due degenera a tal punto che, sebbene accidentalmente, Paul causa la morte dell’amico.
In preda alla disperazione, dopo essersi sbarazzato del cadavere, l’uomo decide di assumere l’identità di Greg, ritrovandosi così a vivere la vita che aveva sempre sognato.
Parte quindi alla volta dell’Ungheria per realizzare un importante servizio fotografico; ben presto, però, la nuova situazione si rivelerà per lui tutt’altro che semplice da gestire…

Durante la visione di “Scatti rubati”, lo spettatore è inevitabilmente portato a riflettere sul significato della propria esistenza e, in particolar modo, a chiedersi se sia soddisfatto o meno della vita che sta conducendo.
Partendo dal romanzo di Douglas Kennedy, Eric Lartigau ci introduce all’interno di una famiglia borghese che, solo in apparenza, vive felicemente  in una bella casa situata nella periferia parigina.
Paul, il capofamiglia, da sempre appassionato di fotografia, sebbene debba proprio alla sua professione il suo elevato status sociale,  ci appare fin da subito come intrappolato in un’esistenza che non gli appartiene fino in fondo.
Ciò che comunque lo spinge ad andare avanti, a continuare a guadagnare soldi e, in questo modo, a garantire il benessere dei suoi familiari, è il suo amore per loro.
Però, non appena scopre il tradimento della moglie, e per di più con un loro amico fotografo, ecco che inevitabilmente viene a guastarsi quell’equilibrio che fino ad allora gli aveva impedito di fare i conti con se stesso.
E’ il verificarsi di una circostanza tragica a permettergli di iniziare a vivere la vita che ha sempre sognato, sebbene ciò lo costringerà, allo stesso tempo, ad allontanarsi per sempre dai propri figli; ed è proprio in questo frangente che “Scatti rubati” offre allo spettatore un’interessante svolta nel suo registro narrativo, che vede Paul come catapultato in un ambiente senz’altro meno “patinato” di quello in cui Eric Lartigau ce lo presenta inizialmente, ma indubbiamente a lui più consono.
In effetti, gli incantevoli scenari delle montagne del Montenegro ( che per esigenze di copione diventano ungheresi ) gli forniscono la giusta ispirazione per poter esprimere finalmente il proprio talento; paradossalmente però, non appena riesce a farsi notare con le sue foto, Paul prende inevitabilmente coscienza di non essere in grado di gestire liberamente la sua improvvisa notorietà.
In “Scatti rubati” Romain Duris ci dà l’ennesima dimostrazione delle sue elevate capacità recitative, risultando estremamente credibile tanto nel ruolo dell’amorevole padre di famiglia, nonché professionista di successo, quanto in quello del talentuoso fotografo per sempre condannato a vivere nell’ombra.
Accanto a lui, in poco più che un cameo, ritroviamo la sempre stupenda Catherine Deneuve, la cui breve ma intensa interpretazione conferisce un ulteriore valore aggiunto a questo sorprendente thriller carico di eclatanti colpi di scena.



Titolo: Scatti rubati ( L’homme qui voulait vivre sa vie )
Regia: Eric Lartigau
Interpreti: Romain Duris, Catherine Deneuve, Marina Foïs, Niels Arestrup, Branka Katic
Nazionalità: Francia
Anno: 2010

venerdì 17 maggio 2013

“The artist” di Michel Hazanavicius: il film francese più premiato di tutti i tempi.


