martedì 1 maggio 2018

“L’amore secondo Isabelle” di Claire Denis: il continuo e disperato peregrinare di una donna alla ricerca dell’anima gemella.



Isabelle ( Juliette Binoche ) è un’estrosa pittrice di mezza età, divorziata e con una figlia.
Dall’aspetto ancora decisamente piacente, la donna non vuole assolutamente arrendersi  all’idea di rimanere da sola.
Alla disperata ricerca di un amore che possa nuovamente riempire le sue giornate, intraprende una serie di relazioni sentimentali che puntualmente si rivelano un disastro, e dalle quali ne esce alquanto delusa.
Dopo aver interrotto la sua storia con un arrogante banchiere, che si dichiara pazzo di lei ma che allo stesso tempo le confessa candidamente di non voler lasciare sua moglie, decide quindi di concedersi a un attore insoddisfatto della propria vita, per poi ritrovarsi tra le braccia di uno sconosciuto incontrato casualmente in discoteca con il quale crede di essere finalmente approdata a un porto sicuro; ma le evidenti differenze tra loro due finiscono ben presto per decretare la fine del loro rapporto, lasciando Isabelle sempre più insicura di se stessa.
In questo suo continuo peregrinare alla ricerca dell’anima gemella, Isabelle arriva perfino a rivolgersi a un sensitivo; riuscirà quest’ultimo a infonderle finalmente la fiducia necessaria a guardare al futuro con maggiore ottimismo?


Partendo da “Frammenti di un discorso amoroso”, il celebre saggio di Roland Barthés, con questa sua pellicola la regista ha portato sullo schermo il complesso ritratto di una donna all’apparenza indipendente e spregiudicata, ma in realtà prigioniera delle sue mille paure e insicurezze, e proprio per questo estremamente bisognosa di amare ma soprattutto di essere amata.
In realtà “L’amore secondo Isabelle va ben oltre tutto ciò; in effetti nell’affrontare il modo in cui, con evidente difficoltà, la protagonista si rapporta con l’universo maschile, Claire  Denis  finisce inevitabilmente per spostare l’attenzione su ciò che di negativo caratterizza una certa tipologia di uomini.
L’interpretazione di Juliette Binoche  è semplicemente straordinaria; in questo tragicomico gioco delle parti l’attrice francese si muove infatti con incredibile disinvoltura, riuscendo a far brillare tra le lacrime e i sorrisi  quel bel sole interiore” che Isabelle porta dentro di sé, e che il corpulento veggente interpretato da Gérard Dépardieu ( illustre cameo del film insieme a quelli di Josiane Balasko e Valeria Bruni Tedeschi ) le consiglia di non smettere mai di cercare.



Titolo: L’amore secondo Isabelle ( Un beau soleil intérieur )
Regia: Claire Denis
Interpreti: Juliette Binoche, Gérard Dépardieu, Josiane Balasko, Valeria Bruni Tedeschi
Nazionalità: Francia
Anno: 2017

mercoledì 25 aprile 2018

“Il medico di campagna” di Thomas Lilti: un uomo e il suo incrollabile senso del dovere.


Sono anni che Jean-Pierre ( François Cluzet ) si occupa da solo della salute di una piccola comunità rurale, venendo in soccorso dei suoi pazienti a qualunque ora del giorno e della notte, e incurante delle condizioni atmosferiche, ogni qualvolta viene richiesto un suo intervento. 
Il giorno in cui gli viene diagnosticato un tumore cerebrale, dovendo conseguentemente seguire un ciclo di cure, gli viene altresì consigliato di mettersi a riposo, e quindi di cercare al più presto un sostituto che nel frattempo possa occuparsi dei suoi pazienti. 
Sebbene Jean-Pierre si dimostri fin da subito restio a seguire quel consiglio, ben presto si ritrova comunque costretto a collaborare con Nathalie ( Marianne Denicourt ), un’ex-infermiera che ha da poco conseguito la laurea in medicina. 
L’uomo fin da subito cerca in ogni modo di osteggiare l’operato della collega, arrivando perfino a scontrarsi verbalmente con lei; con il tempo, però, la donna riuscirà a conquistarsi la stima di Jean-Pierre e ( forse ) a trasformare la natura del loro rapporto in qualcosa che va ben oltre la professione medica…


