sabato 29 dicembre 2012

“Miracolo a Le Havre” di Aki Kaurismäki: una favola contemporanea fondata sulla speranza e la solidarietà.


Accolto con entusiasmo al festival di Cannes dello scorso anno, “Miracolo a Le Havre” è il secondo film girato in lingua francese da Aki Kaurismäki, dopo “Vita da Bohème” del 1992.
In questa pellicola il regista finlandese riporta sullo schermo il personaggio di Marcel Marx: l’ex scrittore bohémien interpretato dal bravissimo André Wilms.
Marcel Marx (André Wilms) è un ex scrittore bohémien trasferitosi da Parigi a Le Havre, nel nord della Francia.
Trascorre le sue giornate tra le strade di quella città, lungo le quali esercita la professione di lustrascarpe, la casa in cui abita con la moglie Arletty (Kati Outinen) e la sua cagnolina Laika, e il bar del quartiere.
Un giorno Marcel incontra per caso Idrissa (Blondin Miguel), un bambino africano arrivato clandestinamente in Francia insieme ad altri connazionali, e intenzionato a raggiungere la madre a Londra; poco dopo apprende la notizia della malattia della moglie.
Grazie all’aiuto di alcuni dei suoi vicini e soprattutto del commissario Monet (Jean-Pierre Darroussin), che finirà per mostrarsi meno inflessibile del solito, Marcel riuscirà a imbarcare Idrissa su di un peschereccio diretto in Inghilterra.
Allo stesso tempo avrà inoltre modo di appurare che, contrariamente a quanto affermato da sua moglie, i miracoli fortunatamente possono avverarsi anche nel suo quartiere…

Con “Miracolo a Le Havre” Kaurismäki ci introduce nel difficile mondo di coloro che vivono ai margini della società.
Marcel Marx è uno di loro; dopo aver definitivamente abbandonato Parigi e le proprie ambizioni di scrittore, adesso si accontenta di “sopravvivere” facendo il lustrascarpe.
Sebbene debba confrontarsi quotidianamente con il cinismo delle persone che incontra lungo le strade di Le Havre, Marcel può a ogni modo fare affidamento sull’amore della moglie Arletty, che ogni sera lo attende a casa al suo rientro dal lavoro,  e sull’amicizia di alcuni degli abitanti del suo quartiere.
Quando crede che la sua vita sia oramai destinata a scorrere monotona sullo stesso binario, ecco che la scoperta della malattia della moglie e l’incontro con un giovanissimo clandestino africano gli fanno acquisire una nuova prospettiva sulla società  che lo circonda.
Le vicende si sviluppano infatti in modo tale che siamo portati a credere, o per lo meno a sperare, che in un mondo in cui le manifestazioni di odio ed egoismo sono all’ordine del giorno, la solidarietà tra gli esseri umani esista ancora e, soprattutto, che i miracoli possano realmente accadere.
Ambientata nella “fredda” città portuale di Le Havre, la vicenda riesce ad assumere  i connotati di una fiaba contemporanea, grazie anche ad alcune scenografie dal gusto rétro che contribuiscono a rendere la storia come sospesa nel tempo.
La colorata bottega del fruttivendolo del quartiere, le lunghe baguettes protagoniste dei pranzi e delle cene di Marcel, alcune vecchie canzoni che possiamo ascoltare in sottofondo, ci permettono inoltre di assaporare un’atmosfera tipicamente francese.
André Wilms e Kati Outinen, due interpreti particolarmente cari al regista finlandese, sono impeccabili nei loro ruoli, rispettivamente di Marcel e della sua adorata consorte; mentre nei panni del ragionevole commissario Monet ritroviamo il bravissimo Jean-Pierre Darroussin, volto noto dell’attuale cinema francese.
Nella parte dell’infame vicino di casa di Marcel, ricordiamo infine Jean-Pierre Léaud: il celeberrimo attore “feticcio” di François Truffaut.