Nella Hollywood degli anni venti, George Valentin (Jean Dujardin) è una grande star del cinema muto, osannato sia dal pubblico che dalla critica.
In occasione della presentazione di una delle sue pellicole, l’attore viene fotografato insieme a Peppy Miller (Bérénice Bejo), una sua giovane ammiratrice, nonché aspirante attrice, che il giorno seguente George rivede sul set di un film, in cui è stata ingaggiata come comparsa.
Tra i due si sviluppa immediatamente un’ottima intesa.
Per la giovane donna questo incontro segna l’inizio di una lunga e fortunata carriera nel mondo del cinema, mentre George Valentin a poco a poco viene abbandonato da tutti, finendo sul lastrico  soprattutto dopo l’avvento del sonoro.
Alcuni anni dopo l’attrice, che non ha mai dimenticato George, decide di offrirgli il suo aiuto, ma l’uomo, per una questione di orgoglio, lo rifiuta; anzi, sempre più disperato, tenta il suicidio.
Peppy, però, non solo riuscirà a salvargli la vita, ma gli permetterà addirittura di tornare alla ribalta, facendolo recitare accanto a lei in un musical…




In un’epoca in cui le pellicole in 3D imperversano nei multiplex di tutto il mondo, decidendo di portare sul grande schermo un film in bianco e nero, e per di più muto, Michel Hazanavicius ha indubbiamente dimostrato tutta la sua genialità, nonché la sua elevata predisposizione al rischio.
L’idea di questo ambizioso e decisamente originale progetto cinematografico, è stata comunque premiata fin  dalla presentazione di “The artist” al Festival di Cannes del 2011, in occasione del quale Jean Dujardin si è addirittura aggiudicato la Palma d’oro per la migliore interpretazione maschile.
Cannes, però, è stata solamente la prima tappa di un incredibile e fortunato viaggio che, in poco meno di un anno, ha permesso a questa pellicola di fare una vera e propria incetta di premi, tra cui ben cinque statuette agli Oscar 2012.
“The artist”, che tra l’altro risulta essere il film francese più premiato di tutti i tempi, è essenzialmente un omaggio al cinema degli anni venti, di cui il regista è riuscito a far rivivere le magiche atmosfere, curando nei minimi dettagli la realizzazione tecnica della  pellicola.
Durante la sua visione, non possiamo fare a meno di riconoscere come le dinamiche dell’attuale industria cinematografica non siano poi così dissimili da quelle che all’epoca muovevano Hollywood, da sempre considerata non solo una fabbrica di sogni ma anche, purtroppo, di delusioni.
“The artist” segue per l’appunto la parabola discendente di un attore di successo, la cui popolarità viene a poco a poco eclissata dall’avvento del sonoro. Nonostante la disperazione in cui  lo vediamo lentamente sprofondare, la pellicola si conclude con un importante messaggio di solidarietà e, soprattutto, di speranza.
Affiancato da una frizzante Bérénice Bejo, Jean Dujardin è semplicemente strepitoso nel ruolo di George Valentin. La sua espressività è, in effetti, decisamente fuori dal comune; per non parlare poi della sua incredibile bravura nel numero di tip-tap che chiude magnificante il film.



Titolo: The artist ( The artist )
Regia: Michel Hazanavicius
Interpreti: Jean Dujardin, Bérénice Bejo, John Goodman, James Cromwell
Nazionalità: Francia
Anno: 2011

venerdì 10 maggio 2013

“Vivere per vivere” di Claude Lelouch: un altro grande successo internazionale per uno dei più amati maestri del cinema francese.


Robert Colomb (Yves Montand), un reporter della televisione francese, da anni tradisce la moglie Catherine (Annie Girardot), la quale, invece, è profondamente innamorata di lui.
Sempre in giro per il mondo a causa della sua professione, una sera l’uomo incontra per la seconda volta Candice (Candice Bergen), una giovane americana, con cui intreccia l’ennesima relazione extra-coniugale.
Dopo una vacanza trascorsa insieme a Catherine ad Amsterdam, Robert le confessa di avere un’amante e di voler divorziare da lei; ma l’uomo, tormentato dal rimorso, non riesce ad essere felice accanto alla giovane donna, e così, dopo aver interrotto anche la relazione con lei, decide di partire per il Vietnam per realizzare un importante reportage.
Tornato in Francia, stanco ed emotivamente provato dagli orrori della guerra di cui è stato suo malgrado testimone, Robert si ritrova di fronte ad una Catherine completamente diversa da quella che aveva sposato; in effetti, adesso è una donna serena e, soprattutto, molto innamorata di un altro uomo.
Quando oramai sembra completamente esclusa ogni possibilità di riappacificazione tra loro due, accade però qualcosa di completamente inaspettato…

