sabato 10 febbraio 2018

“C’est la vie – Prendila come viene” di Olivier Nakache e Eric Toledano: le tragicomiche disavventure di un navigato wedding planner.



E’ l’inizio di un nuovo giorno, e Max ( Jean-Pierre Bacri ) – affermato organizzatore di matrimoni – si sta recando presso un antico ed elegante castello nei dintorni di Parigi, dove seguirà in prima persona i preparativi del fastoso banchetto che si terrà lì quella stessa sera.
Giunto sul posto, trova ad attenderlo i suoi fedeli collaboratori che, loro malgrado, finiscono abitualmente per metterlo nei guai.
C’è Adèle ( Eye Haidara ), la sua irascibile e litigiosa assistente; James ( Gilles Lellouche ), il cantante che insieme alla sua sgangherata orchestra cerca maldestramente di intrattenere gli invitati con un repertorio forse fin troppo personale.
Guy ( Jean-Paul Rouve ), un fotografo amico di Max,  per il quale risulta sempre più difficile riuscire a strappare un ingaggio ai matrimoni, ma che comunque non perde occasione di ingozzarsi al buffet; e poi c’è un’esasperata Josiane ( Suzanne Clément ); stanca del suo ruolo d’amante, minaccia  infatti di interrompere la sua relazione con Max nel caso in cui quest’ultimo non si decida definitivamente a separarsi dalla moglie.
In poco meno di ventiquattr’ore, l'uomo si ritroverà così ad affrontare un’interminabile serie di situazioni tanto difficili quanto imbarazzanti, che riuscirà a ogni modo a superare brillantemente grazie al suo innegabile senso pratico; e questo, ovviamente, con l’obiettivo di non deludere le aspettative dei suoi clienti, ma soprattutto di salvaguardare sempre e comunque il vero senso della festa…


Celebrato recentemente con una pioggia di nomination ai prossimi César, dopo l’enorme successo di pubblico e di critica riscosso in Francia, “C’est la vie – Prendila come viene” è finalmente uscito anche nelle sale italiane.
In questa loro ultima pellicola Olivier Nakache e Eric Toledano mettono in scena le tragicomiche disavventure di un navigato wedding planner, costretto quotidianamente a barcamenarsi  tra il rispetto delle pressanti regole imposte all’esercizio della sua professione e le più disparate richieste provenienti dai suoi clienti, cercando al tempo stesso di porre rimedio agli innumerevoli problemi che con la loro eccessiva approssimazione i suoi dipendenti  puntualmente gli creano.
I due registi francesi, già ben noti al pubblico italiano  per il travolgente “Quasi amici”, hanno realizzato una divertentissima commedia corale che funziona con la stessa precisione di un orologio svizzero; tutto merito di una sceneggiatura che non presenta sbavature e che trova il suo punto di forza in dialoghi veloci e frizzanti.
In un crescendo di situazioni decisamente esilaranti, allo spettatore sono garantite due ore di piacevolissimo intrattenimento, grazie anche a uno straordinario cast di interpreti, tra i quali spicca su tutti Jean-Pierre Bacri; il personaggio da lui interpretato, sebbene all’apparenza alquanto burbero, si rivela in realtà il vero mattatore della festa.



Titolo: C’est la vie – Prendila come viene  ( Le sens de la fête )
Regia: Olivier Nakache e Eric Toledano 
Interpreti: Jean-Pierre Bacri, Gilles Lellouche, Jean-Paul Rouve, Vincent Macaigne
Nazionalità: Francia
Anno: 2017

domenica 28 gennaio 2018

“Le cose che verranno” di Mia Hansen-Løve: il riscatto di una donna alle prese con una nuova e inaspettata libertà.


Nathalie ( Isabelle Huppert ) – appassionata docente di filosofia di mezza età – trascorre le sue giornate dividendosi fra la scuola e la famiglia.
Con due figli oramai indipendenti, una madre costantemente bisognosa di attenzioni e un marito – Heinz ( André Marcon ) - anche lui insegnante, un giorno la sua vita prende  una piega del tutto inattesa.
A seguito della morte dell’anziana genitrice e, soprattutto, dell’abbandono da parte del coniuge per un’altra donna, Nathalie si ritrova infatti spiazzata da una nuova e inaspettata libertà.
L’amicizia con Fabien ( Roman Kolinka ) – un suo ex-alunno, nei confronti del quale nutre da sempre una profonda stima – e una nuova cognizione di sé le permetteranno a ogni modo di guardare con una ritrovata serenità e un rinnovato entusiasmo al futuro, e a tutte le cose che verranno…