Dopo aver affrontato in “Hippocrate” l’iniziazione di un giovane uomo alla professione medica, il regista torna a occuparsi di medicina, e più in generale delle condizioni del sistema sanitario francese, portando questa volta sullo schermo la storia di un instancabile medico  di campagna.
Thomas Lilti, che prima di dedicarsi alla regia cinematografica esercitava lui stesso l’antica professione di Ippocrate, tratteggia in questa sua pellicola l’intenso ritratto di un uomo profondamente combattuto tra il senso di responsabilità nei confronti dei suoi amati pazienti e l’improrogabile esigenza di sottoporsi alle cure mediche richieste dalla sua malattia.
Tutto ciò si sviluppa sullo sfondo dei tranquilli paesaggi della periferia francese, lontana dalle grandi città e dai nuovi e super attrezzati centri ospedalieri, all’interno dei quali sembra però non trovare più spazio la medicina tradizionale - di cui Jean-Pierre è ancora un fervente praticante - nella quale l’ascolto e il sostegno morale al paziente rivestono un ruolo determinante nel suo percorso verso la guarigione.
Questo non è ciò che almeno inizialmente sembra pensare Nathalie, ed è principalmente tale divergenza di vedute alla base dei loro contrasti; fortunatamente, tali incomprensioni verranno  però ben presto superate perché, come avrà modo di appurare anche lo stesso Jean-Pierre, purché prevalga sempre il buon senso e il rispetto del paziente, non si può disconoscere l’importanza dei progressi che quotidianamente vengono registrati in campo medico e scientifico.
François Cluzot si riconferma uno degli attori di punta dell’attuale cinema d’oltralpe, affiancato questa volta dall’affascinante Marianne Denicourt, i cui sguardi e silenzi sono più eloquenti di mille parole. 


Titolo: Il medico di Campagna ( Médecin de campagne )
Regia: Thomas Lilti
Interpreti: François Cluzet, Marianne Denicourt, Christophe Odent, Patrick Descamps
Nazionalità: Francia
Anno: 2016



venerdì 6 aprile 2018

“120 battiti al minuto” di Robin Campillo: il duro e struggente racconto di una battaglia non ancora conclusa.


Parigi, primi anni novanta. Act Up Parigi è un’associazione di attivisti che già da alcuni anni si batte per la tutela dei diritti dei malati di Aids.
A questo proposito, sono soliti riunirsi settimanalmente per discutere le varie iniziative finalizzate a sensibilizzare le forze politiche, come pure le case farmaceutiche, sui drammatici risvolti di una malattia che in poco più di dieci anni ha già mietuto in tutto il mondo migliaia di vittime tra gli omosessuali, tossicodipendenti e prostitute, e che minaccia di espandersi a quelle che, almeno inizialmente, venivano ritenute categorie “non a rischio”.
Sono gli anni in cui parlare di Aids significa affrontare un argomento alquanto scomodo, una questione che riguarda esclusivamente una minoranza ben definita della popolazione; ed è proprio nel tentativo di rompere questi tabù che gli attivisti di Act Up Parigi si muovono, ricorrendo molto spesso a metodi non proprio ortodossi pur di riuscire ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica su tale problematica.
Tra i vari militanti dell’associazione spiccano Sean ( Nahuel Pérez Biscayart ), che ha contratto l’Aids quando aveva solamente 16 anni, e che pur dovendo combattere quotidianamente contro la malattia, è costantemente impegnato nelle iniziative dell’associazione, e Nathan ( Arnaud Valois ), da poco entrato a far parte del collettivo. 
A seguito della loro frequentazione, tra i due si sviluppa un rapporto particolarmente intimo; rapporto che tende poi a intensificarsi a mano a mano che le condizioni di salute di Sean peggiorano drasticamente…


