martedì 19 marzo 2013

“Insieme a Parigi” di Richard Quine: quando la realtà supera la fantasia.


Richard Benson (William Holden) è un famoso sceneggiatore al quale è stato commissionato dal produttore Alexander Meyerheim lo script di un film.
Playboy incallito e abitualmente poco concentrato sul proprio lavoro, a due giorni dalla scadenza del termine previsto per la consegna della sceneggiatura, Benson non ne ha ancora scritto neppure una riga.
Allo scopo di velocizzare il lavoro, decide quindi di assumere Gabrielle Simpson (Audrey Hepburn), una dattilografa; la donna si presenta all’albergo dove Benson alloggia, e durante il week-end i due vedono lentamente svilupparsi la storia de “La ragazza che rubò la Tour Eiffel”.
Nell’elaborare la sua sceneggiatura Benson immagina che siano lui e Gabrielle ad interpretare i due protagonisti della pellicola; e, proprio come accade nella finzione, anche lo sceneggiatore e la dattilografa a poco a poco si avvicineranno per poi innamorarsi.

Basato su Henriette, la pellicola di Julien Duvivier del 1952, e diretto da Richard Quine, “Insieme a Parigi” è una leggera commedia sentimentale che vede protagonisti un maturo William Holden e un’effervescente Audrey Hepburn.
Sullo sfondo di una coloratissima Parigi durante i festeggiamenti per il 14 di luglio, George Axelrod ha sviluppato una piacevole sceneggiatura che le divertenti interpretazioni della coppia Holden-Hepburn ( per la seconda volta insieme sullo schermo dopo il successo di “Sabrina” ) hanno indubbiamente contribuito a vivacizzare.
Un anno dopo aver recitato in Sciarada, la Hepburn torna a Parigi, città a lei particolarmente congeniale, per interpretare il ruolo di una graziosa e, nella sua semplicità,  seducente dattilografa, che presto si rivela una vera e propria musa ispiratrice per lo scrittore in crisi di idee interpretato da Holden.
Le eleganti scenografie e i raffinati costumi ideati da Hubert de Givenchy contribuiscono a donare un tocco glamour al film, che vanta tra le musiche della colonna sonora la melodiosa “That face”, magistralmente interpretata da Fred Astaire.
Ancora oggi “Insieme a Parigi” continua a entusiasmare gli amanti della commedia classica americana e, al tempo stesso, rappresenta un significativo esempio di come la capitale francese veniva vista dalla Hollywood dei primi anni sessanta.



Titolo: Insieme a Parigi ( Paris, when it sizzles )
Regia: Richard Quine
Interpreti: Audrey Hepburn, William Golden, Tony Curtis, Noel Coward
Nazionalità: USA
Anno: 1964

lunedì 11 marzo 2013

“Ti amerò sempre” di Philippe Claudel: l’estremo e tragico gesto di una madre nei confronti del proprio figlio.


Dopo aver trascorso 15 anni in carcere per l’omicidio del proprio bambino, Juliette Fontaine (Kristin  Scott Thomas) viene ospitata dalla sorella minore Léa (Elsa  Zylberstein) a Nancy, dove vive con il marito, le due figlie adottive e il suocero malato.
La donna adesso può fare esclusivamente affidamento su Léa, dal momento che è l’unica della sua famiglia che nel corso degli anni ha continuato a volerle bene.
Il reinserimento nella società si presenta tutt’altro che semplice per lei, sia sul piano lavorativo, che nei rapporti interpersonali, tanto più che Juliette sembra voler continuare a rimanere isolata da tutto ciò che la circonda.
Grazie però all’affetto e alla vicinanza della sorella, delle nipotine e delle persone che incontrerà nella sua nuova vita fuori dal carcere, la donna riuscirà a poco a poco a riaprirsi verso il mondo esterno e, soprattutto, a rivelare finalmente il vero motivo che quindici anni prima la spinse ad uccidere il proprio figlio…

Ti amerò sempre” è il film che ha segnato il debutto alla regia di Philippe Claudel, uno dei più apprezzati scrittori francesi contemporanei.
Protagonista assoluta della pellicola è una bravissima Kristin Scott Thomas nel ruolo più drammatico e impegnativo della sua carriera cinematografica, grazie al quale nel 2008 si è aggiudicata il premio come migliore attrice agli European Film Awards.
In effetti, l’immagine glaciale che da sempre contraddistingue l’attrice inglese si presta  perfettamente all’interpretazione di una donna la cui condanna sembra destinata a non avere mai fine, sebbene sia uscita recentemente dal carcere dopo avervi trascorso gli ultimi 15 anni.
Come se continuasse a vivere in una prigione virtuale che lei stessa si è imposta, Juliette appare perfino incapace di contraccambiare l’affetto dimostratole da Léa che, nonostante tutto, ha sempre conservato un buon ricordo della sorella maggiore.
Inizialmente, rimaniamo addirittura infastiditi dalla freddezza da lei ostentata ogniqualvolta si trova costretta a parlare del proprio passato; però, il calore dell’ambiente familiare che la circonda riuscirà a poco a poco a sciogliere il gelo interiore nel quale sembra intrappolata, e a infonderle la speranza che anche per lei  possa esserci un futuro.
E’ solamente a seguito della casuale scoperta da parte di Léa di ciò che è effettivamente successo quindici anni prima, che riusciamo finalmente a comprendere l’assoluto distacco di Juliette dal mondo che la circonda e tutta la tragicità del suo gesto; quello di una madre che, di fronte alla prospettiva di veder soffrire inutilmente il proprio figlio a causa dalla malattia da cui lo aveva improvvisamente scoperto affetto, ha dovuto prendere la dolorosa decisione di privarlo della vita.
Anche se alla luce di tutto ciò la sua posizione avrebbe potuto senz’altro essere valutata diversamente, Juliette non ha mai voluto rivelare le reali dinamiche dei fatti; e sebbene questo le sia addirittura costato il disprezzo e l’abbandono da parte dei suoi genitori, dopo la morte del suo bambino nulla ha avuto più  importanza per lei.
Claudel con la sua pellicola di esordio ha sollevato per l’ennesima volta il delicato dibattito sul diritto alla vita e l’eutanasia; e lo ha fatto mettendo in scena il dramma di una madre e il suo estremo atto d'amore nei confronti del proprio figlio.