Mia Hansen-Løve, dopo aver focalizzato nelle precedenti pellicole la sua attenzione sulla problematiche relative alla gioventù, ne “Le cose che verranno” sposta invece il suo sguardo verso le gioie e ( soprattutto ) i dolori dell’età matura, veicolando l’inequivocabile messaggio che non è mai troppo tardi per ricominciare una nuova vita.
La giovane regista francese affronta infatti con estremo garbo e sensibilità l’inesorabile passare del tempo, ponendo al centro della storia la vicenda di una donna non più giovane, la quale, dopo aver creduto che la propria esistenza fosse oramai destinata a scorrere per sempre lungo gli stessi binari, si ritrova improvvisamente a dover riorganizzare la propria vita a seguito della separazione dal marito.
La sua grande passione per la filosofia, di cui è anche una fervente insegnante, nonché la sua incredibile forza d’animo, dopo un primo e più che comprensibile  momento di incertezza, la spingeranno comunque a riprendere in mano le redini della propria esistenza nella consapevolezza  che, anche senza un compagno al suo fianco, ha intorno a sé tutto ciò che può renderla felice.
Diretta questa volta da uno dei più interessanti nuovi talenti del cinema europeo, Isabelle Huppert ci regala un’altra grande prova di recitazione; quello di Nathalie, infatti, va ad aggiungersi alla già lunga lista dei personaggi da lei interpretati nel corso della sua straordinaria carriera cinematografica.


Titolo: Le cose che verranno ( L'avenir )
Regia : Mia Hansen-Løve
Interpreti: Isabelle Huppert, André Marcon, Roman Kolinka, Edith Scob
Nazionalità: Francia
Anno: 2016


venerdì 29 dicembre 2017

“La ragazza senza nome” di Luc e Jean-Pierre Dardenne: l’elaborazione del senso di colpa di una giovane donna costantemente impegnata a servizio del prossimo.


Jenny Davin ( Adèle Haenel ) è una promettente dottoressa che esercita la sua professione nella città di Liegi.
Una sera, mentre si trova ancora nello studio presso il quale abitualmente visita i suoi pazienti, qualcuno suona al citofono ma, essendo già terminato l’orario delle visite, decide di non aprire.
Il giorno seguente, proprio nelle vicinanze di quell’ambulatorio, viene ritrovato il corpo senza vita di una donna, la cui identità purtroppo non è nota alle forze dell’ordine; a questo proposito, la polizia chiede a Jenny di poter visionare i nastri della telecamera di sorveglianza.
Poiché le successive verifiche stabiliscono che la vittima è proprio la persona che quella sera aveva citofonato allo studio di Jenny, quest’ultima, sconvolta per quanto accaduto, decide di intraprendere la propria indagine personale per scoprire chi fosse quella donna e, conseguentemente, poterle quindi dare una degna sepoltura…


Luc e Jean-Pierre Dardenne sono rinomati a livello mondiale per aver portato sullo schermo intensi e sofferti spaccati della quotidianità che si respira all’interno della periferia belga, dove problematiche come la disoccupazione, l’immigrazione e, più in generale, le differenze sociali appaiono più evidenti; e a questo proposito “La ragazza senza nome” non si presenta di certo come un’eccezione.
In effetti, anche in questa loro ultima pellicola i fratelli Dardenne tornano ad affrontare le tematiche a loro più care, in una storia che quasi fin dalle prime scene si tinge di giallo.
Protagonista della vicenda, però, non è un poliziotto o un detective professionista, bensì una giovane medico che, del tutto incidentalmente, si ritrova coinvolta in una vicenda che va ben oltre il suo quotidiano impegno a servizio del prossimo.
Nel tentativo di elaborare il suo senso di colpa per non aver risposto - senza minimamente immaginare le drammatiche conseguenze di quella decisione – a una richiesta di aiuto, decide così di lanciarsi in un’ossessiva ricerca della verità, al fine di giungere all’effettiva e tragica ricostruzione dei fatti.
Jenny Davin, con la sua apparente freddezza e soprattutto con il suo indiscutibile e coraggioso altruismo, va ad aggiungersi alla già lunga lista dei personaggi  dardenniani, ognuno dei quali si muove all’interno di un contesto caratterizzato dall’abbandono sociale.
Adèle Haenel è talmente brava che riesce a coinvolgere pienamente lo spettatore nell’ossessione che si impadronisce del suo personaggio, e che lo spinge a non arrendersi e ad andare avanti, nonostante le pesanti minacce ricevute.
Ad affiancarla ritroviamo ancora una volta con piacere un intenso Jérémie Rénier - attore feticcio dei due registi belga - in un ruolo a lui particolarmente congeniale.