Titolo: Miracolo a Le Havre ( Le Havre )
Regia: Aki Kaurismäki
Interpreti: André Wilms, Kati Outinen, Jean-Pierre Darroussin, Blondin Miguel
Nazionalità: Francia, Finlandia, Germania
Anno: 2011


lunedì 24 dicembre 2012

“Una lunga domenica di passioni” di Jean-Pierre Jeunet: una tenera storia d’amore sullo sfondo degli orrori della grande guerra.


Dopo l’incredibile successo de “Il favoloso mondo di Amélie”, nel 2004 la fortunata coppia formata dal visionario regista francese Jean-Pierre Jeunet e l’espressiva Audrey Tautou si riunì felicemente per le riprese de “Una lunga domenica di passioni”: un vero e proprio kolossal di produzione franco-americana ambientato durante gli anni che  seguirono immediatamente il primo conflitto mondiale.
Nel gennaio del 1917, cinque soldati francesi, non sopportando più di continuare a combattere in trincea, decidono di automutilarsi proprio per sottrarsi ai loro doveri militari.
Condannati a morte da una corte marziale per aver commesso questo reato, i cinque uomini vengono scortati in un avamposto chiamato “Bingo Crépuscule” e abbandonati lì, tra le trincee francesi e quelle tedesche, al loro tragico destino.
Tra di loro vi è anche il giovanissimo Manech (Gaspard Ulliel), fidanzato di Mathilde (Audrey Tautou).
Due anni più tardi la ragazza, claudicante fin da quando era una bambina a seguito della poliomielite, non riesce ancora a rassegnarsi all’idea che Manech sia effettivamente deceduto, poiché se fosse morto lei lo saprebbe.
Sostenuta da questa sua fortissima convinzione, Mathilde inizia quindi la sua indagine personale.
In un altalenarsi di speranze e delusioni, e avvalendosi delle testimonianze di coloro che hanno incontrato Manech, la ragazza riuscirà finalmente a scoprire che cosa gli sia effettivamente successo quel terribile giorno a “Bingo Crépuscule”…



Tratto dall’omonimo romanzo di Sébastien Japrisot, “Una lunga domenica di passioni” ci presenta con estremo realismo tutto l’orrore della guerra.
Una perfetta ricostruzione delle trincee battute dalla pioggia e sommerse dal fango, un sapiente impiego degli effetti speciali, nonché la crudezza delle scene in cui il regista non ci risparmia la visione dei corpi dei soldati mutilati o, peggio ancora, straziati sul campo di battaglia, rendono lo spettatore particolarmente partecipe delle vicende narrate sullo schermo.
A smorzare la drammaticità degli eventi storici, contribuisce però la tenerezza della storia d’amore tra Mathilde e Manech, i quali, proprio a causa della guerra, hanno visto spezzarsi tragicamente il filo che li teneva legati al loro sogno fin dagli anni dell’infanzia.
Nonostante le avversità che l’hanno accompagnata fin dalla sua tenera età, il personaggio interpretato dalla Tautou affascina per la sua incredibile forza e tenacia; due qualità che la spingono senza sosta a scoprire che cosa sia effettivamente successo al suo amato, nonostante le persone che le stanno accanto la esortino in continuazione ad abbandonare le ricerche, onde evitare che lei si illuda inutilmente.
Fanno parte del cast di questo intenso kolossal a sfondo bellico, oltre alla Tautou e ad alcuni degli attori “feticcio” di Jeunet ( come Dominique Pinon e Rufus ), anche due premi Oscar di tutto rispetto: la bravissima Marion Cotillard ( nei panni di una vendicativa prostituta ) e la talentuosa Jodie Foster.
La suggestiva colonna sonora di Angelo Badalamenti riesce magistralmente a trasmettere allo spettatore non solo l’enorme angoscia di Mathilde, ma anche e soprattutto la sua speranza di riuscire a ritrovare ancora vivo il “suo” Manech.
Una menzione particolare spetta infine all’eccellente utilizzo degli effetti digitali, grazie ai quali è stato possibile ricreare la Parigi degli anni venti, nonché alla fotografia di Bruno Delbonnel, che  è riuscita ad esaltare l’incredibile bellezza dei paesaggi della Bretagna, con i suoi fari imponenti e le sue lunghissime coste frastagliate battute dal vento.