Dalla sua presentazione al Festival di Cannes dello scorso anno, dove si è aggiudicato il Grand Prix, alla cerimonia dei César 2018 nel corso della quale è stato premiato come miglior film, il lungo percorso di “120 battiti al minuto” è stato lastricato di innumerevoli e meritati riconoscimenti.
In qualità di ex militante di Act Up Parigi, Robin Campillo ha voluto rievocare in questo suo terzo film da regista gli anni estremamente difficili di un movimento che, parimenti a quello che stavano già facendo i suoi omologhi americani, ha condotto strenuamente una battaglia ( anche politica ) che ancora oggi, nonostante i numerosi e importanti passi avanti fatti dalla ricerca scientifica, non può purtroppo ritenersi conclusa.
I 120 battiti al minuto del titolo  sono quelli della musica techno, molto in voga negli anni novanta, al ritmo della quale i vari membri di Act Up Parigi erano soliti scatenarsi durante le loro lunghe notti trascorse in discoteca, dimostrando così tutta la loro voglia di vivere, e soprattutto di amare, pur ritrovandosi nell’impossibilità di programmare la loro vita nel lungo periodo.
“120 battiti al minuto” è un’opera dura e struggente al tempo stesso, che non risparmia nulla allo spettatore, ma che proprio per questo motivo riesce a catapultarlo nella triste realtà dei malati di Aids.
Sebbene, almeno dalla visione delle prime scene, si abbia l’impressione che la pellicola di Campillo sia stata sviluppata con un freddo taglio documentaristico, ben presto non si può fare a meno di rimanere emotivamente coinvolti nelle drammatiche vicende dei vari personaggi presentati.
Oltre alla bravissima Adèle Haenel ( qui in un ruolo relativamente marginale ), una menzione particolare spetta all’attore argentino Naheul Pérez Biscayart  che per la sua intensa e sofferta interpretazione di Sean è stato premiato con il César 2018 come migliore promessa maschile, e che lo scorso anno il pubblico francese ha avuto modo di apprezzare anche in un'altra pellicola campione di incassi: il commovente “Arrivederci lassù”, diretto e interpretato dal poliedrico Albert Dupontel.



Titolo: 120 battiti al minuto ( 120 battements par minute )
Regia: Robin Campillo
Interpreti: Adèle Haenel, Naheul Pérez Biscayart, Arnaud Valois, Antoine Reinartz
Nazionalità: Francia
Anno: 2017

sabato 31 marzo 2018

“Per mio figlio” di Frédéric Mermoud: gli imprevedibili risvolti di un desiderio di vendetta.



Losanna. Diane ( Emmanuelle Devos ) fugge dalla clinica in cui è stata ricoverata dopo la tragica morte del figlio,  investito da un’auto pirata.
A seguito delle indagini svolte dall’investigatore privato a cui si è rivolta, viene a sapere che, al momento dell’incidente, alla guida dell’autovettura - una Mercedes color moka – si trovava una donna dai capelli biondi residente a Evian, in Francia; ed è proprio lì che Diane si reca, in modo da poter mettere in atto la sua vendetta.
Ben presto riesce quindi ad avvicinare Marlène ( Nathalie Baye ), piacente titolare di un centro estetico; anche lei sta attraversando un periodo particolarmente difficile della sua esistenza.
In crisi con il proprio compagno ( tra l’altro molto più giovane di lei ), vive un rapporto alquanto conflittuale con la figlia nata dal suo primo matrimonio.
Insospettita ma al tempo stesso incuriosita dall’improvviso arrivo di quella donna, Marlène finisce per diventarne amica e confidarsi con lei; questo, almeno, fino a quando  Diane non le rivelerà le sue effettive intenzioni…