Titolo: Ti amerò sempre ( Il y a longtemps que je t’aime )
Regia: Philippe Claudel
Interpreti: Kristin Scott Thomas, Elsa Zylberstein, Frédéric Pierrot, Serge Hazanavicious
Nazionalità: Francia
Anno: 2008

martedì 5 marzo 2013

“La chiave di Sara” di Gilles Paquet-Brenner: per non dimenticare uno dei più drammatici e ignobili episodi della storia francese.


Tra il 16 e il 17 luglio del 1942, tredicimila ebrei parigini furono arrestati dalla polizia collaborazionista francese e imprigionati in condizioni disumane nel Vélodrome d’Hiver, in attesa di essere destinati ai vari campi di concentramento nazisti.
Tra i coinvolti nel rastrellamento vi furono anche i coniugi Starzynski e la loro figlia maggiore Sara (Mélusine Mayance), la quale, prima di lasciare la loro abitazione, rinchiuse il fratellino Marcel in un armadio, affinché almeno lui potesse sfuggire al raid della polizia.
Nel 2009 Julia Jarmond (Kristin Scott Thomas), una giornalista americana sposata con un architetto francese e da anni residente a Parigi, deve realizzare un reportage sulla drammatica vicenda del rastrellamento del Vél d’Hiv
Nel corso delle sue indagini la donna verrà a conoscenza della tragedia di Sara e, inaspettatamente,  scoprirà che le tristi vicende di quella ragazzina sono drammaticamente legate a quelle della famiglia di suo marito…


Tratto dal romanzo di Tatiana de Rosnay e diretto da Gilles Paquet-Brenner, “La chiave di Sara”,  insieme a “Vento di primavera” di Rose Bosch, ha indubbiamente il merito di aver contribuito a riportare alla luce i drammatici eventi dell’estate del 1942 legati al rastrellamento del Velodromo d’Inverno di Parigi.
Muovendosi sullo sfondo della tragedia della Shoah, il regista ci presenta la storia di due donne che, sebbene vissute in epoche diverse, a poco a poco lo spettatore vede dolorosamente intrecciarsi.
Sara, dopo essere riuscita a fuggire dal campo di concentramento in cui era internata insieme ai suoi genitori, non riesce a dimenticare il suo triste passato, attanagliata da un rimorso che ne corrode lentamente l’esistenza.
Nella Parigi dei nostri giorni, un’altra donna, la giornalista americana Julia, sta attraversando un periodo particolarmente delicato, sia nella sfera privata ( con una gravidanza inattesa e le conseguenti incomprensioni con il marito ) che in quella professionale.
L’indagine che sta conducendo sul rastrellamento del Velodromo d’Inverno avvenuto durante il secondo conflitto mondiale, la sta in effetti coinvolgendo profondamente dal punto di vista emotivo, soprattutto dopo che, casualmente, la donna è venuta a conoscenza della triste storia di Sara e della sua famiglia.
Proprio mentre sta cercando di scoprire cosa sia successo a lei e al suo fratellino, i cui nominativi non compaiono tra quelli dei deceduti nei campi di concentramento, Julia farà una terribile scoperta, il cui oggetto, oltre a essere stato alla base del tormento interiore di Sara, le cambierà per sempre l’esistenza, dandole allo stesso tempo la forza di riprogrammare completamente il proprio futuro.
Nei panni della giornalista americana ritroviamo una particolarmente intensa Kristin Scott Thomas, che dimostra per l’ennesima volta tutta la sua incredibile bravura, mentre la giovanissima Mélusine Mayance è semplicemente strepitosa nella parte della piccola ma estremamente coraggiosa Sara.
Il continuo alternarsi dei due piani temporali contribuisce indubbiamente a donare dinamicità alla narrazione, coinvolgendo emotivamente lo spettatore nella stessa e rendendolo, ancora una volta, testimone impotente di fronte agli errori e agli orrori della storia dell’umanità.