Titolo: Una lunga domenica di passioni ( Un long dimanche de fiançailles )
Regia: Jean-Pierre Jeunet
Interpreti: Audrey Tautou, Gaspard Ulliel, Dominique Pinon, Jodie Foster, Marion Cotillard
Nazionalità: Francia
Anno: 2004

domenica 16 dicembre 2012

“Cenerentola a Parigi” di Stanley Donen: la Ville Lumière vista da Hollywood.


Sofisticata commedia musicale diretta dal regista americano Stanley Donen, “Cenerentola a Parigi” ricevette quattro nominations ai premi Oscar del 1958, senza però riuscire ad aggiudicarsene neppure uno.
Accanto a una sempre deliziosa Audrey Hepburn, ritroviamo il mitico Fred Astaire che, sebbene non più giovanissimo, anche in questa pellicola dimostrò le sue incredibili doti di ballerino.
Maggie Prescott (Kay Thompson), l’abile e autoritaria direttrice di “Quality”, una rivista di moda molto seguita dalle donne americane, è alla ricerca di un volto nuovo da lanciare sul suo giornale e, su suggerimento del fotografo Dick Avery (Fred Astaire), crede di averlo individuato in Jo Stockton (Audrey Hepburn), la timida e graziosa commessa di un negozio di libri, appassionata di filosofia.
Nonostante la sua totale avversione al mondo della moda, la ragazza accetta la proposta di Maggie e Dick di diventare una modella e di seguirli a Parigi per presentare la nuova collezione di uno stilista francese, allettata dall’idea che lì avrà la possibilità di incontrare il famoso filosofo Emile Flostre, di cui è una fervente ammiratrice.
Giunta nella capitale francese, Jo rimane immediatamente affascinata dalla magia dei servizi fotografici di cui è protagonista e, soprattutto, dalle particolari attenzioni mostratele da Dick.
La sera in cui viene presentata la collezione, però, invece di sfilare in passerella, Jo si reca a casa di  Flostre.
Nel tentativo di convincerla ad andare alla sfilata, Maggie e Dick la raggiungono, senza però riuscire nel loro intento; e dopo aver litigato con lei, l’uomo decide improvvisamente di tornare a New York.
Subito dopo essere rimasta da sola con il filosofo, Jo si rende conto però che in realtà Flostre è solamente interessato a lei; e così, dopo averlo colpito sulla testa con una statuetta, la ragazza corre alla sfilata profondamente pentita di aver respinto Dick; ma oramai, forse, è troppo tardi per rimediare…

Prendendo garbatamente in giro sia le riviste di moda che il mondo degli intellettuali, questa pellicola è un elegante omaggio del regista alla Ville Lumière: location ideale per ambientare una storia d’amore che, sebbene a tratti appaia forse fin troppo stucchevole, riesce comunque a farci respirare tutta l’atmosfera di una coloratissima Parigi della fine degli anni cinquanta.
Le suggestive musiche di Ira e George Gershwin, la sofisticata fotografia ( impeccabile sotto la supervisione di Richard Avedon, al quale è ispirato il personaggio interpretato da Fred Astaire ), gli eleganti abiti indossati da Audrey Hepburn firmati Hubert de Givenchy e, ovviamente, l’indiscutibile bravura degli interpreti principali, hanno contribuito a fare di “Cenerentola a Parigi” l’ennesima commedia musicale di successo di Stanley Donen, dopo un “Un giorno a New York” e “Sette spose per sette fratelli” ( solo per citarne alcune ).
Un veterano del calibro di Fred Astaire affianca una splendida Audrey Hepburn decisamente a proprio agio nei numeri musicali; la vediamo infatti ballare con disinvoltura e ascoltiamo cantare con la propria voce, differentemente da quanto accadde alcuni anni dopo in “My Fair Lady”.



Titolo: Cenerentola a Parigi ( Funny face )
Regia: Stanely Donen
Interpreti: Audrey Hepburn, Fred Astaire, Kay Thompson
Nazionalità: USA
Anno: 1957


domenica 9 dicembre 2012

“Bande à part” di Jean-Luc Godard: un insolito triangolo amoroso per una delle pellicole più rappresentative della Nouvelle Vague francese.