Sulla scia dell’enorme successo ottenuto a livello internazionale da “Un uomo, una donna”, l’anno seguente Claude Lelouch tornò sugli schermi con un’altra indimenticabile pellicola che, pur non spiccando per una trama particolarmente originale, riesce comunque ad entrare con estrema sensibilità nell’intimo dei vari personaggi coinvolti nella vicenda.
Al centro di “Vivere per vivere” vi è un triangolo amoroso che vede protagonisti il sempre brillante Yves Montand, nel ruolo di un marito fedifrago incapace però di vivere fino in fondo nella menzogna, e una superba Annie Girardot.
Catherine, il personaggio da lei impeccabilmente interpretato, ci sorprende, oltre che per la sua bellezza ed eleganza,  per l’incredibile determinazione con la quale continua ad amare Robert, anche dopo che lui le ha apertamente confessato di tradirla.
Nel ruolo della giovane amante delusa, troviamo invece l’attrice americana Candice Bergen in una delle primissime pellicole della sua lunga e fortunata carriera cinematografica.
Approfittando della professione svolta da Robert, il regista ha inserito all’interno della pellicola alcune sequenze di taglio prettamente giornalistico che, pur rallentando la fluidità della narrazione, tratteggiano un ritratto tutt’altro che lusinghiero della guerra.
Come era già accaduto per “Un uomo, una donna”, anche per la colonna sonora di “Vivere per vivere” Lelouch decise di avvalersi della preziosissima collaborazione di Francis Lai, il quale realizzò alcuni suggestivi brani musicali che sottolineano, a volte con delicatezza, a volte con drammaticità, l’eleganza delle immagini che lentamente scorrono di fronte ai nostri occhi durante la visione del film.
E’ in effetti sufficiente ascoltare “Vivre pour vivre” oppure il “Thème de Catherine” per riuscire ad immergersi immediatamente nelle sofisticate e ovattate atmosfere di questa pellicola che, tra i vari premi, si aggiudicò anche un Golden Globe per il miglior film straniero.



Titolo: Vivere per vivere ( Vivre pour vivre )
Regia: Claude Lelouch
Interpreti: Annie Girardot, Yves Montand, Candice Bergen
Nazionalità: Francia
Anno: 1967

venerdì 3 maggio 2013

“Confidenze troppo intime” di Patrice Leconte: l’imprescindibile bisogno di essere ascoltati.


Il matrimonio di Anne (Sandrine Bonnaire), commessa dall’aria alquanto modesta, sta attraversando una profonda crisi; per questo motivo la donna decide di rivolgersi ad uno psicanalista.
Il giorno in cui si reca al primo appuntamento, a causa di un banale errore, anziché nello studio del Dottor Monnier (Michel  Duchaussoy), Anne si ritrova in quello di William (Fabrice Luchini), un consulente tributario con un matrimonio fallito alle spalle e una vita estremamente grigia, al quale inizia a raccontare i propri problemi di coppia.
L’uomo, incuriosito fin da subito dalla situazione che si è venuta inaspettatamente a creare, esita a dirle la verità; sarà infatti lei a scoprirlo dopo un paio di sedute, e a rimproverarlo per non aver immediatamente chiarito l’equivoco.
Alcuni giorni dopo, però, Anne si ripresenta da lui intenzionata a continuare la terapia…