Tratto da un  romanzo di Tatiana De Rosnay, e ambientato sullo sfondo di grigi paesaggi che spaziano dalla Svizzera alla Francia, "Per mio figlio"  riesce a farsi apprezzare per la sottile tensione percepita dallo spettatore mentre segue passo passo le varie fasi di un ben preciso progetto di vendetta, escogitato da una donna privata del suo bene più grande, ma soprattutto per il particolare tipo di rapporto che lentamente si sviluppa tra due madri, apparentemente così diverse tra loro, ma che in realtà, sebbene su due fronti diversi, si ritrovano costrette a fare i conti con il proprio dramma.
In effetti  Frédéric Mermoud finisce ben presto per concentrarsi sull’elemento fortemente emotivo e psicologico della storia, evidenziando al tempo stesso gli imprevedibili risvolti di un desiderio di vendetta.
Per fare ciò si avvale della preziosissima collaborazione di due straordinarie interpreti: Emmanuelle Devos e Nathalie Baye ci consegnano infatti un intenso e sofferto spaccato dell’universo femminile dove, malgrado tutto, la comprensione e il senso di solidarietà finiscono alla fine per prevalere.




Titolo: Per mio figlio ( Moka )
Regia: Frédéric Mermoud
Interpreti: Nathalie Baye, Emmanuelle Devos, David Clavel, Diane Rouxel, Olivier Chantreau, Samuel Labarthe, Jean-Philippe Écoffey, Marion Reymond, Paulin Jaccoud.
Nazionalità: Francia, Svizzera
Anno: 2016

martedì 20 marzo 2018

“Quello che non so di lei” di Roman Polanski: un thriller estremamente intrigante, costantemente in bilico tra finzione e realtà.


Dopo l’incredibile successo di vendite ottenuto dal suo libro incentrato sulla figura della madre morta suicida, Delphine Dayrieux ( Emmanuelle Seigner ) cade in una profonda crisi di ispirazione.
Contemporaneamente, inizia a ricevere una serie di lettere anonime, nelle quali viene accusata di aver reso pubblici, solo ed esclusivamente per denaro, alcuni fatti relativi alla propria famiglia.
Per la scrittrice le cose sembrano però prendere una piega del tutto differente il giorno in cui, durante un firmacopie, incontra Lei ( Eva Green ), una giovane donna che si dichiara fin da subito una sua grandissima ammiratrice.
Affascinata da quella figura alquanto enigmatica, Delphine instaura con lei un rapporto sempre più stretto,  accettando perfino di seguire i suoi consigli nel disperato tentativo di riuscire a superare il blocco creativo che la affligge ormai da troppo tempo.
Ma quali sono le vere intenzioni di quella donna che, giorno dopo giorno, sembra assumere un ruolo sempre più predominante nella vita di Delphine? 


Riprendendo alcune tematiche a lui particolarmente care, già affrontate nei suoi precedenti film, con “Quello che non so di lei” il regista di origini polacche ha realizzato un thriller estremamente intrigante, costantemente in bilico tra finzione e realtà.
Partendo dall’omonimo romanzo di Delphine de Vigan, e avvalendosi per la stesura della sceneggiatura della preziosa collaborazione di Olivier Assayas, con la sua ormai ben nota maestria Roman Polanski è riuscito a sviluppare un teso e crudele gioco al massacro tutto al femminile.
Protagoniste assolute della vicenda sono infatti Delphine e Lei; estremamente diverse caratterialmente, ma accomunate dalla passione per la scrittura, a poco a poco le due donne danno vita a un rapporto tanto ambiguo quanto pericoloso, per quanto i ruoli di vittima e carnefice tendano spesso a confondersi tra loro; e questo soprattutto in considerazione delle innumerevoli sfaccettature che caratterizzano questi due personaggi,  magistralmente interpretati da una sofferta Emmanuelle Seigner e una Eva Green particolarmente inquietante.


  
Titolo: Quello che non so di lei ( D’après une histoire vraie )
Regia: Roman Polanski
Interpreti: Emmanuelle Seigner, Eva Green, Vincent Perez
Nazionalità: Francia, Belgio, Polonia
Anno: 2017


domenica 11 marzo 2018

“Parliamo delle mie donne” di Claude Lelouch: il complesso ritratto di una famiglia decisamente allargata.