Titolo: La ragazza senza nome ( La fille inconnue )
Regia : Luc e Jean-Pierre Dardenne
Interpreti: Adèle Haenel, Jérémie Renier, Olivier Gourmet, Fabrizio Rongione, Thomas Doret
Nazionalità: Belgio
Anno: 2016

domenica 3 dicembre 2017

“Happy End” di Michael Haneke: il caustico e pessimistico ritratto di una società destinata inevitabilmente all’autodistruzione.


Eve ( Fantine Harduin ) ha tredici anni, e dopo la separazione dei suoi genitori vive con la madre; dotata di una personalità alquanto introversa, la giovane documenta la sua quotidianità con l’ausilio della fotocamera del suo smart phone.
Un giorno, esasperata dal comportamento della genitrice, che riversa su di lei le sue innumerevoli frustrazioni, decide di avvelenarla.
A seguito del ricovero in ospedale della madre, Eve si trasferisce quindi a Calais, a casa del padre Thomas ( Mathieu Kassovitz ), che recentemente ha avuto un figlio da Anaïs ( Laura Verlinden ).
Eva ha così la possibilità di fare la conoscenza della zia Anne ( Isabelle Huppert ), che con il figlio Pierre ( Franz Rogowski ) dirige l’azienda di famiglia, e che al momento si trova a dover affrontare le conseguenze di un grave incidente verificatosi presso uno dei loro cantieri.
Ma è con il nonno Georges ( Jean-Louis Trintignant ) che Eve intreccia un rapporto particolare.
L’uomo, giunto alla veneranda età di 85 anni, e stanco di vivere, sta cercando disperatamente la persona che possa finalmente accompagnarlo verso il suo “lieto fine”…


In questa sua ultima pellicola, presentata nello scorso mese di maggio al Festival di Cannes, Michael Haneke torna a riproporre alcuni dei temi da lui già affrontati in precedenza, questa volta però con un sguardo decisamente più caustico e pessimistico del solito.
Al centro di “Happy End troviamo una famiglia appartenente all’alta borghesia francese, caratterizzata da un’assoluta mancanza di coesione e metafora quindi di una società, la nostra, sempre più individualista e destinata inevitabilmente all’autodistruzione.
Secondo il suo inconfondibile registro narrativo, il regista mira ovviamente a coinvolgere lo spettatore nella vicenda, sebbene  a volte tenda volutamente ad escluderlo, anche se solamente per un breve attimo, da ciò che accade sullo schermo,  creando così su di lui un effetto decisamente disturbante.
A cinque anni di distanza da “Amour, il suo straziante capolavoro a cui in “Happy End” viene fatto un chiaro rimando, Michael Haneke torna a dirigere Jean-Louis Trintignant e Isabelle Huppert, due mostri sacri del cinema francese, i quali ci regalano l’ennesima straordinaria interpretazione della loro lunghissima carriera cinematografica.
Ma la vera rivelazione della pellicola è la giovanissima Fantine Harduin, a cui il regista ha deciso di affidare un ruolo tanto difficile quanto inquietante.


Titolo: Happy End ( Happy End )
Regia : Michael Haneke
Interpreti: Isabelle Huppert, Jean-LouisTrintignant, Mathieu Kassovitz, Fantine Harduin
Nazionalità: Francia
Anno: 2017

domenica 12 novembre 2017

“Il mio Godard” di Michel Hazanavicius: l’ironico e dissacrante ritratto di uno dei più grandi maestri del cinema.