Con questa pellicola Patrice Leconte torna ad affrontare la complessità dei rapporti umani,  portando sullo schermo una storia della quale è anche co-sceneggiatore, e in cui da un errore del tutto casuale si sviluppa un’inaspettata catena di eventi, sebbene durante l’intera visione del film ci si chieda se in realtà Anne non abbia voluto intenzionalmente bussare alla porta sbagliata.
E’ proprio per il dubbio che si insinua immediatamente nello spettatore che “Confidenze troppo intime” assume le sembianze di un thriller sentimentale e, a questo riguardo, la colonna sonora composta da Pascal Estève riesce sapientemente a sottolineare l’atmosfera di mistero che avvolge l’intera vicenda.
Ciò che però ci spinge ad addentrarci ulteriormente nella psiche del personaggio elegantemente interpretato dalla Bonnaire, è il perché la donna decida di continuare a raccontare a uno sconosciuto particolari anche piuttosto intimi della propria relazione di coppia, anche dopo aver scoperto di essersi rivolta alla persona sbagliata. La risposta più plausibile potrebbe essere che Anne abbia trovato in William la persona più adatta con la quale confidarsi, sebbene non sia uno psicanalista.
Da parte sua, lui è immediatamente affascinato dalla figura di questa donna che, tra una consulenza fiscale e l’altra, si è presentata inaspettatamente nel suo studio chiedendogli aiuto.
Per William, Anne si rivela fin da subito una vera e propria boccata di aria fresca ed emozioni  in un’esistenza monotona, da lui trascorsa quasi esclusivamente all’interno di un buio e triste appartamento parigino, dove ha sempre vissuto e dove svolge anche la sua professione; e Fabrice Luchini, con la sua recitazione sicura, riesce magistralmente a tratteggiare il graduale cambiamento che sconvolge le radicate abitudini del personaggio da lui interpretato.
Indubbiamente, questo loro incontro rappresenterà per entrambi l’occasione per fare il punto sulle rispettive vite, e per trovare finalmente il coraggio di spiccare il volo verso lidi più assolati rispetto al grigiore della metropoli parigina ritratto da Leconte.


Titolo: Confidenze troppo intime ( Confidences trop intimes )
Regia: Patrice Leconte
Interpreti: Fabrice Luchini, Sandrine Bonnaire, Michel Duchaussoy, Anne Brochet
Nazionalità: Francia
Anno: 2004

sabato 27 aprile 2013

“Ciliegine” di Laura Morante: l’effervescente debutto alla regia di una delle più apprezzate interpreti italiane.


Amanda (Laura Morante), piacente donna di mezz’età impiegata in una casa editrice, ha una relazione complicata con Bertrand (Frédéric Pierrot) e con gli uomini in generale, al punto che il marito psicanalista di Florence (Isabelle Carré), la sua migliore amica, la ritiene affetta da “androfobia”.
Rimasta sola la notte dell’ultimo dell’anno, Amanda viene invitata da Florence ad una festa che ha organizzato insieme ai suoi colleghi.
Qui incontra Antoine (Pascal Elbé), che è stato appena lasciato dalla moglie e che, a causa di un malinteso, Amanda crede essere omosessuale.
Sebbene tra i due si sviluppi subito un’intesa pressoché perfetta, da quell’incontro nascerà in realtà tutta una serie di divertenti equivoci che, a ogni modo, porteranno Amanda a riacquistare lentamente fiducia negli uomini e, soprattutto, a trovare il vero amore…