Dopo un’intera vita passata in giro per il mondo, a documentare con la sua macchina fotografica le varie guerre in corso, Jacques Kaminski ( Johnny Hallyday ) decide finalmente di ritirarsi in un’elegante baita sulle Alpi francesi da lui recentemente acquistata.
Questo suo allontanamento da Parigi coincide tra l’altro con la fine della relazione con la sua compagna, l’ultima di una lunga serie di cui fanno parte anche le madri delle sue  quattro figlie – Primavera, Estate, Autunno e Inverno – nei confronti delle quali si è sempre dimostrato un padre decisamente poco presente.
Abituato da sempre ad avere una donna al suo fianco, Jacques intraprende poco dopo una nuova storia d’amore con Nathalie ( Sandrine Bonnaire ) – l’agente immobiliare che gli ha venduto la sua nuova dimora e che, insieme ai due figli, si trasferisce a vivere da lui.
Sebbene tutto ciò possa apparire come il felice inizio di una nuova fase della sua vita, in realtà Jacques soffre terribilmente per la lontananza delle sue figlie che, oramai adulte e abituatesi alla sua assenza, conducono la propria esistenza in perfetta autonomia.
Frédéric ( Eddy Mitchell ) – amico, nonché medico del rinomato fotografo -  intuito il suo profondo disagio interiore, tramite un alquanto discutibile stratagemma riesce comunque a far ricongiungere le quattro ragazze con il padre.
L’inaspettato e sfortunato evolversi degli eventi segnerà però ben presto la fine di quella ritrovata serenità familiare…


Parliamo delle mie donne” tratteggia il complesso ritratto di una famiglia decisamente allargata.
E’ un’opera dal carattere spiccatamente autobiografico in cui Claude Lelouch ha voluto affidare il ruolo del suo alter ego al recentemente scomparso Johnny Hallyday, vera e propria icona della musica francese, ma che il pubblico ha comunque avuto modo di apprezzare nel corso della sua lunga e fortunata carriera anche per le sue frequenti incursioni nel mondo della settima arte.
Proprio come accade al protagonista del suo film, è molto probabile che anche il regista con il passare degli anni abbia iniziato ad avvertire un crescente senso di colpa nei confronti dei suoi sette figli, ma soprattutto il desiderio di vederli riuniti tutti assieme.
In effetti, se per un attimo concentriamo la nostra attenzione sul titolo originale della pellicola ( che in italiano suonerebbe come “Bastardo, ti amiamo” ) possiamo farci un’idea già abbastanza precisa di ciò che, secondo Lelouch, la sua nutrita prole pensa di lui.
Sempre secondo la visione del regista, la famiglia ( anche nelle sue più svariate declinazioni ) e i legami di sangue riescono comunque a trionfare; questo, però, a condizione che vi sia sempre la volontà e la capacità di perdonare, soprattutto fino a quando si è ancora in tempo per farlo.


Titolo: Parliamo delle mie donne  ( Salaud, on t’aime )
Regia: Claude Lelouch
Interpreti: Johnny Hallyday, Eddy Mitchell, Sandrine Bonnaire, Irène Jacob
Nazionalità: Francia
Anno: 2014

sabato 10 febbraio 2018

“C’est la vie – Prendila come viene” di Olivier Nakache e Eric Toledano: le tragicomiche disavventure di un navigato wedding planner.