Titolo: La chiave di Sara ( Elle s’appelait Sarah )
Regia: Gilles Paquet-Brenner
Interpreti: Kristin Scott Thomas, Aidan Quinn, Mélusine Mayance, Michel Duchaussoy, Frédéric Pierrot
Nazionalità: Francia
Anno: 2010

lunedì 25 febbraio 2013

“Lo schiaffo” di Claude Pinoteau: una pellicola sul conflitto generazionale nella Francia della metà degli anni settanta.


Diretto nel 1974 da Claude Pinoteau, il cineasta francese scomparso nell’ottobre dello scorso anno, “Lo schiaffo” lanciò l’allora diciannovenne Isabelle Adjani, affiancata in questa gradevole commedia da due già affermate stelle del cinema: Annie Girardot e Lino Ventura. 
Isabelle Douléan (Isabelle Adjani) è una studentessa di medicina che, dal giorno della separazione dei suoi genitori, vive a Parigi insieme al padre Jean (Lino Ventura), insegnante di geografia in un liceo.
La serenità della ragazza è purtroppo minata dal rapporto conflittuale che ha con quest’ultimo, il quale si dimostra assolutamente contrario all’intenzione della figlia di andare a vivere con Marc (Francis Perrin), il suo fidanzato.
Dopo aver ricevuto uno schiaffo dal padre, a seguito del loro ennesimo litigio, Isabelle fugge di casa per raggiungere la madre Hélène (Annie Girardot) in Inghilterra, dove si è momentaneamente trasferita dall’Australia con il nuovo compagno.
Sebbene intenzionata a partire da sola, Isabel verrà seguita in questo suo viaggio da Rémy (Jacques Spiesser), del quale poi lei si scoprirà innamorata.
L’incontro tra Hélène e Jean, che nel frattempo ha raggiunto la figlia in Inghilterra, sarà la scintilla che segnerà un inaspettato ritorno di fiamma tra loro due…



Con “Lo schiaffo” Claude Pinoteau ha portato sullo schermo una storia sul conflitto generazionale nella Francia della metà degli anni settanta, affrontandolo però con i toni tipici della commedia sentimentale, permettendoci al tempo stesso di riflettere sulle conseguenze che l’assenza di un’unità familiare può avere nelle vite dei figli di genitori separati.
Nel ruolo per lui inedito, ma comunque indubbiamente riuscito, di un padre burbero e allo stesso tempo estremamente premuroso nei confronti della sua unica figlia, ritroviamo un bravissimo Lino Ventura; mentre per la parte di Isabelle, Pinoteau scelse l’allora sconosciuta Isabelle Adjani che, proprio grazie alla sua interpretazione, si aggiudicò il David di Donatello e  contemporaneamente vide esplodere la propria popolarità a livello internazionale.
Una simpaticissima Annie Girardot, invece, interpreta la madre di Isabelle, il cui carattere estremamente gioviale si contrappone a quello eccessivamente serioso, e a volte perfino scorbutico, del personaggio interpretato da Ventura.
Lo scontro padri-figli è stato un tema particolarmente caro a Pinoteau, il quale, sebbene in un contesto differente, alcuni anni dopo tornò a proporlo nei due capitoli de “Il tempo delle mele”; pellicole con le quali lanciò Sophie Marceau: un’altra grande star dell’attuale cinema francese.





Titolo: Lo schiaffo ( La gifle )
Regia: Claude Pinoteau
Interpreti: Lino Ventura, Annie Girardot, Isabelle Adjani
Nazionalità: Francia
Anno: 1974

mercoledì 20 febbraio 2013

“Coco avant Chanel – L’amore prima del mito” di Anne Fontaine: l’incredibile storia di una donna con un destino a parte.


Diretto dalla regista lussemburghese Anne Fontaine, “Coco avant Chanel – L’amore prima del mito” narra l’esistenza della celebre stilista francese dagli anni della sua infanzia fino al raggiungimento dei primi successi professionali, senza ovviamente dimenticare quella che fu la più importante storia d’amore della sua vita.
Nel ruolo della protagonista ritroviamo una bravissima Audrey Tautou che, con la forza della sua recitazione, è riuscita magistralmente a far rivivere sullo schermo il mito di Coco Chanel.  
Nel 1893 Gabrielle Chanel (Audrey Tautou) e sua sorella vengono abbandonate dal padre in un orfanotrofio di Aubazine, dove per anni attenderanno inutilmente che il genitore venga a riprenderle.
Quindici anni più tardi le ritroviamo entrambe a Moulins. Durante il giorno eseguono piccoli lavori di cucito presso la bottega di un sarto, mentre la sera si esibiscono in uno squallido cabaret cantando frivole canzoni tra cui Qui qu’a vu Coco?.
Durante una delle sue esibizioni Gabrielle viene notata da Étienne Balsan (Benoît Poelvoorde), un ricco aristocratico francese che, dopo averla “ribattezzata” Coco, la introduce nel proprio mondo fatto di ozi, feste e passeggiate a cavallo.
Dimostratasi ben presto insofferente a quell’ambiente  e, al tempo stesso, desiderosa di conquistarsi un proprio spazio all’interno della società che conta, a poco a poco la donna comincia a farsi conoscere nel mondo della moda, confezionando cappelli femminili dallo stile altamente innovativo per quell’epoca.
Un ruolo determinante nel raggiungimento dei suoi primi successi professionali è giocato da Boy Capel (Alessandro Nivola), un gentleman inglese conosciuto a casa di Étienne Balsan,  che intuisce fin da subito l’incredibile talento di Coco.
Con lui vivrà un’intensa storia d’amore, che però si concluderà improvvisamente a seguito del tragico incidente stradale in cui l’uomo rimarrà coinvolto.



