sabato 25 maggio 2013

“Scatti rubati” di Eric Lartigau: la singolare storia di un uomo che voleva vivere la sua vita.


Paul Exben (Romain Duris) è un uomo che sembra aver avuto tutto dalla vita; ha infatti una bella famiglia, successo nella sua professione di avvocato e, soprattutto, molti soldi.
Tutto ciò sarebbe perfetto se non fosse che in realtà non è quello che lui aveva sempre immaginato per sé, desiderando invece diventare un fotografo professionista.
Quando sua moglie (Marina Foïs) gli annuncia di volere il divorzio, all’improvviso il mondo gli crolla addosso e, sospettando che lei abbia una relazione con Greg, un loro amico fotografo, si reca a casa di quest’ultimo per affrontarlo.
Purtroppo, però, la discussione tra i due degenera a tal punto che, sebbene accidentalmente, Paul causa la morte dell’amico.
In preda alla disperazione, dopo essersi sbarazzato del cadavere, l’uomo decide di assumere l’identità di Greg, ritrovandosi così a vivere la vita che aveva sempre sognato.
Parte quindi alla volta dell’Ungheria per realizzare un importante servizio fotografico; ben presto, però, la nuova situazione si rivelerà per lui tutt’altro che semplice da gestire…

Durante la visione di “Scatti rubati”, lo spettatore è inevitabilmente portato a riflettere sul significato della propria esistenza e, in particolar modo, a chiedersi se sia soddisfatto o meno della vita che sta conducendo.
Partendo dal romanzo di Douglas Kennedy, Eric Lartigau ci introduce all’interno di una famiglia borghese che, solo in apparenza, vive felicemente  in una bella casa situata nella periferia parigina.
Paul, il capofamiglia, da sempre appassionato di fotografia, sebbene debba proprio alla sua professione il suo elevato status sociale,  ci appare fin da subito come intrappolato in un’esistenza che non gli appartiene fino in fondo.
Ciò che comunque lo spinge ad andare avanti, a continuare a guadagnare soldi e, in questo modo, a garantire il benessere dei suoi familiari, è il suo amore per loro.
Però, non appena scopre il tradimento della moglie, e per di più con un loro amico fotografo, ecco che inevitabilmente viene a guastarsi quell’equilibrio che fino ad allora gli aveva impedito di fare i conti con se stesso.
E’ il verificarsi di una circostanza tragica a permettergli di iniziare a vivere la vita che ha sempre sognato, sebbene ciò lo costringerà, allo stesso tempo, ad allontanarsi per sempre dai propri figli; ed è proprio in questo frangente che “Scatti rubati” offre allo spettatore un’interessante svolta nel suo registro narrativo, che vede Paul come catapultato in un ambiente senz’altro meno “patinato” di quello in cui Eric Lartigau ce lo presenta inizialmente, ma indubbiamente a lui più consono.
In effetti, gli incantevoli scenari delle montagne del Montenegro ( che per esigenze di copione diventano ungheresi ) gli forniscono la giusta ispirazione per poter esprimere finalmente il proprio talento; paradossalmente però, non appena riesce a farsi notare con le sue foto, Paul prende inevitabilmente coscienza di non essere in grado di gestire liberamente la sua improvvisa notorietà.
In “Scatti rubati” Romain Duris ci dà l’ennesima dimostrazione delle sue elevate capacità recitative, risultando estremamente credibile tanto nel ruolo dell’amorevole padre di famiglia, nonché professionista di successo, quanto in quello del talentuoso fotografo per sempre condannato a vivere nell’ombra.
Accanto a lui, in poco più che un cameo, ritroviamo la sempre stupenda Catherine Deneuve, la cui breve ma intensa interpretazione conferisce un ulteriore valore aggiunto a questo sorprendente thriller carico di eclatanti colpi di scena.



Titolo: Scatti rubati ( L’homme qui voulait vivre sa vie )
Regia: Eric Lartigau
Interpreti: Romain Duris, Catherine Deneuve, Marina Foïs, Niels Arestrup, Branka Katic
Nazionalità: Francia
Anno: 2010

venerdì 17 maggio 2013

“The artist” di Michel Hazanavicius: il film francese più premiato di tutti i tempi.