Tratto dal romanzo “Fool’s Gold” della scrittrice americana Dolores Hitchens, “Band à part” è il settimo lungometraggio del regista francese Jean-Luc Godard.
Considerata una delle pietre miliari della Nouvelle Vague, questa pellicola è stata più volte citata nel corso degli anni da numerosi registi, tra cui Quentin Tarantino in “Pulp Fiction” e Bernardo Bertolucci in “The dreamers”.
E’ la storia di una ragazza e due ragazzi che si sviluppa in un insolito triangolo amoroso.
Odile (Anna Karina) è una giovane e ingenua studentessa che non ha ancora conosciuto il vero amore.
Arthur (Claude Brasseur) e Franz (Samy Frey), invece, sono due spiantati legati da una profonda amicizia, sebbene siano caratterialmente diversi e all’apparenza non abbiamo nulla in comune, se non una grande passione per i film americani.
Nel tentativo di dare una svolta decisiva alle loro vite, i due amici progettano una rapina nell’abitazione della zia di Odile, situata nella periferia di Parigi.
Poiché è lì che vive la ragazza, Arthur e Franz decidono di coinvolgerla nella loro impresa, affinché li aiuti a penetrare nella villa; e lei, che nel frattempo si è innamorata di Arthur, suo malgrado accetta.
Purtroppo, però, le cose non andranno come previsto…



In “Bande à part” ritroviamo l’incantevole Anna Karina, all’epoca musa ispiratrice nonché compagna di Jean-Luc Godard, accanto a due grandi interpreti del calibro di Claude Brasseur e Samy Frey.
La storia si sviluppa attorno alla figura di Odile, e più precisamente alle relazioni che vengono a crearsi tra lei e gli altri due personaggi maschili, ciascuno dei quali mostra nei confronti della ragazza un diverso interesse.
Mentre le riprese sono state effettuate senza seguire una tecnica ben precisa, conformemente ai dettami della Nouvelle Vague, non si può affermare altrettanto per quanto riguarda la modalità con cui viene narrata la vicenda, che poggia su di una sceneggiatura ben strutturata, realizzata dallo stesso Godard partendo da un soggetto della Hitchens.
Il regista interviene come voce fuori campo ogniqualvolta desidera spiegare alcuni punti particolarmente salienti della storia, o nel momento in cui ritiene opportuno esternare lo stato d’animo dei singoli personaggi che sono coinvolti nella vicenda, e che spesso vediamo scorrazzare a bordo di una vecchia Simca lungo le strade semideserte di una grigia Parigi dei primi anni sessanta.
“Bande à part” è indubbiamente uno dei film più rappresentativi della Nouvelle Vague francese, che viene spesso ricordato per due scene in particolare.
Quella dell’irresistibile balletto di Odile, Arthur e Franz all’interno di un café; e quella in cui il bizzarro terzetto decide di percorrere, correndo a perdifiato, l’intero Louvre.
Molti anni dopo, e più precisamente nel 2003, Bernardo Bertolucci decise di riprendere quest’ultima scena nel suo “The dreamers”, ambientato ai tempi delle contestazioni studentesche del 1968.
I tre ragazzi, interpretati rispettivamente da Eva Green, Michael Pitt e Louis Garrel, decidono infatti di ricreare la scena della corsa vista alcuni anni prima proprio in “Bande à part” di Jean-Luc Godard.




Titolo: Bande à part ( Bande à part )
Regia: Jean-Luc Godard
Interpreti: Anna Karina, Samy Frey, Claude Brasseur
Nazionalità: Francia
Anno: 1964


domenica 2 dicembre 2012

“I quattrocento colpi” di François Truffaut: il racconto autobiografico di un’infanzia turbolenta.