Parigi 1967. Il regista Jean-Luc Godard ( Louis Garrel ) è all’apice della sua carriera cinematografica, adorato e osannato non solamente in Francia.
Nel tentativo di dare un’impronta meno borghese al proprio cinema, e fervente sostenitore del pensiero maoista, decide quindi di girare “La cinese”, che vede come protagonista femminile l’allora diciannovenne Anne Wiazemsky ( Stacy Martin ), della quale è follemente innamorato e con cui convola, sebbene in gran segreto, a nozze.
Diversamente da quelle che erano le sue aspettative, il film viene però accolto tutt’altro che entusiasticamente non solo dalla critica ma anche e soprattutto dal pubblico, abituato ad accorrere nelle sale per applaudire pellicole del grande maestro decisamente meno “ideologiche”.
Purtroppo, l’autore di capolavori del calibro di “Fino all’ultimo respiro” o “Il disprezzo” non esiste più, e questo essenzialmente perché il regista di origini svizzere sta attraversando una fase di profondo cambiamento a livello personale, ancora prima che artistico, che lo spinge ben presto a unirsi ai movimenti rivoluzionari giovanili dell’anno seguente, sebbene con risultati del tutto disastrosi.
Da parte sua, la moglie Anne, innamoratasi principalmente del Godard-artista, non può fare altro che assistere impotente alla “morte” del suo idolo, con l’inevitabile conseguenza che i suoi sentimenti nei confronti del Godard-uomo saranno ben presto destinati a cambiare…


Uscito il mese scorso anche nelle sale italiane, l’ultimo film di  Michel Hazanavicius narra l’appassionata e tormentata storia d’amore tra la giovane attrice Anne Wiazemsky e Jean-Luc Godard, uno dei più grandi maestri del cinema francese e mondiale, giungendo così a tratteggiare di quest’ultimo un ironico e dissacrante ritratto.
Tratto dall’autobiografia "Un an après" della Wiazemsky, qui interpretata dalla graziosa attrice francese Stacy Martin, “Il mio Godard” ci catapulta in un’affascinante Parigi di fine anni sessanta, alla vigilia dei ben noti movimenti rivoluzionari che ebbero il loro apice nel maggio del ‘68.
Con questa pellicola il regista premio Oscar per “The  artist”, pur rendendo omaggio a una delle più grandi icone del cinema francese e non solo, desidera al contempo evidenziare, sebbene con estremo garbo e ironia, gli aspetti contraddittori del suo pensiero; e indubbiamente è riuscito nel suo intento, grazie soprattutto alla magistrale interpretazione del camaleontico Louis Garrel, che con l’accento svizzero e gli inconfondibili occhiali dalla montatura nera, sullo schermo appare straordinariamente somigliante all’originale.



Titolo: Il mio Godard ( Le redoutable )
Regia : Michel Hazanavicius
Interpreti: Louis Garrel, Stacy Martin, Bérénice Bejo
Nazionalità: Francia
Anno: 2017

domenica 5 novembre 2017

“Ritorno in Borgogna” di Cédric Klapisch: un’emozionante pellicola incentrata sull’indissolubilità dei legami familiari, nonché sull’importanza delle nostre origini.


Sono trascorsi ben dieci anni da quando Jean ( Pio Marmaï ) si è allontanato dalla sua  famiglia, e dalla Borgogna, con l’intenzione di girare il mondo, ma soprattutto di fuggire dalle sue origini.
Adesso però, dopo essersi definitivamente stabilito in Australia con una compagna e un figlio, a causa della malattia del padre decide di tornare nei suoi luoghi natali, avendo così la possibilità di riunirsi anche con i due fratelli minori.
Mentre Juliette ( Ana Girardot ) si dimostra ben lieta di poterlo finalmente riabbracciare dopo così tanto tempo, Jérémie ( François Civil ) sembra invece decisamente più restio a volergli perdonare di aver interrotto nel corso degli ultimi anni ogni tipo di rapporto con loro.
La morte del genitore, sopraggiunta purtroppo poco dopo il ritorno a casa di Jean, costringerà inevitabilmente i tre fratelli a confrontarsi tra loro, non solamente per poter far fronte alle innumerevoli problematiche relative alla gestione del vigneto di famiglia e al pagamento delle tasse di successione, ma anche e soprattutto per riuscire a capire se dopo tanti anni, ed esperienze di vita differenti, esiste ancora qualcosa che li unisce…