Con “Coco avant Chanel – L’amore prima del mito”, Anne Fontaine è riuscita a realizzare per il grande schermo un appassionato ritratto dell’indimenticata designer  francese, concentrandosi sugli anni che hanno preceduto la sua definitiva consacrazione a indiscussa icona di stile.
In effetti è interessante osservare come i tristi anni della sua infanzia  trascorsi in un orfanotrofio gestito da suore, e le sue prime esperienze come sarta in un negozio di provincia, siano stati determinanti per far maturare in lei il desiderio di prendersi una rivincita nei confronti della vita  e, soprattutto, per poterlo realizzare avvalendosi proprio del suo innato talento di stilista.
Prima di raggiungere il suo obiettivo di indipendenza in una società in cui la donna era relegata esclusivamente al ruolo o di moglie o di amante, Coco dovrà purtroppo conoscere da vicino tutta la frivolezza del mondo dell’aristocrazia e borghesia francese nel quale il suo protettore, Étienne Balsan, la introduce.
Sarà però grazie all’incontro con Boy Capel che Coco riuscirà a trovare l’ispirazione e la forza necessaria per iniziare a emergere nella società, rivoluzionando con il proprio stile innovativo il tradizionale modo di vestire delle donne, alleggerendolo soprattutto da inutili accessori.
Anne Fontaine ci regala un elegante spaccato del primo novecento francese, con un’accurata ricostruzione degli ambienti e l’incredibile raffinatezza dei costumi per i quali il film si è addirittura aggiudicato un César.
Ciò che comunque riesce indubbiamente a donare credibilità alla pellicola è l’ottima interpretazione della Tautou, grazie anche alla sua impressionante somiglianza fisica con la stilista francese; somiglianza per la quale è stata scelta dalla regista ancora prima che la sceneggiatura del film venisse realizzata.




Titolo: Coco avant Chanel – L’amore prima del mito ( Coco avant Chanel )
Regia: Anne Fontaine
Interpreti: Audrey Tautou, Benoît Poelvoorde, Alessandro Nivola, Maire Gillain
Nazionalità: Francia
Anno: 2009


sabato 9 febbraio 2013

“Non dirlo a nessuno” di Guillaume Canet: un successo internazionale per una pellicola caratterizzata da un interminabile susseguirsi di colpi di scena.


Tratto dall’omonimo best-seller di Harlan Coben, e seconda esperienza nel lungometraggio di Guillaume Canet, il talentuoso attore e regista francese, “Non dirlo a nessuno” vanta un incredibile successo a livello internazionale; e questo per merito non solo di una regia e una sceneggiatura che coinvolgono sapientemente lo spettatore, ma anche di un eccezionale cast di interpreti capitanati da un “adrenalico” François Cluzet.
Alexandre Beck (François Cluzet) è un pediatra felicemente coniugato con Margot (Marie-Josée Croze).
La sua vita viene letteralmente sconvolta a seguito del brutale omicidio della moglie, avvenuto mentre i due stavano trascorrendo alcuni giorni nella località in cui si erano conosciuti da bambini, per festeggiare il loro anniversario di matrimonio.
Otto anni più tardi, dopo il ritrovamento di due cadaveri nei pressi del luogo in cui Margot era stata assassinata, la polizia decide di riaprire il caso e Alex torna ad essere il sospettato principale.
Contemporaneamente, l’uomo riceve via e-mail un video dal quale sembrerebbe che in realtà la donna sia ancora viva.
Sarà per Alex l’inizio di una vera e propria corsa contro il tempo per riuscire a provare la propria innocenza e, soprattutto, per cercare di capire cosa sia effettivamente successo a sua moglie.



Con tre milioni di spettatori richiamati nei soli cinema francesi, “Non dirlo a nessuno” è stato candidato a nove premi César, aggiudicandosene poi solamente quattro, tra cui quello per la miglior regia e per il miglior attore a François Cluzet.
Sullo sfondo di una Parigi tutt’altro che turistica, lo spettatore è portato a immedesimarsi con il  protagonista, avendo come la sensazione di vivere in prima persona l’ampio ventaglio dei suoi stati d’animo.
In effetti è praticamente impossibile rimanere indifferenti di fronte al dramma che ha distrutto la vita di Alex; dopo otto anni, durante i quali non è ( comprensibilmente ) riuscito a superare completamente il trauma dell’omicidio della sua adorata Margot, ecco che il verificarsi di una serie di circostanze concomitanti riaccendono in lui la speranza che la donna possa essere ancora viva.
La strada per arrivare a scoprire cosa sia effettivamente accaduto otto anni prima sarà però tutta in salita per Alex; l’uomo, infatti, oltre a dover dimostrare di non essere un assassino, si ritroverà più volte a mettere in pericolo la propria esistenza.
L’amore per Margot gli permetterà a ogni modo di superare ogni ostacolo, sebbene la scoperta della verità si rivelerà alquanto dolorosa per lui.
François Cluzet è semplicemente strepitoso, con un’interpretazione che lo ha impegnato sia emotivamente che fisicamente, dal momento che non sono poche le scene in cui lo vediamo correre lungo le strade di Parigi mentre è inseguito dalla polizia.
Ad affiancarlo in una pellicola che riesce a mescolare magistralmente gli elementi caratteristici della love story con quelli del giallo e del thriller, abbiamo un cast decisamente eccellente con attori del calibro di Kristin Scott Thomas, nella parte dell’amica di Alex, del veterano André Dussollier e della sempre affascinante Nathalie Baye.
Nel film ritroviamo inoltre lo stesso Canet, che dirige se stesso in un piccolo, ma ugualmente sgradevole, ruolo.