Con “Ciliegine”, Laura Morante, apprezzata interprete del cinema italiano e non solo, ha segnato il suo effervescente debutto dietro la macchina da presa, firmando un’elegante commedia sentimentale della quale, oltre che produttrice e sceneggiatrice, è anche protagonista.
Realizzando una sorta di sintesi dei personaggi da lei portati sullo schermo nel corso della sua lunga e fortunata carriera cinematografica, la Morante ci presenta Amanda: una donna che, sebbene alquanto pedante, riesce ugualmente a emozionare lo spettatore, e a divertirlo con le assurde nevrosi che caratterizzano i suoi rapporti con gli altri e con gli uomini in particolare.
Da circa un anno ha una relazione piuttosto turbolenta con Bertrand: un uomo che sembra non prestarle il tipo di attenzioni che lei, al contrario, si aspetterebbe; per questo motivo Amanda finisce per bollarlo definitivamente come “egoista” ( come del resto è abituata a fare con tutto il genere maschile ).
E’ solamente dopo aver iniziato a frequentare Antoine, che la donna inizia a sentirsi insolitamente più tranquilla e, soprattutto, felice; e questo solamente perché è convinta che quell’uomo sia omosessuale.
Credo che il sogno di tutte le donne sia di avere un amico gay”: queste sono le parole che la vediamo digitare sulla tastiera di un computer mentre sta raccontando in un diario l’esperienza della propria amicizia con Antoine, e che dimostrano come Amanda riesca a sentirsi rilassata solamente all’interno di un relazione disinteressata con un esponente dell’altro sesso.
“Ciliegine” ci riporta alla mente i classici della commedia americana, non solamente per il tono sentimentale della pellicola, ma anche per il ben congegnato gioco degli equivoci su cui poggia solidamente la sceneggiatura, e che accompagna piacevolmente lo spettatore fino all’inevitabile lieto fine.
Accanto a Laura Morante ritroviamo una strepitosa Isabelle Carré ( che il pubblico italiano già conosce per la sua recente partecipazione a “Emotivi anonimi” ) nel  ruolo della confidente di Amanda.
Una menzione particolare spetta infine alle dolci melodie della colonna sonora composta dal grande maestro Nicola Piovani che, per citare la traduzione del titolo originale del film, rappresenta la ciliegina sulla torta di questa gradevolissima commedia francese.



Titolo: Ciliegine ( La cerise sur le gȃteau )
Regia: Laura Morante
Interpreti: Laura Morante, Isabelle Carré, Pascal Elbé, Fréderic Pierrot
Nazionalità: Italia / Francia
Anno: 2012

domenica 21 aprile 2013

“Tre destini, un solo amore” di Nicole Garcia: un intrigante thriller dei sentimenti.


Marc Palestro (Jean Dujardin) è un agente immobiliare di successo che, alla fine degli anni ottanta, vive felicemente con la moglie e la figlia in un’elegante villa nella periferia di Aix-en-Provence.
Un giorno, in occasione di un’importante trattativa immobiliare, Marc incontra una bellissima donna bionda (Marie-Josée Croze) nella quale crede di riconoscere Cathy, la bambina di cui era perdutamente innamorato nel 1962, quando viveva ancora ad Oran durante gli ultimi anni della guerra di indipendenza algerina, e che da allora non aveva più rivisto.
Nel momento in cui, il giorno seguente, lei gli conferma la propria identità, tra i due si riaccende immediatamente la passione; però, dopo aver trascorso la notte insieme, Cathy scompare misteriosamente.
Poco dopo, il verificarsi di una serie di strane circostanze porterà Marc a sospettare che la donna non sia effettivamente chi dice di essere, e per questo motivo inizierà la sua indagine personale per cercare di sapere di più sulla sua vera identità…

Ambientato tra i soleggiati paesaggi del sud della Francia e l’esotica cittadina di Oran, “Tre destini, un solo amore” è il sesto lungometraggio di Nicole Garcia, prolifica regista, nonché talentuosa  attrice di origine algerina.
La storia si sviluppa lentamente tramite un continuo alternarsi di due piani temporali, attraverso i quali lo spettatore si ritrova più volte catapultato dalla Francia della fine degli anni ottanta al periodo conclusivo della guerra di indipendenza algerina: l’epoca in cui sbocciò l’amore di Marc per Cathy, poi purtroppo improvvisamente interrotto a seguito della  fuga in Francia della famiglia del bambino.
Quasi trent’anni dopo, l’incontro con una misteriosa femme fatale, nella quale Marc crede di riconoscere l’indimenticata Cathy, sebbene gli permetta di riassaporare tutta la tenerezza dei momenti  trascorsi insieme a lei su di una terrazza prospiciente il mare algerino, lo costringe allo stesso tempo a rivivere dolorosamente i giorni che seguirono quel traumatico distacco dal suo primo grande amore e dalla sua terra.
L’equilibrio che caratterizza la solida esistenza di Marc, affermato professionista nonché esemplare padre di famiglia, inizia così improvvisamente a vacillare, in particolar modo dopo che in lui si insidia il sospetto che quella donna si stia prendendo pericolosamente gioco di lui.
Con “Tre destini, un solo amore” Nicole Garcia ha confezionato un intrigante thriller dei sentimenti, avvalendosi del premio Oscar Jean Dujardin, che con questa pellicola è riuscito a dare un’ulteriore e indiscutibile prova delle sue capacità interpretative, e della bellissima Marie-Josée Croze, perfetta nel rendere tutta la misteriosità del suo personaggio.
Nel cast ritroviamo anche due grandissimi attori appartenenti al cinema italiano: la mitica Claudia Cardinale e il bravissimo Toni Servillo, nei ruoli rispettivamente della madre e dell’ambiguo collaboratore di Marc.