Nella Hollywood degli anni venti, George Valentin (Jean Dujardin) è una grande star del cinema muto, osannato sia dal pubblico che dalla critica.
In occasione della presentazione di una delle sue pellicole, l’attore viene fotografato insieme a Peppy Miller (Bérénice Bejo), una sua giovane ammiratrice, nonché aspirante attrice, che il giorno seguente George rivede sul set di un film, in cui è stata ingaggiata come comparsa.
Tra i due si sviluppa immediatamente un’ottima intesa.
Per la giovane donna questo incontro segna l’inizio di una lunga e fortunata carriera nel mondo del cinema, mentre George Valentin a poco a poco viene abbandonato da tutti, finendo sul lastrico  soprattutto dopo l’avvento del sonoro.
Alcuni anni dopo l’attrice, che non ha mai dimenticato George, decide di offrirgli il suo aiuto, ma l’uomo, per una questione di orgoglio, lo rifiuta; anzi, sempre più disperato, tenta il suicidio.
Peppy, però, non solo riuscirà a salvargli la vita, ma gli permetterà addirittura di tornare alla ribalta, facendolo recitare accanto a lei in un musical…




In un’epoca in cui le pellicole in 3D imperversano nei multiplex di tutto il mondo, decidendo di portare sul grande schermo un film in bianco e nero, e per di più muto, Michel Hazanavicius ha indubbiamente dimostrato tutta la sua genialità, nonché la sua elevata predisposizione al rischio.
L’idea di questo ambizioso e decisamente originale progetto cinematografico, è stata comunque premiata fin  dalla presentazione di “The artist” al Festival di Cannes del 2011, in occasione del quale Jean Dujardin si è addirittura aggiudicato la Palma d’oro per la migliore interpretazione maschile.
Cannes, però, è stata solamente la prima tappa di un incredibile e fortunato viaggio che, in poco meno di un anno, ha permesso a questa pellicola di fare una vera e propria incetta di premi, tra cui ben cinque statuette agli Oscar 2012.
“The artist”, che tra l’altro risulta essere il film francese più premiato di tutti i tempi, è essenzialmente un omaggio al cinema degli anni venti, di cui il regista è riuscito a far rivivere le magiche atmosfere, curando nei minimi dettagli la realizzazione tecnica della  pellicola.
Durante la sua visione, non possiamo fare a meno di riconoscere come le dinamiche dell’attuale industria cinematografica non siano poi così dissimili da quelle che all’epoca muovevano Hollywood, da sempre considerata non solo una fabbrica di sogni ma anche, purtroppo, di delusioni.
“The artist” segue per l’appunto la parabola discendente di un attore di successo, la cui popolarità viene a poco a poco eclissata dall’avvento del sonoro. Nonostante la disperazione in cui  lo vediamo lentamente sprofondare, la pellicola si conclude con un importante messaggio di solidarietà e, soprattutto, di speranza.
Affiancato da una frizzante Bérénice Bejo, Jean Dujardin è semplicemente strepitoso nel ruolo di George Valentin. La sua espressività è, in effetti, decisamente fuori dal comune; per non parlare poi della sua incredibile bravura nel numero di tip-tap che chiude magnificante il film.



Titolo: The artist ( The artist )
Regia: Michel Hazanavicius
Interpreti: Jean Dujardin, Bérénice Bejo, John Goodman, James Cromwell
Nazionalità: Francia
Anno: 2011

venerdì 10 maggio 2013

“Vivere per vivere” di Claude Lelouch: un altro grande successo internazionale per uno dei più amati maestri del cinema francese.


Robert Colomb (Yves Montand), un reporter della televisione francese, da anni tradisce la moglie Catherine (Annie Girardot), la quale, invece, è profondamente innamorata di lui.
Sempre in giro per il mondo a causa della sua professione, una sera l’uomo incontra per la seconda volta Candice (Candice Bergen), una giovane americana, con cui intreccia l’ennesima relazione extra-coniugale.
Dopo una vacanza trascorsa insieme a Catherine ad Amsterdam, Robert le confessa di avere un’amante e di voler divorziare da lei; ma l’uomo, tormentato dal rimorso, non riesce ad essere felice accanto alla giovane donna, e così, dopo aver interrotto anche la relazione con lei, decide di partire per il Vietnam per realizzare un importante reportage.
Tornato in Francia, stanco ed emotivamente provato dagli orrori della guerra di cui è stato suo malgrado testimone, Robert si ritrova di fronte ad una Catherine completamente diversa da quella che aveva sposato; in effetti, adesso è una donna serena e, soprattutto, molto innamorata di un altro uomo.
Quando oramai sembra completamente esclusa ogni possibilità di riappacificazione tra loro due, accade però qualcosa di completamente inaspettato…