E’ l’inizio di un nuovo giorno, e Max ( Jean-Pierre Bacri ) – affermato organizzatore di matrimoni – si sta recando presso un antico ed elegante castello nei dintorni di Parigi, dove seguirà in prima persona i preparativi del fastoso banchetto che si terrà lì quella stessa sera.
Giunto sul posto, trova ad attenderlo i suoi fedeli collaboratori che, loro malgrado, finiscono abitualmente per metterlo nei guai.
C’è Adèle ( Eye Haidara ), la sua irascibile e litigiosa assistente; James ( Gilles Lellouche ), il cantante che insieme alla sua sgangherata orchestra cerca maldestramente di intrattenere gli invitati con un repertorio forse fin troppo personale.
Guy ( Jean-Paul Rouve ), un fotografo amico di Max,  per il quale risulta sempre più difficile riuscire a strappare un ingaggio ai matrimoni, ma che comunque non perde occasione di ingozzarsi al buffet; e poi c’è un’esasperata Josiane ( Suzanne Clément ); stanca del suo ruolo d’amante, minaccia  infatti di interrompere la sua relazione con Max nel caso in cui quest’ultimo non si decida definitivamente a separarsi dalla moglie.
In poco meno di ventiquattr’ore, l'uomo si ritroverà così ad affrontare un’interminabile serie di situazioni tanto difficili quanto imbarazzanti, che riuscirà a ogni modo a superare brillantemente grazie al suo innegabile senso pratico; e questo, ovviamente, con l’obiettivo di non deludere le aspettative dei suoi clienti, ma soprattutto di salvaguardare sempre e comunque il vero senso della festa…


Celebrato recentemente con una pioggia di nomination ai prossimi César, dopo l’enorme successo di pubblico e di critica riscosso in Francia, “C’est la vie – Prendila come viene” è finalmente uscito anche nelle sale italiane.
In questa loro ultima pellicola Olivier Nakache e Eric Toledano mettono in scena le tragicomiche disavventure di un navigato wedding planner, costretto quotidianamente a barcamenarsi  tra il rispetto delle pressanti regole imposte all’esercizio della sua professione e le più disparate richieste provenienti dai suoi clienti, cercando al tempo stesso di porre rimedio agli innumerevoli problemi che con la loro eccessiva approssimazione i suoi dipendenti  puntualmente gli creano.
I due registi francesi, già ben noti al pubblico italiano  per il travolgente “Quasi amici”, hanno realizzato una divertentissima commedia corale che funziona con la stessa precisione di un orologio svizzero; tutto merito di una sceneggiatura che non presenta sbavature e che trova il suo punto di forza in dialoghi veloci e frizzanti.
In un crescendo di situazioni decisamente esilaranti, allo spettatore sono garantite due ore di piacevolissimo intrattenimento, grazie anche a uno straordinario cast di interpreti, tra i quali spicca su tutti Jean-Pierre Bacri; il personaggio da lui interpretato, sebbene all’apparenza alquanto burbero, si rivela in realtà il vero mattatore della festa.



Titolo: C’est la vie – Prendila come viene  ( Le sens de la fête )
Regia: Olivier Nakache e Eric Toledano 
Interpreti: Jean-Pierre Bacri, Gilles Lellouche, Jean-Paul Rouve, Vincent Macaigne
Nazionalità: Francia
Anno: 2017

domenica 28 gennaio 2018

“Le cose che verranno” di Mia Hansen-Løve: il riscatto di una donna alle prese con una nuova e inaspettata libertà.


Nathalie ( Isabelle Huppert ) – appassionata docente di filosofia di mezza età – trascorre le sue giornate dividendosi fra la scuola e la famiglia.
Con due figli oramai indipendenti, una madre costantemente bisognosa di attenzioni e un marito – Heinz ( André Marcon ) - anche lui insegnante, un giorno la sua vita prende  una piega del tutto inattesa.
A seguito della morte dell’anziana genitrice e, soprattutto, dell’abbandono da parte del coniuge per un’altra donna, Nathalie si ritrova infatti spiazzata da una nuova e inaspettata libertà.
L’amicizia con Fabien ( Roman Kolinka ) – un suo ex-alunno, nei confronti del quale nutre da sempre una profonda stima – e una nuova cognizione di sé le permetteranno a ogni modo di guardare con una ritrovata serenità e un rinnovato entusiasmo al futuro, e a tutte le cose che verranno…