L’ultima fatica cinematografica di Cédric Klapisch, regista francese già noto al pubblico italiano per il divertente “L’appartamento spagnolo” e i suoi due sequel, è una vera gioia per gli occhi e per lo spirito.
Sullo sfondo degli incantevoli paesaggi della campagna francese nel consueto e suggestivo susseguirsi delle stagioni, ci si commuove e ci si diverte, grazie anche all’indiscutibile bravura dei tre interpreti principali.
Ritorno in Borgogna è in effetti un’emozionante pellicola incentrata sull’indissolubilità dei legami familiari, nonché sull’importanza delle nostre origini.
La storia si sviluppa intorno alla contrastata relazione tra un padre e un figlio che non si è mai sentito stimato ( e quindi amato ) dal proprio genitore, senza ovviamente trascurare le inevitabili conseguenze  che tale rapporto irrisolto ha avuto sulle vite degli altri componenti della famiglia.
Sono le parole non dette ad aver tenuto Jean lontano da casa per dieci lunghi anni, nell’attesa di ricevere dal padre una lettera che però non è mai arrivata.
Purtroppo, è solamente dopo la morte di quest’ultimo che il giovane potrà finalmente avere tutte le risposte alle domande che fino a quel momento lo hanno tristemente tormentato; e in conseguenza di ciò sarà in grado di assumere una prospettiva completamente diversa nei confronti della propria vita nonché dei rapporti con le persone che lo circondano.


Titolo: Ritorno in Borgogna ( Ce qui nous lie )
Regia : Cédric Klapisch
Interpreti: Pio Marmaï, Ana Girardot, François Civil, Jean-Marc Roulot, María Valverde
Nazionalità: Francia
Anno: 2017

domenica 22 ottobre 2017

“Doppio amore” di François Ozon: un intrigante thriller erotico dagli spiccati risvolti psicologici.


Chloé ( Marine Vacth ) soffre da sempre di strani dolori al ventre.
Dopo aver eseguito una serie di esami diagnostici che le permettono di escludere ogni possibile origine fisica di tale disturbo, la sua ginecologa le consiglia  di rivolgersi a uno psichiatra; la giovane decide quindi di iniziare la terapia con il timido e garbato Paul ( Jérémie Renier ).
Tra loro due, però, si sviluppa ben presto qualcosa che va oltre il canonico rapporto medico-paziente, e che inevitabilmente, per ragioni deontologiche, spinge Paul a interrompere immediatamente la terapia; a seguito di ciò, i due decidono di andare a vivere insieme.
Qualche tempo dopo, Chloé scopre casualmente che il proprio compagno ha un gemello di nome Louis, anche lui psicoterapeuta ma caratterialmente agli antipodi rispetto al fratello.
Sorpresa, ma al tempo stesso  preoccupata, in quanto Paul sostiene di essere figlio unico, nel tentativo di scoprire la verità la giovane decide quindi di riprendere la terapia, questa volta però con Louis.
Questo segnerà per lei l’inizio di un torbido ménage à trois dagli esiti decisamente inaspettati…



Presentato all’ultimo Festival di Cannes, e ad oggi ancora inedito in Italia, “Doppio amore” è un intrigante thriller erotico dagli spiccati risvolti psicologici.
Ispirandosi liberamente al romanzo di Joyce Carol Oates “Lives of the twins”, François Ozon torna ad affrontare l’argomento del “doppio”, guidando anche questa volta lo spettatore attraverso gli intricati e misteriosi meandri della psiche umana.
Rendendo omaggio ad alcuni dei più grandi maestri del cinema di tutti i tempi, tra cui Brian De Palma, Roman Polanski, senza ovviamente dimenticare Alfred Hitchcock, il regista francese dipana lentamente con la sua abituale maestria un dramma visivamente affascinante, in cui il confine tra realtà e immaginazione appare fin da subito alquanto labile; il tutto sapientemente scandito da un’opprimente colonna sonora che sembra rispecchiare alla perfezione il tormentato stato d’animo di Chloé.
Marine Vacth, già precedentemente diretta da Ozon in “Giovane e bella”, incendia lo schermo con quel mix di vulnerabilità, sensualità e perversione che contraddistingue il suo personaggio.
Ad affiancarla, troviamo invece un bravissimo Jérémie Renier, semplicemente straordinario nel suo doppio ruolo di Paul/Louis, e una sempre affascinante Jacqueline Bisset, indimenticabile icona del cinema francese degli anni settanta e non solo.


Titolo:  Doppio amore ( L’amant double )
Regia : François Ozon
Interpreti: Marine Vacth, Jérémie Renier, Jacqueline Bisset
Nazionalità: Francia
Anno: 2017