Sulla scia dell’enorme successo ottenuto a livello internazionale da “Un uomo, una donna”, l’anno seguente Claude Lelouch tornò sugli schermi con un’altra indimenticabile pellicola che, pur non spiccando per una trama particolarmente originale, riesce comunque ad entrare con estrema sensibilità nell’intimo dei vari personaggi coinvolti nella vicenda.
Al centro di “Vivere per vivere” vi è un triangolo amoroso che vede protagonisti il sempre brillante Yves Montand, nel ruolo di un marito fedifrago incapace però di vivere fino in fondo nella menzogna, e una superba Annie Girardot.
Catherine, il personaggio da lei impeccabilmente interpretato, ci sorprende, oltre che per la sua bellezza ed eleganza,  per l’incredibile determinazione con la quale continua ad amare Robert, anche dopo che lui le ha apertamente confessato di tradirla.
Nel ruolo della giovane amante delusa, troviamo invece l’attrice americana Candice Bergen in una delle primissime pellicole della sua lunga e fortunata carriera cinematografica.
Approfittando della professione svolta da Robert, il regista ha inserito all’interno della pellicola alcune sequenze di taglio prettamente giornalistico che, pur rallentando la fluidità della narrazione, tratteggiano un ritratto tutt’altro che lusinghiero della guerra.
Come era già accaduto per “Un uomo, una donna”, anche per la colonna sonora di “Vivere per vivere” Lelouch decise di avvalersi della preziosissima collaborazione di Francis Lai, il quale realizzò alcuni suggestivi brani musicali che sottolineano, a volte con delicatezza, a volte con drammaticità, l’eleganza delle immagini che lentamente scorrono di fronte ai nostri occhi durante la visione del film.
E’ in effetti sufficiente ascoltare “Vivre pour vivre” oppure il “Thème de Catherine” per riuscire ad immergersi immediatamente nelle sofisticate e ovattate atmosfere di questa pellicola che, tra i vari premi, si aggiudicò anche un Golden Globe per il miglior film straniero.



Titolo: Vivere per vivere ( Vivre pour vivre )
Regia: Claude Lelouch
Interpreti: Annie Girardot, Yves Montand, Candice Bergen
Nazionalità: Francia
Anno: 1967

venerdì 3 maggio 2013

“Confidenze troppo intime” di Patrice Leconte: l’imprescindibile bisogno di essere ascoltati.


Il matrimonio di Anne (Sandrine Bonnaire), commessa dall’aria alquanto modesta, sta attraversando una profonda crisi; per questo motivo la donna decide di rivolgersi ad uno psicanalista.
Il giorno in cui si reca al primo appuntamento, a causa di un banale errore, anziché nello studio del Dottor Monnier (Michel  Duchaussoy), Anne si ritrova in quello di William (Fabrice Luchini), un consulente tributario con un matrimonio fallito alle spalle e una vita estremamente grigia, al quale inizia a raccontare i propri problemi di coppia.
L’uomo, incuriosito fin da subito dalla situazione che si è venuta inaspettatamente a creare, esita a dirle la verità; sarà infatti lei a scoprirlo dopo un paio di sedute, e a rimproverarlo per non aver immediatamente chiarito l’equivoco.
Alcuni giorni dopo, però, Anne si ripresenta da lui intenzionata a continuare la terapia…

Con questa pellicola Patrice Leconte torna ad affrontare la complessità dei rapporti umani,  portando sullo schermo una storia della quale è anche co-sceneggiatore, e in cui da un errore del tutto casuale si sviluppa un’inaspettata catena di eventi, sebbene durante l’intera visione del film ci si chieda se in realtà Anne non abbia voluto intenzionalmente bussare alla porta sbagliata.
E’ proprio per il dubbio che si insinua immediatamente nello spettatore che “Confidenze troppo intime” assume le sembianze di un thriller sentimentale e, a questo riguardo, la colonna sonora composta da Pascal Estève riesce sapientemente a sottolineare l’atmosfera di mistero che avvolge l’intera vicenda.
Ciò che però ci spinge ad addentrarci ulteriormente nella psiche del personaggio elegantemente interpretato dalla Bonnaire, è il perché la donna decida di continuare a raccontare a uno sconosciuto particolari anche piuttosto intimi della propria relazione di coppia, anche dopo aver scoperto di essersi rivolta alla persona sbagliata. La risposta più plausibile potrebbe essere che Anne abbia trovato in William la persona più adatta con la quale confidarsi, sebbene non sia uno psicanalista.
Da parte sua, lui è immediatamente affascinato dalla figura di questa donna che, tra una consulenza fiscale e l’altra, si è presentata inaspettatamente nel suo studio chiedendogli aiuto.
Per William, Anne si rivela fin da subito una vera e propria boccata di aria fresca ed emozioni  in un’esistenza monotona, da lui trascorsa quasi esclusivamente all’interno di un buio e triste appartamento parigino, dove ha sempre vissuto e dove svolge anche la sua professione; e Fabrice Luchini, con la sua recitazione sicura, riesce magistralmente a tratteggiare il graduale cambiamento che sconvolge le radicate abitudini del personaggio da lui interpretato.
Indubbiamente, questo loro incontro rappresenterà per entrambi l’occasione per fare il punto sulle rispettive vite, e per trovare finalmente il coraggio di spiccare il volo verso lidi più assolati rispetto al grigiore della metropoli parigina ritratto da Leconte.


Titolo: Confidenze troppo intime ( Confidences trop intimes )
Regia: Patrice Leconte
Interpreti: Fabrice Luchini, Sandrine Bonnaire, Michel Duchaussoy, Anne Brochet
Nazionalità: Francia
Anno: 2004