Titolo: Non dirlo a nessuno ( Ne le dis à personne )
Regia: Guillaume Canet
Interpreti: François Cluzet, Marie-Josée Croze, Kristin Scott Thomas, André Dussollier, Nathalie Baye, Jean Rochefort, Guillaume Canet
Nazionalità: Francia, 
Anno: 2006

sabato 2 febbraio 2013

“L’innocenza del peccato” di Claude Chabrol: una torbida storia di travolgenti passioni.


Presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia del 2007, e ispirato a un caso di cronaca nera che sconvolse la New York degli inizi del novecento, con “L’innocenza del peccatoClaude Chabrol ha confezionato per il grande schermo l’ennesimo e intrigante noir borghese della sua lunga e fortunata carriera cinematografica.
Protagonista della pellicola, accanto ai bravissimi François Berléand e Benoît Magimel, ritroviamo un’incredibilmente sensuale Ludivine Sagnier nei panni della “ragazza divisa in due” a cui fa riferimento il titolo originale del film.
Gabrielle Deneige (Ludivine Sagnier) è una giovane e, soprattutto, ambiziosa conduttrice televisiva.
Charles Saint-Denis (François Berléand), invece, è un maturo scrittore di successo che, sebbene sposato, non rinuncia a corteggiare le altre donne.
La ragazza, dopo essere stata sedotta da Charles, ne diventa l’amante e viene da lui introdotta ai piaceri del sesso spregiudicato.
Quando Charles, stancatosi di Gabrielle, decide di lasciarla, lei, sebbene inizialmente titubante, accetta la corte di Paul Gaudens (Benoît Magimel), un giovane ricco e di bell’aspetto, ma psicologicamente instabile; poco dopo i due si sposano.
La gelosia di Paul nei confronti di Gabrielle, tornata ad essere oggetto del corteggiamento di Charles, lo porterà inaspettatamente a compiere un gesto estremo…

Dopo averci affascinato negli ultimi anni con pellicole del calibro di “Grazie per la cioccolata” o “Il fiore del male”, ne “L’innocenza del peccato” Chabrol tornò a prendere di mira i vizi e le contraddizioni della borghesia francese.
Protagonista assoluta di questa intensa storia di passione e morte ambientata nella provincia lionese è la giovane Gabrielle, astro nascente della tv, la cui freschezza e sensualità la rendono irresistibile agli occhi degli uomini che la circondano.
Anche Charles, maturo scrittore di successo, non si dimostra immune al suo fascino e, dopo averla sedotta, la rende partecipe delle sue perversioni, introducendola in un mondo a lei fino allora sconosciuto.
Mentre per Gabrielle questo suo rapporto con un uomo molto più anziano è animato da una passione travolgente, per Charles si tratta solamente di una delle tante relazioni extraconiugali alle quali è abituato, tanto più che non appare minimamente intenzionato a divorziare da sua moglie.
Chi, invece, sembra amare incondizionatamente Gabrielle, è Paul, la cui ricchezza potrebbe garantirle una posizione socialmente invidiabile, sebbene la ragazza non provi per lui lo stesso sentimento totalizzante che nutre invece per Charles.
Sposando Paul, Gabrielle crede erroneamente di poter uscire da quell’impasse emotivo in cui è sprofondata a seguito dell’abbandono di Charles; a ogni modo la sua sofferenza rappresenterà per lei un’occasione per intraprendere un percorso di crescita personale e, soprattutto, per comprendere tutta l’ipocrisia dell’ambiente che la circonda.
Le interpretazioni dei tre attori principali sono semplicemente impeccabili, a partire da quella di Benoît Magimel, assolutamente credibile nella parte del giovane rampollo di una famiglia benestante con un grave trauma infantile alle spalle.
La scena finale in cui Gabrielle viene segata in due da un illusionista durante uno dei suoi numeri di magia, sta proprio a simboleggiare il dilemma che drammaticamente dilania la vita della giovane donna.



Titolo: L’innocenza del peccato ( La fille coupée en deux )
Regia: Claude Chabrol
Interpreti: Ludivine Sagnier, François Berléand, Benoît Magimel
Nazionalità: Francia
Anno: 2007

domenica 27 gennaio 2013

“Questa è la mia vita” di Jean-Luc Godard: il tragico destino di un’eroina moderna.