Titolo: Tre destini, un solo amore ( Un balcon sur la mer )
Regia: Nicole Garcia
Interpreti: Jean Dujardin, Marie-Josée Croze, Sandrine Kiberlain, Toni, Servillo, Claudia Cardinale.
Nazionalità: Francia
Anno: 2010

sabato 13 aprile 2013

“Ascensore per il patibolo” di Louis Malle: una claustrofobica storia di passione e morte per la pellicola che ha precorso la Nouvelle Vague francese.


Florence Carala (Jeanne Moreau) e Julien Tavernier (Maurice  Ronet) sono una coppia di amanti che sta progettando l’assassinio del marito di lei, un potente uomo d’affari, nonché datore di lavoro di Julien.
Quest’ultimo un sabato pomeriggio, quando gli uffici sono pressoché deserti, lo uccide inscenando un suicidio; però, nel momento in cui sta abbandonando l’edificio, rimane intrappolato nell’ascensore, non potendo così raggiungere Florence, che lo sta aspettando al loro solito café.
Nel frattempo l’auto di Julien viene rubata da un giovane balordo, che coinvolge nel furto anche la sua fidanzata: la graziosa commessa del negozio di fiori che si trova proprio nelle vicinanze degli uffici dello stesso Julien.
Scesa la notte, i due si fermano a dormire in un motel, registrandosi sotto il nome “Tavernier”; qui fanno la conoscenza di una coppia di ricchi turisti tedeschi, i quali vengono uccisi poco dopo dal giovane durante il suo tentativo di rubare la loro auto.
Il mattino seguente la polizia inizia quindi a dare la caccia a Julien, che nel frattempo è riuscito ad uscire dall’ascensore e che, ovviamente, non sa nulla dell’omicidio di cui viene accusato; poco dopo, infatti, viene arrestato.
Florence, che non ha più avuto notizie di Julien, e non credendo al suo coinvolgimento nell’omicidio al motel, inizia così la sua indagine personale nel tentativo di dimostrarne l’innocenza; però, mentre alcune foto scattate la sera prima dai due giovani confermeranno la sua estraneità all’assassinio dei due tedeschi, altre costituiranno invece la prova schiacciante della complicità dei due amanti nell’assassinio del marito di lei…


Tratto dall’omonimo romanzo di Noël Calef, “Ascensore per il patibolo” è il primo lungometraggio di Louis Malle.
Uscito nelle sale nel 1958, esattamente un anno prima de “I 400 colpi” di François Truffaut, può essere considerato a tutti gli effetti il precursore della Nouvelle Vague, presentando già alcuni degli elementi che in seguito caratterizzeranno le pellicole di  questo rivoluzionario movimento cinematografico, al quale hanno aderito tra gli altri, oltre allo stesso Truffaut, Jean-Luc Godard e Claude Chabrol.
Ascensore per il patibolo” è un splendido noir dalle atmosfere eleganti, la cui tensione non abbandona mai lo spettatore, neppure per un attimo, coinvolgendolo fin dalle prime scene in una claustrofobica storia di passione e morte, e facendolo assistere ad un delitto solo in apparenza perfetto, sebbene studiato nei minimi particolari.
Ad interpretare la coppia di “amanti maledetti” troviamo un’intensa Jeanne Moreau, la cui  interpretazione raggiunge l’apice durante la sua passeggiata notturna lungo le vie di una Parigi della fine degli anni cinquanta, e un bravissimo Maurice Ronet, particolarmente abile nel riuscire a trasmettere allo spettatore tutta l’ansia e l’angoscia del personaggio da lui interpretato nel momento in cui, rimasto intrappolato nell’ascensore, tenta disperatamente di trovare una via di fuga.
Particolarmente degni di nota sono inoltre le melodie jazz della leggendaria colonna sonora firmata da Miles Davis, nonché  il raffinato bianco e nero della fotografia curata da Henri Decaë;   entrambi conferiscono infatti un ulteriore valore aggiunto a questo indimenticabile classico della cinematografia francese.