Premiato per la miglior regia al Festival di Cannes del 1959, “I quattrocento colpi” è il primo lungometraggio, nonché il primo capolavoro, del grande maestro François Truffaut.
E’ anche la pellicola nella quale facciamo la conoscenza di Antoine Doinel: l’indimenticabile personaggio interpretato dal bravissimo Jean-Pierre Léaud, attore feticcio di Truffaut e della Nouvelle Vague francese.
Parigi, fine anni cinquanta. Antoine Doinel (Jean-Pierre Léaud) è un giovane adolescente che vive insieme alla madre Gilberte (Claire Maurier) e al patrigno Julien (Albert Rémy).
Incompreso dalla propria famiglia, decisamente poco affettuosa nei suoi confronti, Antoine non ha voglia di studiare e trascorre le sue giornate organizzando scherzi ai compagni, o saltando addirittura le lezioni per recarsi al cinema o al Luna Park insieme al suo amico René.
A causa di questa sua condotta indisciplinata, viene spesso punito sia dagli insegnanti che dai suoi genitori.
Un giorno, dopo la sua ennesima bravata, Antoine decide di scappare di casa per andare a vivere da  René, all’insaputa dei genitori di quest’ultimo.
Al fine di racimolare un po’ di soldi per poter organizzare una gita al mare ( dove non è ancora mai stato ) Antoine ruba con l’aiuto di René una macchina da scrivere nell’ufficio del patrigno, con l’intento di rivenderla successivamente.
Non avendo però trovato nessuno disposto ad acquistarla, nel momento in cui Antoine decide di restituirla viene scoperto dal custode dello stabile, e denunciato dal patrigno.
In seguito a quest’ultimo episodio, i suoi genitori acconsentono a farlo rinchiudere in un riformatorio lontano da Parigi  ( e vicino al mare ), nella speranza che questo serva a renderlo più disciplinato.
Antoine sperimenta immediatamente sulla propria pelle la durezza delle condizioni di quel luogo, e una mattina, durante una partita di pallone, approfittando di un attimo di disattenzione dei custodi, decide di fuggire.
La sua lunga corsa lo porterà direttamente, e finalmente, al mare.


Considerato uno dei film-manifesto della Nouvelle Vague, con “I quattrocento colpi” Truffaut passò dalla critica cinematografica dei “Cahiers du cinema” alla regia.
Il titolo della pellicola, apparentemente senza alcun significato, è in realtà la traduzione letterale di quello originale che fa riferimento all’espressione francese “faire les quatre cents coups” ( in italiano: “fare il diavolo a quattro” ).
E’ essenzialmente un inno alla libertà dei bambini e, poiché il regista ebbe un’infanzia alquanto turbolenta come quella di Antoine Doinel, può giustamente considerarsi un film ampiamente autobiografico.
In effetti, anche Truffaut trascorse la sua infanzia, con la madre e il patrigno, in un quartiere di Parigi situato nei pressi della Tour Eiffel e, soprattutto, anche lui venne rinchiuso in un riformatorio.
Dopo numerosi provini, decise di assegnare il ruolo di Antoine Doinel all’allora giovanissimo Jean-Pierre Léaud proprio per la sua aria tenera ma al tempo stesso beffarda e scanzonata.
Negli anni successivi quello stesso personaggio divenne poi un vero e proprio alter ego cinematografico del regista, rappresentandolo sullo schermo in diversi momenti della sua vita.
Infatti, dopo averne interpretato la fase adolescenziale ne “I quattrocento colpi”, Jean-Pierre Léaud tornò a vestire i panni di Antoine Doinel nel 1962 inAntoine e Colette” ( uno degli episodi del film “L’amore a vent’anni” ); nel 1968 inBaci rubati”; nel 1970 inNon drammatizziamo… è solo una questione di corna!” e nel 1979 inL’amore fugge”.
Nonostante la sua lunga e lodevole carriera, di Jean-Pierre Léaud viene a ogni modo ricordata dagli amanti di Truffaut, e non solo, la sua espressione smarrita nell’ultima inquadratura de “I quattrocento colpi”, dalla quale si riesce a percepire tutta l’amarezza del protagonista per non aver avuto anche lui la possibilità di vivere un’infanzia spensierata.



Titolo: I quattrocento colpi ( Les 400 coups )
Regia: François Truffaut
Interpreti: Jean-Pierre Léaud, Albert Rémy, Claire Maurier, Patrick Auffay, Georges Flamant
Nazionalità: Francia 
Anno: 1959