Scritto e diretto da Jean-Luc Godard nel 1962, “Questa è la mia vita” si aggiudicò quello stesso anno il premio speciale della giuria alla Mostra del Cinema di Venezia.
Nei panni di Nana, la sfortunata protagonista di questa pellicola, troviamo la bellissima Anna Karina, all’epoca moglie nonché musa ispiratrice del regista francese.
Nella Parigi dei primi anni sessanta, Nana (Anna Karina) lavora in un negozio di dischi, sebbene aspiri  a diventare un’attrice.
Poiché i soldi che guadagna come commessa non le sono mai sufficienti per arrivare a pagarsi l’affitto, la ragazza inizia a prostituirsi lungo i marciapiedi della città; è qui che incontra Raoul (Sady Rebbot): colui che si offre di farle da protettore e che, contemporaneamente, la introduce seriamente alla professione.
Quando Nana, che nel frattempo si è innamorata di uno dei suoi clienti, comunica a Raoul la sua decisione di voler abbandonare quell’ambiente, lui, che non acconsente alla sua richiesta, decide di “venderla” ad altri protettori.
Durante le trattative, a causa di una divergenza sul prezzo, un colpo di pistola raggiunge accidentalmente Nana, ponendo così tragicamente fine alla sua breve esistenza…


Sebbene Nana ci venga presentata da Godard in modo alquanto frammentario, tramite l’utilizzo di 12 “quadri” ( così da lui definiti nell’introduzione del film ), riusciamo comunque a farci un’idea sufficientemente precisa del suo passato, delle sue personali ambizioni e, soprattutto, del suo tragico destino.
Consapevole della propria bellezza, la giovane donna vive costantemente in bilico tra il sogno delle allettanti luci dello spettacolo e la realtà di un’esistenza buia in cui, per poter continuare a pagare l’affitto  dell’appartamento in cui vive, è costretta a prostituirsi.
Il personaggio interpretato dalla Karina, affascina lo spettatore con la bellezza del suo viso, il magnetismo del suo sguardo, l’eleganza dei suoi gesti e, al tempo stesso, lo intenerisce con la semplicità dei suoi discorsi.
In effetti, nonostante lo squallore dell’ambiente che la circonda, Nana riesce a conservare quella purezza d’animo che la spinge a continuare a credere nell’amore; ma, quando pensa di averlo finalmente trovato, il  progetto di dare una svolta significativa alla propria esistenza sarà rapidamente  destinato a naufragare.
“Questa è la mia vita” prese spunto da un’inchiesta giornalistica sulla prostituzione e, sebbene risalga agli inizi degli anni sessanta, conserva ancora oggi una certa “attualità” proprio per la tipologia delle tematiche trattate; in effetti, nell’epoca in cui viviamo è tutt’altro che difficile riuscire ad individuare tante altre “Nana”, i cui sogni, però, fortunatamente non sono sempre destinati a infrangersi in modo così tragico come quelli dell’eroina di Godard.
Per finire, una curiosità. In una delle scene finali del film, vediamo l’auto in cui sta viaggiando Nana passare di fronte a un cinema di Parigi in cui è in programmazione “Jules e Jim”, la celeberrima pellicola di Francois Truffaut: un altro dei grandi e indimenticati maestri della Nouvelle Vague francese.




Titolo: Questa è la mia vita ( Vivre sa vie )
Regia: Jean-Luc Godard
Interpreti: Anna Karina, Sady Rebbot, Gilles Queant, André S. Labarthe
Nazionalità: Francia
Anno: 1962


domenica 20 gennaio 2013

“Quasi amici” di Olivier Nakache e Eric Toledano: la vera storia di un’amicizia che non conosce ostacoli.


Ispirandosi alla vita del miliardario tetraplegico Philippe Pozzo di Borgo e del suo badante Yasmin Abdel Sellou, con “Quasi amici” i due registi Olivier Nakache e Eric Toledano sono riusciti a portare sullo schermo una toccante storia di amicizia in cui le scene esilaranti si alternano a quelle in cui lo spettatore è portato a riflettere e, in alcuni casi, perfino a commuoversi.
Protagonisti della pellicola sono il veterano François Cluzet e il travolgente Omar Sy, recente rivelazione del cinema francese. 
Driss (Omar Sy) è un giovane senegalese la cui vita si svolge nei tristi sobborghi della periferia parigina. Recentemente uscito di prigione e in costante conflitto con la propria famiglia adottiva, mira esclusivamente a che il sussidio statale gli venga periodicamente riconfermato.
Quando il facoltoso Philippe (François Cluzet), che un incidente ha costretto per tutta la vita su di una sedia a rotelle, decide che sarà lui a doverlo seguire ventiquattro ore su ventiquattro, ecco che l’esistenza di Driss subisce un profondo e inatteso stravolgimento.
Allo stesso tempo, però, la sua incredibile vitalità e schiettezza porteranno una vera e propria ondata di aria fresca nell’ambiente estremamente rigido e formale a cui Philippe appartiene. In conseguenza di ciò anche la vita di quest’ultimo cambierà, e in meglio; soprattutto dopo che, grazie proprio all’aiuto di Driss, Philippe avrà finalmente incontrato Elénore: la donna con la quale l’uomo ha intrattenuto un lungo rapporto epistolare…