Titolo: Ascensore per il patibolo ( Ascenseur pour l’échafaud )
Regia: Louis Malle
Interpreti: Jeanne Moreau, Maurice Ronet, Lino Ventura, Jean Wall.
Nazionalità: Francia
Anno: 1958

mercoledì 3 aprile 2013

“Un americano a Parigi” di Vincent Minnelli: la magia di un classico che continua a far sognare.


Dopo aver combattuto in Francia durante il secondo conflitto mondiale, Jerry Mulligan (Gene Kelly) decide di rimanere a Parigi per dedicarsi alla sua grande passione: la pittura.
Qui fa la conoscenza di Adam Cook (Oscar Levant): un altro americano che tenta di sbarcare il lunario suonando il pianoforte; quest’ultimo a sua volta è molto amico di Henri Baurel (Georges Guétary), un cantante francese di successo.
Un giorno, mentre sta dipingendo lungo le strade di Montmartre, Jerry è avvicinato da Milo Roberts (Nina Foch), una ricca ereditiera, la quale, attirata dai quadri e, soprattutto, dal fascino dell’uomo, decide di diventarne la mecenate.
Quasi contemporaneamente Jerry incontra Lisa Bouvier (Leslie  Caron), la graziosa commessa di un negozio di profumeria, e se ne innamora a prima vista, senza sapere che in realtà è la fidanzata di Henri Baurel, che si è occupato di lei dalla morte dei suoi genitori.
Dopo un’iniziale riluttanza, la giovane donna sembra contraccambiare le attenzioni di Jerry.
Nel frattempo Henri, che ha ricevuto un’importante offerta da un impresario americano, chiede a Lisa di sposarlo e di seguirlo in tournée negli Stati Uniti.
Sentendosi in dovere di accettare la proposta di Henri, la ragazza comunica la propria decisione ad un incredulo Jerry; il quale, proprio nel momento in cui si sta rassegnando all’idea di dover per sempre rinunciare a lei, scoprirà invece che il destino ha in serbo ben altri progetti per loro due…


Ispirato all’omonimo poema sinfonico di George Gershwin, “Un americano a Parigi” fu girato dal grandissimo Vincent Minnelli nel periodo in cui il musical era il genere su cui i produttori di Hollywood stavano puntando maggiormente; e annovera fra i suoi interpreti un allora già affermato Gene Kelly e  una giovanissima Leslie Caron, qui al suo debutto cinematografico.
Dei 6 premi Oscar che questa pellicola è riuscita meritatamente ad aggiudicarsi, una menzione particolare spetta a quello per la migliore scenografia.
E’ in effetti una Parigi estremamente colorata quella che fa da sfondo alla storia d’amore di “Un americano a Parigi”; con una Montmartre vivacemente popolata da una miriade di artisti di ogni sorta che, all’indomani del secondo conflitto mondiale, sono in attesa della grande occasione della loro vita.
Gene Kelly, oltre ad aver interpretato il ruolo di Jerry Mulligan, ha curato anche le magnifiche coreografie di questo film.
La scena in cui lo vediamo romanticamente danzare lungo le rive della Senna al fianco della Caron, rimarrà per sempre nei cuori di tutti gli amanti del genere, e non solo; ma è soprattutto durante la lunga sequenza del balletto finale che, come per magia, lo spettatore viene avvolto in una girandola di colori e suoni, vivendo in prima persona l’atmosfera surreale di ciò che sta avvenendo nella mente di Jerry subito dopo essere stato abbandonato, seppur solo per un momento, da Lisa; e parlando di suoni, le suggestive musiche di George Gershwin hanno indubbiamente contribuito a decretare il successo di questa indimenticabile pellicola che, sebbene siano trascorsi più di sessant’anni dalla sua uscita nelle sale, continua a far sognare. 
  