Mia Hansen-Løve, dopo aver focalizzato nelle precedenti pellicole la sua attenzione sulla problematiche relative alla gioventù, ne “Le cose che verranno” sposta invece il suo sguardo verso le gioie e ( soprattutto ) i dolori dell’età matura, veicolando l’inequivocabile messaggio che non è mai troppo tardi per ricominciare una nuova vita.
La giovane regista francese affronta infatti con estremo garbo e sensibilità l’inesorabile passare del tempo, ponendo al centro della storia la vicenda di una donna non più giovane, la quale, dopo aver creduto che la propria esistenza fosse oramai destinata a scorrere per sempre lungo gli stessi binari, si ritrova improvvisamente a dover riorganizzare la propria vita a seguito della separazione dal marito.
La sua grande passione per la filosofia, di cui è anche una fervente insegnante, nonché la sua incredibile forza d’animo, dopo un primo e più che comprensibile  momento di incertezza, la spingeranno comunque a riprendere in mano le redini della propria esistenza nella consapevolezza  che, anche senza un compagno al suo fianco, ha intorno a sé tutto ciò che può renderla felice.
Diretta questa volta da uno dei più interessanti nuovi talenti del cinema europeo, Isabelle Huppert ci regala un’altra grande prova di recitazione; quello di Nathalie, infatti, va ad aggiungersi alla già lunga lista dei personaggi da lei interpretati nel corso della sua straordinaria carriera cinematografica.


Titolo: Le cose che verranno ( L'avenir )
Regia : Mia Hansen-Løve
Interpreti: Isabelle Huppert, André Marcon, Roman Kolinka, Edith Scob
Nazionalità: Francia
Anno: 2016


venerdì 29 dicembre 2017

“La ragazza senza nome” di Luc e Jean-Pierre Dardenne: l’elaborazione del senso di colpa di una giovane donna costantemente impegnata a servizio del prossimo.


Jenny Davin ( Adèle Haenel ) è una promettente dottoressa che esercita la sua professione nella città di Liegi.
Una sera, mentre si trova ancora nello studio presso il quale abitualmente visita i suoi pazienti, qualcuno suona al citofono ma, essendo già terminato l’orario delle visite, decide di non aprire.
Il giorno seguente, proprio nelle vicinanze di quell’ambulatorio, viene ritrovato il corpo senza vita di una donna, la cui identità purtroppo non è nota alle forze dell’ordine; a questo proposito, la polizia chiede a Jenny di poter visionare i nastri della telecamera di sorveglianza.
Poiché le successive verifiche stabiliscono che la vittima è proprio la persona che quella sera aveva citofonato allo studio di Jenny, quest’ultima, sconvolta per quanto accaduto, decide di intraprendere la propria indagine personale per scoprire chi fosse quella donna e, conseguentemente, poterle quindi dare una degna sepoltura…


Luc e Jean-Pierre Dardenne sono rinomati a livello mondiale per aver portato sullo schermo intensi e sofferti spaccati della quotidianità che si respira all’interno della periferia belga, dove problematiche come la disoccupazione, l’immigrazione e, più in generale, le differenze sociali appaiono più evidenti; e a questo proposito “La ragazza senza nome” non si presenta di certo come un’eccezione.
In effetti, anche in questa loro ultima pellicola i fratelli Dardenne tornano ad affrontare le tematiche a loro più care, in una storia che quasi fin dalle prime scene si tinge di giallo.
Protagonista della vicenda, però, non è un poliziotto o un detective professionista, bensì una giovane medico che, del tutto incidentalmente, si ritrova coinvolta in una vicenda che va ben oltre il suo quotidiano impegno a servizio del prossimo.
Nel tentativo di elaborare il suo senso di colpa per non aver risposto - senza minimamente immaginare le drammatiche conseguenze di quella decisione – a una richiesta di aiuto, decide così di lanciarsi in un’ossessiva ricerca della verità, al fine di giungere all’effettiva e tragica ricostruzione dei fatti.
Jenny Davin, con la sua apparente freddezza e soprattutto con il suo indiscutibile e coraggioso altruismo, va ad aggiungersi alla già lunga lista dei personaggi  dardenniani, ognuno dei quali si muove all’interno di un contesto caratterizzato dall’abbandono sociale.
Adèle Haenel è talmente brava che riesce a coinvolgere pienamente lo spettatore nell’ossessione che si impadronisce del suo personaggio, e che lo spinge a non arrendersi e ad andare avanti, nonostante le pesanti minacce ricevute.
Ad affiancarla ritroviamo ancora una volta con piacere un intenso Jérémie Rénier - attore feticcio dei due registi belga - in un ruolo a lui particolarmente congeniale.