Diventato nel giro di poche settimane il secondo film francese di maggior successo di sempre, dopo il “Giù al nord” di Dany Boon, la storia di “Quasi amici” si sviluppa dall’inaspettato incontro tra Philippe e Driss: due individui appartenenti a due mondi diametralmente opposti.
Philippe è un uomo maturo che, sebbene circondato dal lusso e dalla ricchezza, è purtroppo costretto a fare completamente affidamento sugli altri, a seguito di un incidente di parapendio che lo ha reso completamente paralizzato.
Driss, al contrario, è un giovane uomo di colore a cui di certo non manca la voglia di vivere, sebbene abbia dei problemi con la giustizia e una situazione familiare alquanto complicata.
Quando Driss si presenta presso la sontuosa dimora di Philippe, il quale è in procinto di assumere un nuovo assistente personale, si ritrova improvvisamente catapultato in un ambiente a lui tutt’altro che familiare e, sebbene la sua intenzione sia solamente quella di ottenere il rinnovo del suo sussidio statale, decide di accettare l’ardua sfida lanciatagli dallo sfortunato milionario.
Nel corso delle settimane che trascorreranno insieme, ciascuno dei due avrà la possibilità di conoscere il passato e il presente dell’altro.
Inoltre, mentre Driss verrà lentamente introdotto da Philippe nel mondo dell’arte, quest’ultimo, grazie ai consigli del suo giovane assistente, apprenderà alcune verità sulle donne e sull’amore e, al tempo stesso, acquisirà una nuova prospettiva della vita che lo porterà a guardare oltre il suo handicap.
Mentre François Cluzet è riuscito ad emozionarci anche questa volta con un’altra delle sue magistrali interpretazioni, Omar Sy si è imposto al pubblico internazionale con la sua dirompente  simpatia che lo scorso anno gli ha permesso di aggiudicarsi, tra l’altro,  il César come miglior attore.
A ogni modo “Quasi amici” verrà ricordato negli anni a venire, oltre che per la bravura dei due sopra citati interpreti principali, per essere riuscito a trattare con il sorriso un tema alquanto delicato come quello della disabilità fisica, soprattutto senza cadere in facili e inutili pietismi.
Proprio perché ispirata a una storia realmente accaduta, è quindi una pellicola che ci invita a credere che anche le difficoltà più insormontabili possano, in un modo o nell’altro, essere superate.  



Titolo: Quasi amici ( Intouchables )
Regia: Olivier Nakache, Eric Toledano
Interpreti: François Cluzet, Omar Sy, Clotilde Mollet, Audrey Fleurot
Nazionalità: Francia, 
Anno: 2011

sabato 12 gennaio 2013

“Paris, je t’aime”: un romantico affresco della Ville Lumière, dal sapore decisamente internazionale.


Presentato alla 59a edizione del Festival di Cannes, nella sezione “Un certain régard”, “Paris, je t’aime” è un film collettivo e corale, composto da una ventina di cortometraggi diretti da altrettanti registi di fama internazionale.
A ognuno dei venti arrondissement in cui è suddivisa la capitale francese, è stato infatti dedicato un episodio, sebbene in fase di montaggio finale siano stati esclusi quelli girati dal francese Raphaël Nadjari e dal danese Christoffer Boe, rispettivamente nell’XI e XV arrondissement. 
L’amore, nelle sue molteplici sfumature, è indubbiamente il fil rouge che unisce le singole storie interpretate da un supercast; e così, partendo dal romantico quartiere di Montmartre, in cui facciamo la conoscenza di un uomo (Bruno Podalydès) al quale sembra non mancare nulla se non proprio l’amore, ci muoviamo lentamente alla (ri)scoperta di Parigi, attraversando anche luoghi non abitualmente frequentati dai turisti, e venendo contemporaneamente in contatto con le vicende di una variopinta girandola di personaggi.
Giusto per citare solo alcuni degli episodi di cui si compone “Paris, je t’aime”, in quello diretto dal regista americano Richard LaGravenese, Fanny Ardant e Bob Hoskins si incontrano in un locale a luci rosse di Pigalle nel tentativo di riaccendere la passione all’interno della loro coppia; mentre in quello diretto da Gérard Depardieu e Frédéric Auburtin, Gena Rowlands e Ben Gazzara si danno appuntamento in un caffè del Quartiere Latino per discutere insieme i dettagli del loro imminente divorzio, sebbene sia evidente che tra loro due esiste ancora una forte complicità.
Il cast internazionale di “Paris, je t’aime” annovera al suo interno anche il bravissimo Sergio Castellitto
La regista spagnola Isabel Coixet lo ha infatti diretto nello straziante episodio ambientato nel quartiere della Bastiglia, dove un uomo in procinto di lasciare la moglie, si innamora nuovamente di lei dopo aver appreso che le restano solamente più pochi giorni di vita. 
Nel 1965, sei registi appartenenti alla Nouvelle Vague, si erano già cimentati in un esperimento simile con “Parigi di Notte”, riscuotendo un enorme successo a livello internazionale.
Dopo circa quarant’anni, anche “Paris, je t’aime” è stato ben accolto sia dal pubblico che dalla critica ( nonostante quella francese non sempre si sia espressa favorevolmente nei confronti della pellicola ).
Sebbene non tutti e diciotto gli episodi possano ritenersi oggettivamente riusciti, “Paris, je t’aime” è nel complesso un gradevole affresco della Villa Lumière, dal sapore decisamente internazionale; una pellicola indubbiamente consigliata a chi desidera prendere alcuni spunti per una vacanza a Parigi alternativa a quelle che abitualmente ci vengono proposte dalla miriade di guide turistiche attualmente in commercio.