Titolo: Un americano a Parigi ( An American in Paris )
Regia: Vincent Minnelli
Interpreti: Gene Kelly, Leslie Caron, Nina Foch, Oscar Levant, Georges Guétary
Nazionalità: USA
Anno: 1951

mercoledì 27 marzo 2013

“Effetto notte” di François Truffaut: un’appassionata dichiarazione d’amore del regista per il cinema.


A Nizza, presso gli studi “La Victorine”, il regista Ferrand (François Truffaut) sta girando “Vi presento Pamela”.
Per tutta la durata delle riprese, i problemi legati alla lavorazione del film si intrecceranno con le vicissitudini personali degli attori e degli altri membri della troupe… 
Girato nell’autunno del 1972, e presentato fuori concorso l’anno successivo al Festival di Cannes, “Effetto notte”, oltre a rappresentare una delle più importanti opere di Truffaut, è ritenuto dalla critica cinematografica uno dei migliori lungometraggi di tutti i tempi.
Ottenuto l’Oscar per il miglior film straniero, oltre a 3 nominations tra cui quella per l’intensa interpretazione di Valentina Cortese, “Effetto notte” tratta la storia di un gruppo di persone che, durante la lavorazione di un film, si ritrovano a percorrere insieme un breve tratto della loro esistenza.
Tra gli interpreti di “Vi presento Pamela” c’è Alphonse (Jean-Pierre Léaud), continuamente ossessionato dalla sua gelosia per Liliane (Dani), una delle segretarie di edizione; Séverine (Valentina Cortese), un’attrice italiana sul viale del tramonto che in passato ha avuto una storia con Alexandre (Jean-Pierre Aumont), un altro degli attori del film; e l’americana Julie Baker (Jacqueline Bisset), la quale, dopo aver superato un grosso esaurimento nervoso, ha sposato un medico che per l’età potrebbe essere suo padre.





Tanto i loro problemi quanto quelli degli altri componenti della troupe finiranno inevitabilmente per rallentare i ritmi delle riprese, con la conseguente disperazione del regista, interpretato dallo stesso Truffaut, che, come già accaduto ne “Il ragazzo selvaggio”, ha voluto nuovamente cimentarsi anche nella veste di attore.
Alla base di “Effetto notte” vi era la sua intenzione di realizzare una pellicola che permettesse allo spettatore di farsi un’idea abbastanza precisa di ciò che accade durante la lavorazione di un film, anche se poi il risultato finale è andato ben oltre le sue aspettative iniziali.
Il titolo si riferisce a una tecnica cinematografica che consiste appunto nel “trasformare” in notturna una ripresa effettuata invece in pieno giorno, grazie all’utilizzo di un apposito filtro.
Questa pellicola è un’appassionata dichiarazione d’amore del regista per il cinema e i suoi grandi maestri; sono in effetti numerose le citazioni dai film che hanno segnato la vita di Truffaut, oltre alle diverse autocitazioni dai propri.
Inoltre, come da lui stesso affermato, “Effetto notte” sintetizza alcune delle sue precedenti opere; opere che in questa pellicola riescono anche a trovare una giusta e degna conclusione.



Titolo: Effetto notte ( La nuit americaine )
Regia: François Truffaut
Interpreti: Jean-Pierre Léaud, Jacqueline Bisset, Valentina Cortese, Jean-Pierre Aumont, Dani
Nazionalità: Francia
Anno: 1973