Titolo: La ragazza senza nome ( La fille inconnue )
Regia : Luc e Jean-Pierre Dardenne
Interpreti: Adèle Haenel, Jérémie Renier, Olivier Gourmet, Fabrizio Rongione, Thomas Doret
Nazionalità: Belgio
Anno: 2016

domenica 3 dicembre 2017

“Happy End” di Michael Haneke: il caustico e pessimistico ritratto di una società destinata inevitabilmente all’autodistruzione.


Eve ( Fantine Harduin ) ha tredici anni, e dopo la separazione dei suoi genitori vive con la madre; dotata di una personalità alquanto introversa, la giovane documenta la sua quotidianità con l’ausilio della fotocamera del suo smart phone.
Un giorno, esasperata dal comportamento della genitrice, che riversa su di lei le sue innumerevoli frustrazioni, decide di avvelenarla.
A seguito del ricovero in ospedale della madre, Eve si trasferisce quindi a Calais, a casa del padre Thomas ( Mathieu Kassovitz ), che recentemente ha avuto un figlio da Anaïs ( Laura Verlinden ).
Eva ha così la possibilità di fare la conoscenza della zia Anne ( Isabelle Huppert ), che con il figlio Pierre ( Franz Rogowski ) dirige l’azienda di famiglia, e che al momento si trova a dover affrontare le conseguenze di un grave incidente verificatosi presso uno dei loro cantieri.
Ma è con il nonno Georges ( Jean-Louis Trintignant ) che Eve intreccia un rapporto particolare.
L’uomo, giunto alla veneranda età di 85 anni, e stanco di vivere, sta cercando disperatamente la persona che possa finalmente accompagnarlo verso il suo “lieto fine”…


In questa sua ultima pellicola, presentata nello scorso mese di maggio al Festival di Cannes, Michael Haneke torna a riproporre alcuni dei temi da lui già affrontati in precedenza, questa volta però con un sguardo decisamente più caustico e pessimistico del solito.
Al centro di “Happy End troviamo una famiglia appartenente all’alta borghesia francese, caratterizzata da un’assoluta mancanza di coesione e metafora quindi di una società, la nostra, sempre più individualista e destinata inevitabilmente all’autodistruzione.
Secondo il suo inconfondibile registro narrativo, il regista mira ovviamente a coinvolgere lo spettatore nella vicenda, sebbene  a volte tenda volutamente ad escluderlo, anche se solamente per un breve attimo, da ciò che accade sullo schermo,  creando così su di lui un effetto decisamente disturbante.
A cinque anni di distanza da “Amour, il suo straziante capolavoro a cui in “Happy End” viene fatto un chiaro rimando, Michael Haneke torna a dirigere Jean-Louis Trintignant e Isabelle Huppert, due mostri sacri del cinema francese, i quali ci regalano l’ennesima straordinaria interpretazione della loro lunghissima carriera cinematografica.
Ma la vera rivelazione della pellicola è la giovanissima Fantine Harduin, a cui il regista ha deciso di affidare un ruolo tanto difficile quanto inquietante.


Titolo: Happy End ( Happy End )
Regia : Michael Haneke
Interpreti: Isabelle Huppert, Jean-LouisTrintignant, Mathieu Kassovitz, Fantine Harduin
Nazionalità: Francia
Anno: 2017