Titolo: Paris, je t’aime 
Regia: Olivier Assayas, Frédéric Auburtin, Emmanuel Benbihy, Guerinder Chadha, Sylvain Chomet, Ethan e Joel Coen, Isabel Coixet, Wes Craven, Alfonso Cuarón, Gérard Depardieu, Christopher Doyle, Richard LaGravenese, Vincenzo Natali, Alexander Payne, Walter Salles, Olivier Schmitz, Nobuhiro Suwa, Daniela Thomas, Tom Tykwer, Gus Van Sant. 
Interpreti: Juliette Binoche, Steve Buscemi, Sergio Castellitto, Willem Dafoe, Ben Gazzara, Gena Rowlands, Natalie Portman, Nick Nolte. 
Nazionalità: Francia, Germania 
Anno: 2006

sabato 5 gennaio 2013

“Non drammatizziamo… è solo questione di corna!” di François Truffaut: il quarto episodio della saga “Antoine Doinel”.


Diretto nuovamente da François Truffaut, nel 1970, per la quarta volta, Jean-Pierre Léaud tornò a vestire i panni dell’alter ego del regista francese in “Non drammatizziamo… è solo questione di corna!
Due anni dopo “Baci rubati”, ritroviamo l’immaturo Antoine e la dolce Christine alle prese con la loro prima crisi coniugale.
Antoine (Jean-Pierre Léaud) e Christine (Claude Jade) sono due giovani coniugi che conducono una vita tranquilla in attesa del loro primogenito.
Mentre lei impartisce lezioni di violino, lui si guadagna da vivere dedicandosi alla colorazione artificiale dei fiori.
Quando Antoine decide all’improvviso di cercarsi un altro impiego, a seguito di un equivoco viene assunto in una grossa società.
Un giorno, mentre si trova sul posto di lavoro, vede Kyoko (Hiroko Berghauer) e, irretito dal fascino orientale della donna, ne diviene poco dopo l’amante; quando Christine scopre inaspettatamente che Antoine la tradisce, lo caccia immediatamente di casa.
A poco a poco, però, l’uomo si accorge che la sua passione per Kyoko si sta affievolendo e, contemporaneamente, tenta di riconquistare Christine, la quale, sebbene ferita da Antoine, continua ad amarlo.
Un anno dopo, li ritroveremo nuovamente insieme…

Dopo essersi dichiarati il loro amore nel finale di “Baci rubati”, in “Non drammatizziamo… è solo questione di corna!” ritroviamo Antoine e Christine sposati e in attesa del loro primo figlio.
Mentre Christine non appare più la ragazza timida di un tempo, Antoine, la cui simpatia e originalità continuano a sorprenderci e divertirci, sembra comunque non essere ancora riuscito a ritagliarsi un ruolo ben definito all’interno della società.
In questo quarto episodio della saga a lui dedicata, lo vediamo infatti passare nuovamente da un lavoro a un altro; ed è proprio a seguito di questo ennesimo cambiamento che riguarda la sua vita “professionale” che conosce e si invaghisce di Kyoko: una misteriosa e affascinante donna giapponese.
Con lei Antoine intraprende una breve, ma a ogni modo intensa, relazione extra-coniugale proprio poco dopo essere diventato papà; dimostrandosi così, per l’ennesima volta, incapace di assumersi seriamente le proprie responsabilità.
Quando Christine scopre che il marito ha un’amante, viene inevitabilmente a incrinarsi quell’atmosfera idilliaca e spensierata che aveva caratterizzato i primi anni del loro matrimonio; ma a ogni modo l’amore e la voglia di continuare a stare insieme permetteranno loro di superare questa prima crisi coniugale.
Il titolo scelto per la sua distribuzione in Italia, rispetto a quello originale francese, ha indubbiamente contribuito a far perdere a questa pellicola parte di quel tono leggiadro che, al contrario, contraddistingueva la sceneggiatura di “Baci rubati”.
Anche in questo film non mancano comunque i momenti divertenti, e questo grazie non solamente alle interpretazioni di Jean-Pierre Léaud e Claude Jade.
Per finire, una curiosità. In una breve scena ambientata in una stazione vediamo Monsieur Hulot, il dinoccolato personaggio creato e interpretato da Jacques Tati, esibirsi in una delle sue inconfondibili gag; è un piccolo omaggio di François Truffaut all’indimenticabile cineasta francese.





Titolo: Non drammatizziamo… è solo questione di corna ( Domicile conjugal )
Regia: François Truffaut
Interpreti: Jean-Pierre Léaud, Claude Jade, Hiroko Berghaur, 
Nazionalità: Francia
Anno: 1970